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Realismo critico esistenziale
Premi Arte Lunassi 2004’05’06
Comunicato stampa
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Vincenzo Basiglio
Il Giudizio di valore sottratto al dogmatismo dell’avanguardia
Realizzata in tempi molto brevi e con non poche difficoltà, la prima edizione del Premio Arte Lunassi è ormai un ricordo lontano. Sono già tre le edizioni realizzate con impegno inedito dai soci del Circolo Lunassese, in primis Secondino Cavallero che da anni regge il sodalizio con intelligenza e spirito di abnegazione risolvendo problemi irrisolvibili, sia dal punto di vista organizzativo che da quello economico. Lo Studio d’Arte e Restauro Gabbantichità , che da anni collabora con il presidente del Circolo, ha voluto con spirito autenticamente genuino proporre, come in passato lo è stato il Premio Suzzara, un riconoscimento artistico “simbolico”, in un momento in cui i valori veri si perdono per strada e conta solo ed unicamente il “re denaro”.
La speranza è che in futuro si possano aprire le porte (in effetti sono sempre state aperte) ai finanziatori Pubblici come Fondazioni, Comunità Montana ed enti analoghi preposti alla valorizzazione del territorio e non solo, che sostenendo finanziariamente questa rassegna indipendente e con esclusive finalità storico-artistiche, si farebbero così promotori immediati di cultura. L’unico ostacolo, come ho detto, è stato il tempo, che in qualche caso mi ha impedito di completare al meglio il piano ideale che mi ero prefisso. Nel complesso, però, credo che la mostra offra al visitatore uno spaccato indicativo, e di qualità più che discreta, dei fermenti artistici che da sempre animano le menti più raffinate e sensibili nella nostra zona.
Come ogni rassegna anche questa è soggetta a dei limiti di taglio e di contenuto, anche se non manca in nessuno dei protagonisti l’evidenza delle proprie capacità. Un vincolo di partenza, il limite più vistoso, è certamente la riduzione alla pittura e alla grafica. Una riduzione che ci è stata imposta da motivi di ordine pratico ed economico, ma che alla fine dovrà condizionare le scelte future. La scultura dialoga sempre più di frequente con l’arte sorella ( Fontana , Munari, e il nostro Bisio ) .
Non nego che un certo squilibrio strutturale in favore della “Pittura-Pittura” sia anche voluto. Ho preferito, dato il numero non alto di opere che avevo a disposizione e la necessità di dare coerenza alla mostra, puntare maggiormente su quell’innesto nato dalle frequentazioni artistiche nel nostro Studio e i rapporti umani che si sono instaurati, nonché dalla carica vitale e informale di Bisio che ha prodotto nel corpo della pittura locale contemporanea, in particolare su Marco e Claudio, una serie di stimoli fondamentali per lo sviluppo della loro ricerca. Vorrei precisare, tuttavia, che la dominante effettiva della mostra non scaturisce da uno stile o da un movimento a cui si può assegnare . Al contrario, ho proceduto aggregando per primi i dipinti più significativi degli artisti, facendo crescere intorno ad essi la mostra e ritoccando man mano gli squilibri più vistosi. In altre parole, ho espresso per prima cosa un giudizio di valore, scendendo poi a patti con un’esigenza discreta di completezza storica. Difendo questo modo di operare, che ritengo alla base di una storiografia realmente critica e non piattamente cronachistica. Mi pare che questo sia un punto veramente cruciale: la necessità, ormai impellente, di passare da un modello storiografico assoluto ad un modello tollerante e relativo; da uno storicismo dogmatico, che concepisce la sperimentazione moderna come un valore trascendentale, a uno storicismo critico, in grado di misurarsi di volta in volta con la concretezza delle singole opere al di là delle mode.
Certo è che, nel caso particolare di questa mostra, si vuole evidenziare come il continuo entusiasmo con cui la nostra cultura artistica si apre alle novità straniere, potrebbe essere un tema conduttore. Ma è certamente più importante valutare serenamente l’impatto dei nuovi linguaggi sulla tradizione locale, e misurarne la rielaborazione in termini di autonomia creativa; l’assunzione di un modello interpretativo aperto, non più fondato su un’astratta filogenesi dell’avanguardia.
Al contrario, un ritorno al più drastico giudizio di valore, sottratto però al dogmatismo dell’avanguardia e calato nella concretezza dell’opera, mi sembra l’unica via per liberarci da un feticismo estetico che , rispetto a quello della scorsa fin de siècle, sembra aver cambiato soltanto il segno.
Per evidenti difficoltà finanziarie si è deciso di raggruppare i primi tre anni in un catalogo unico ed esportare questa esperienza significativa, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Alessandria, a Casale Monferrato nel Palazzo Sannazzaro dal 21 Ottobre al 5 novembre 2006 (inaugurazione ore 18 del 21 ottobre).
Vincenzo Basiglio
UN MAGICO EQUILIBRIO TRA PASSATO E FUTURO
IL REALISMO “CRITICO” ESISTENZIALE
Il periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta è stato estremamente interessante per l’arte della nostra zona; in realtà il giudizio positivo andrebbe riportato un po’ più indietro con quel gruppo straordinario di artisti che fecero parte della Scuola Tortonese nella prima metà del XIX secolo, artisti come Mario Patri e Luigi Rapetti , rimasti nell’ombra a livello nazionale, ma che già nel 1935 lavoravano sulle tematiche informali, agli albori delle ricerche sulla negazione della forma a livello internazionale; poi Gigi Cuniolo, che ebbe importanti partecipazioni alle esposizioni più significative del tempo (Biennale a Venezia, Premio Bergamo, ecc) ma che ancora oggi manca di una analisi critica fondamentale per il giusto inserimento tra i primi sperimentatori dell’arte informale in Italia, per non dimenticare le ultime esperienze di Pellizza da Volpedo e Cesare Saccaggi.
A seguito delle esperienze rivoluzionarie dell’arte americana degli anni ’50 e ’60 e dalla congiuntura creatasi negli anni immediatamente successivi al ’68 con la nascita dell’Arte Povera, anche la nostra terra a sua volta si sintonizzata col clima che allora si stabilì in tutto il mondo occidentale, attorno a fenomeni come l’arte concettuale: di tutto ciò Pietro Bisio è il più importante riferimento e l’operazione espositiva a Casale sarà un primo percorso per un importante risarcimento pubblico. Il comportamento, le ricerche d’ambiente, il segno e la nuova pittura di Pietro Bisio sono stati il trampolino di lancio delle nuove generazioni. Fu quella una stagione contrassegnata da un clima di rigore e di radicalismo, cui poi seguì il bisogno di rilassare un po’ la tensione degli animi e ridare all’arte dei margini di gradevolezza e di piacere. Il tutto ricorda abbastanza da vicino una sequenza storica che si era già prodotta nel nostro Paese circa mezzo secolo prima. Si pensi infatti alla rapida successione tra il Futurismo (1916 Manifesto della pittura futurista e la morte di Boccioni ) e la nascita della Metafisica, che avvenne l’anno dopo a Ferrara, per effetto dell’incontro tra De Chirico e Carrà. Ma la Metafisica fu solo la punta di un iceberg, nella cui scia si posero tanti altri movimenti affini e derivati, il “richiamo all’ordine”, “Valori plastici”, “Novecento”, “Il realismo magico” fino al “Realismo esistenziale”. Il movimento del Realismo prende vita dalle indicazioni scaturite dal VI congresso del Partito Comunista Italiano che precisa il rapporto fra l’arte e l’ideologia. Agli intellettuali viene richiesto di rivolgersi direttamente al popolo, adottando un linguaggio chiaro e immediatamente comprensibile. L’intransigenza del PCI contribuisce a chiudere l’esperienza del Fronte nuovo delle Arti e apre le porte alla stagione realista. Renato Guttuso, Ernesto Treccani, Giuseppe Zigaina, Armando Pizzinato e Carlo Levi dipingono l’occupazione delle terre, le grandi lotte contadine e operaie insieme ad altri soggetti d’interesse sociale. Nel 1952 nasce a Milano la rivista Realismo, che sostiene l’opportunità di un nuovo rapporto tra l’arte e la realtà quotidiana. Intorno alla metà degli anni Cinquanta si fa strada “Il Realismo Esistenziale”: artisti come Gianfranco Ferroni (1927-2001), Giuseppe Banchieri (1927-1994) e Giuseppe Guerreschi (1929-1985), Nino Ceretti e Beppe Romagnoni (amici personali di Pietro Bisio che con loro ha condiviso l’esperienza bohemienne di quegli anni) si ispirano alla filosofia di Jean-Paul Sartre (1905-1980), e prendono spunto da temi come l’emarginazione sociale e la miseria per realizzare una pittura drammatica dalle forti valenze espressioniste tutti accomunati, però, dall’esigenza di rivedere il progetto troppo “modernista” dell’avanguardia precedente e di nobilitarlo mediante il recupero di valori del passato. Analogamente a questa esperienza milanese si sviluppa nella nostra zona il movimento “Realismo critico” che vede alcuni artisti come Giansisto Gasparini (uno dei principali esponenti del Realismo Esistenziale), Pietro Bisio, Piero Leddi, Michele Mainoli e Dimitri Plescan, raggrupparsi intorno alle idee del critico d’arte vogherese Virginio Giacomo Bono, che pone l’accento sui temi dell’abbandono delle terre e la fine del mondo contadino e lo sviluppo abnorme delle periferie .
E’ avvenuto così che l’albero delle ricerche concettuali, ambientali e simili, ha fatto cadere i suoi frutti maturi solo nel paniere dell’Arte Povera, cioè di un gruppo di artisti in prevalenza torinesi; così come le tendenze successive, di natura implosiva o anche, se si vuole, neo-metafisica, volta a ritrovare una “grazia perduta”, sono state monopolizzate dalla sola Transavanguardia.
Tornata prepotentemente protagonista sulla scena dell’arte dopo la rivoluzione di gusto e di mercato operata dalla Transavanguardia, negli ultimi vent’anni del Novecento e durante i primi vagiti del nuovo millennio la pittura italiana ha avuto tempo e modo di disperdersi in mille rivoli, di sperimentare materiali prima impensabili. Sempre però continuando a camminare in bilico tra modernismo e antimodernismo, scegliendo ora di riallacciare i fili con il passato, ora di spingersi tanto oltre da non potersi più neanche riconoscere nella storia dell’arte recente. Anche oggi, come per la prima parte del secolo scorso, non si può dare ad alcuna di queste due opzioni un valore assolutamente positivo o negativo, e stimoli ed idee per soluzioni innovative e convincenti capita finiscano per arrivare dalla tradizione più radicata come anche da sperimentazioni sovversive e improbabili. Pietro Bisio, come personaggio storico della sperimentazione, nasce dal segno e dalla pittura e su questi valori tecnici ed estetici fonda la sua arte. Non molto lontani da lui, anche se diversi, sono Claudio Magrassi e Marco Mazzoni; legati alla tradizione figurativa e alle correnti contemporanee milanesi (Claudio Martinelli, Alessandro Papetti, Luca Pignatelli, ecc.) non disdegnano le riflessioni sull’arte fatta di realismo esasperato di Lucien Freud e di Jenni Saville; restano all’interno della storia della pittura e non cercano la contaminazione con altri universi, dal glamour al dark, dalla pubblicità alla fiction televisiva, i loro punti di riferimento e le citazioni più argute della ricerca si rifanno al massimo alle avanguardie storiche. Si muovono nell’area delimitata del ritratto e della natura morta, che rivisitano rifacendosi alle tecniche iperreali (olio,pastello,acrilici,tempere, ecc.) dell’illustrazione recuperando anche alcuni aspetti dell’informale d’annata con una conoscenza assoluta dei limiti e delle qualità della pittura, portata spesso alle estreme possibilità di rappresentazione con le pennellate che rivelano una vocazione istintiva per il dipingere. Più a ritroso non vanno, e il Dadaismo, la Metafisica, il Razionalismo e il Realismo rappresentano in toto il serbatoio d’idee e richiami cui attingono i nostri artisti. Tenuto conto che la differenza tra chi rilegge il passato e chi si proietta verso il futuro è dunque di appena un centinaio di anni di storia , si può ben immaginare come le tante differenze e i tanti rivoli siano poi, in realtà, un unico fiume. Con molte più somiglianze che differenze.
Chi invece conosce la nostra situazione di cultura, sa che in entrambi i casi il panorama è stato più ampio e più ricco di quanto non risulti attraverso questo filtro troppo unilaterale. Così per esempio chi volesse fare davvero la storia dei nostri anni “esplosivi” di ricerche concettuali affidate a media alternativi come la fotografia, la scrittura, fino allo sterco di piccione ed ai rifiuti, non potrebbe prescindere da Pietro Bisio e chi vorrà ricostruire questi ultimi anni non potrà prescindere dagli artisti documentati dal presente catalogo, anche se nessuno di essi (per ora) figura in quel troppo ristretto Ghota divenuto noto anche grazie allo strapotere del “grande critico” o agli investimenti economici della “grande galleria”.
Il Giudizio di valore sottratto al dogmatismo dell’avanguardia
Realizzata in tempi molto brevi e con non poche difficoltà, la prima edizione del Premio Arte Lunassi è ormai un ricordo lontano. Sono già tre le edizioni realizzate con impegno inedito dai soci del Circolo Lunassese, in primis Secondino Cavallero che da anni regge il sodalizio con intelligenza e spirito di abnegazione risolvendo problemi irrisolvibili, sia dal punto di vista organizzativo che da quello economico. Lo Studio d’Arte e Restauro Gabbantichità , che da anni collabora con il presidente del Circolo, ha voluto con spirito autenticamente genuino proporre, come in passato lo è stato il Premio Suzzara, un riconoscimento artistico “simbolico”, in un momento in cui i valori veri si perdono per strada e conta solo ed unicamente il “re denaro”.
La speranza è che in futuro si possano aprire le porte (in effetti sono sempre state aperte) ai finanziatori Pubblici come Fondazioni, Comunità Montana ed enti analoghi preposti alla valorizzazione del territorio e non solo, che sostenendo finanziariamente questa rassegna indipendente e con esclusive finalità storico-artistiche, si farebbero così promotori immediati di cultura. L’unico ostacolo, come ho detto, è stato il tempo, che in qualche caso mi ha impedito di completare al meglio il piano ideale che mi ero prefisso. Nel complesso, però, credo che la mostra offra al visitatore uno spaccato indicativo, e di qualità più che discreta, dei fermenti artistici che da sempre animano le menti più raffinate e sensibili nella nostra zona.
Come ogni rassegna anche questa è soggetta a dei limiti di taglio e di contenuto, anche se non manca in nessuno dei protagonisti l’evidenza delle proprie capacità. Un vincolo di partenza, il limite più vistoso, è certamente la riduzione alla pittura e alla grafica. Una riduzione che ci è stata imposta da motivi di ordine pratico ed economico, ma che alla fine dovrà condizionare le scelte future. La scultura dialoga sempre più di frequente con l’arte sorella ( Fontana , Munari, e il nostro Bisio ) .
Non nego che un certo squilibrio strutturale in favore della “Pittura-Pittura” sia anche voluto. Ho preferito, dato il numero non alto di opere che avevo a disposizione e la necessità di dare coerenza alla mostra, puntare maggiormente su quell’innesto nato dalle frequentazioni artistiche nel nostro Studio e i rapporti umani che si sono instaurati, nonché dalla carica vitale e informale di Bisio che ha prodotto nel corpo della pittura locale contemporanea, in particolare su Marco e Claudio, una serie di stimoli fondamentali per lo sviluppo della loro ricerca. Vorrei precisare, tuttavia, che la dominante effettiva della mostra non scaturisce da uno stile o da un movimento a cui si può assegnare . Al contrario, ho proceduto aggregando per primi i dipinti più significativi degli artisti, facendo crescere intorno ad essi la mostra e ritoccando man mano gli squilibri più vistosi. In altre parole, ho espresso per prima cosa un giudizio di valore, scendendo poi a patti con un’esigenza discreta di completezza storica. Difendo questo modo di operare, che ritengo alla base di una storiografia realmente critica e non piattamente cronachistica. Mi pare che questo sia un punto veramente cruciale: la necessità, ormai impellente, di passare da un modello storiografico assoluto ad un modello tollerante e relativo; da uno storicismo dogmatico, che concepisce la sperimentazione moderna come un valore trascendentale, a uno storicismo critico, in grado di misurarsi di volta in volta con la concretezza delle singole opere al di là delle mode.
Certo è che, nel caso particolare di questa mostra, si vuole evidenziare come il continuo entusiasmo con cui la nostra cultura artistica si apre alle novità straniere, potrebbe essere un tema conduttore. Ma è certamente più importante valutare serenamente l’impatto dei nuovi linguaggi sulla tradizione locale, e misurarne la rielaborazione in termini di autonomia creativa; l’assunzione di un modello interpretativo aperto, non più fondato su un’astratta filogenesi dell’avanguardia.
Al contrario, un ritorno al più drastico giudizio di valore, sottratto però al dogmatismo dell’avanguardia e calato nella concretezza dell’opera, mi sembra l’unica via per liberarci da un feticismo estetico che , rispetto a quello della scorsa fin de siècle, sembra aver cambiato soltanto il segno.
Per evidenti difficoltà finanziarie si è deciso di raggruppare i primi tre anni in un catalogo unico ed esportare questa esperienza significativa, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Alessandria, a Casale Monferrato nel Palazzo Sannazzaro dal 21 Ottobre al 5 novembre 2006 (inaugurazione ore 18 del 21 ottobre).
Vincenzo Basiglio
UN MAGICO EQUILIBRIO TRA PASSATO E FUTURO
IL REALISMO “CRITICO” ESISTENZIALE
Il periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta è stato estremamente interessante per l’arte della nostra zona; in realtà il giudizio positivo andrebbe riportato un po’ più indietro con quel gruppo straordinario di artisti che fecero parte della Scuola Tortonese nella prima metà del XIX secolo, artisti come Mario Patri e Luigi Rapetti , rimasti nell’ombra a livello nazionale, ma che già nel 1935 lavoravano sulle tematiche informali, agli albori delle ricerche sulla negazione della forma a livello internazionale; poi Gigi Cuniolo, che ebbe importanti partecipazioni alle esposizioni più significative del tempo (Biennale a Venezia, Premio Bergamo, ecc) ma che ancora oggi manca di una analisi critica fondamentale per il giusto inserimento tra i primi sperimentatori dell’arte informale in Italia, per non dimenticare le ultime esperienze di Pellizza da Volpedo e Cesare Saccaggi.
A seguito delle esperienze rivoluzionarie dell’arte americana degli anni ’50 e ’60 e dalla congiuntura creatasi negli anni immediatamente successivi al ’68 con la nascita dell’Arte Povera, anche la nostra terra a sua volta si sintonizzata col clima che allora si stabilì in tutto il mondo occidentale, attorno a fenomeni come l’arte concettuale: di tutto ciò Pietro Bisio è il più importante riferimento e l’operazione espositiva a Casale sarà un primo percorso per un importante risarcimento pubblico. Il comportamento, le ricerche d’ambiente, il segno e la nuova pittura di Pietro Bisio sono stati il trampolino di lancio delle nuove generazioni. Fu quella una stagione contrassegnata da un clima di rigore e di radicalismo, cui poi seguì il bisogno di rilassare un po’ la tensione degli animi e ridare all’arte dei margini di gradevolezza e di piacere. Il tutto ricorda abbastanza da vicino una sequenza storica che si era già prodotta nel nostro Paese circa mezzo secolo prima. Si pensi infatti alla rapida successione tra il Futurismo (1916 Manifesto della pittura futurista e la morte di Boccioni ) e la nascita della Metafisica, che avvenne l’anno dopo a Ferrara, per effetto dell’incontro tra De Chirico e Carrà. Ma la Metafisica fu solo la punta di un iceberg, nella cui scia si posero tanti altri movimenti affini e derivati, il “richiamo all’ordine”, “Valori plastici”, “Novecento”, “Il realismo magico” fino al “Realismo esistenziale”. Il movimento del Realismo prende vita dalle indicazioni scaturite dal VI congresso del Partito Comunista Italiano che precisa il rapporto fra l’arte e l’ideologia. Agli intellettuali viene richiesto di rivolgersi direttamente al popolo, adottando un linguaggio chiaro e immediatamente comprensibile. L’intransigenza del PCI contribuisce a chiudere l’esperienza del Fronte nuovo delle Arti e apre le porte alla stagione realista. Renato Guttuso, Ernesto Treccani, Giuseppe Zigaina, Armando Pizzinato e Carlo Levi dipingono l’occupazione delle terre, le grandi lotte contadine e operaie insieme ad altri soggetti d’interesse sociale. Nel 1952 nasce a Milano la rivista Realismo, che sostiene l’opportunità di un nuovo rapporto tra l’arte e la realtà quotidiana. Intorno alla metà degli anni Cinquanta si fa strada “Il Realismo Esistenziale”: artisti come Gianfranco Ferroni (1927-2001), Giuseppe Banchieri (1927-1994) e Giuseppe Guerreschi (1929-1985), Nino Ceretti e Beppe Romagnoni (amici personali di Pietro Bisio che con loro ha condiviso l’esperienza bohemienne di quegli anni) si ispirano alla filosofia di Jean-Paul Sartre (1905-1980), e prendono spunto da temi come l’emarginazione sociale e la miseria per realizzare una pittura drammatica dalle forti valenze espressioniste tutti accomunati, però, dall’esigenza di rivedere il progetto troppo “modernista” dell’avanguardia precedente e di nobilitarlo mediante il recupero di valori del passato. Analogamente a questa esperienza milanese si sviluppa nella nostra zona il movimento “Realismo critico” che vede alcuni artisti come Giansisto Gasparini (uno dei principali esponenti del Realismo Esistenziale), Pietro Bisio, Piero Leddi, Michele Mainoli e Dimitri Plescan, raggrupparsi intorno alle idee del critico d’arte vogherese Virginio Giacomo Bono, che pone l’accento sui temi dell’abbandono delle terre e la fine del mondo contadino e lo sviluppo abnorme delle periferie .
E’ avvenuto così che l’albero delle ricerche concettuali, ambientali e simili, ha fatto cadere i suoi frutti maturi solo nel paniere dell’Arte Povera, cioè di un gruppo di artisti in prevalenza torinesi; così come le tendenze successive, di natura implosiva o anche, se si vuole, neo-metafisica, volta a ritrovare una “grazia perduta”, sono state monopolizzate dalla sola Transavanguardia.
Tornata prepotentemente protagonista sulla scena dell’arte dopo la rivoluzione di gusto e di mercato operata dalla Transavanguardia, negli ultimi vent’anni del Novecento e durante i primi vagiti del nuovo millennio la pittura italiana ha avuto tempo e modo di disperdersi in mille rivoli, di sperimentare materiali prima impensabili. Sempre però continuando a camminare in bilico tra modernismo e antimodernismo, scegliendo ora di riallacciare i fili con il passato, ora di spingersi tanto oltre da non potersi più neanche riconoscere nella storia dell’arte recente. Anche oggi, come per la prima parte del secolo scorso, non si può dare ad alcuna di queste due opzioni un valore assolutamente positivo o negativo, e stimoli ed idee per soluzioni innovative e convincenti capita finiscano per arrivare dalla tradizione più radicata come anche da sperimentazioni sovversive e improbabili. Pietro Bisio, come personaggio storico della sperimentazione, nasce dal segno e dalla pittura e su questi valori tecnici ed estetici fonda la sua arte. Non molto lontani da lui, anche se diversi, sono Claudio Magrassi e Marco Mazzoni; legati alla tradizione figurativa e alle correnti contemporanee milanesi (Claudio Martinelli, Alessandro Papetti, Luca Pignatelli, ecc.) non disdegnano le riflessioni sull’arte fatta di realismo esasperato di Lucien Freud e di Jenni Saville; restano all’interno della storia della pittura e non cercano la contaminazione con altri universi, dal glamour al dark, dalla pubblicità alla fiction televisiva, i loro punti di riferimento e le citazioni più argute della ricerca si rifanno al massimo alle avanguardie storiche. Si muovono nell’area delimitata del ritratto e della natura morta, che rivisitano rifacendosi alle tecniche iperreali (olio,pastello,acrilici,tempere, ecc.) dell’illustrazione recuperando anche alcuni aspetti dell’informale d’annata con una conoscenza assoluta dei limiti e delle qualità della pittura, portata spesso alle estreme possibilità di rappresentazione con le pennellate che rivelano una vocazione istintiva per il dipingere. Più a ritroso non vanno, e il Dadaismo, la Metafisica, il Razionalismo e il Realismo rappresentano in toto il serbatoio d’idee e richiami cui attingono i nostri artisti. Tenuto conto che la differenza tra chi rilegge il passato e chi si proietta verso il futuro è dunque di appena un centinaio di anni di storia , si può ben immaginare come le tante differenze e i tanti rivoli siano poi, in realtà, un unico fiume. Con molte più somiglianze che differenze.
Chi invece conosce la nostra situazione di cultura, sa che in entrambi i casi il panorama è stato più ampio e più ricco di quanto non risulti attraverso questo filtro troppo unilaterale. Così per esempio chi volesse fare davvero la storia dei nostri anni “esplosivi” di ricerche concettuali affidate a media alternativi come la fotografia, la scrittura, fino allo sterco di piccione ed ai rifiuti, non potrebbe prescindere da Pietro Bisio e chi vorrà ricostruire questi ultimi anni non potrà prescindere dagli artisti documentati dal presente catalogo, anche se nessuno di essi (per ora) figura in quel troppo ristretto Ghota divenuto noto anche grazie allo strapotere del “grande critico” o agli investimenti economici della “grande galleria”.
21
ottobre 2006
Realismo critico esistenziale
Dal 21 ottobre al 05 novembre 2006
arte contemporanea
Location
PALAZZO SANNAZZARO
Casale Monferrato, Via Goffredo Mameli, 63, (Alessandria)
Casale Monferrato, Via Goffredo Mameli, 63, (Alessandria)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì 16,00 – 19,00; sabato e domenica 10,00 – 12,00 e 16,00 – 19,00
Vernissage
21 Ottobre 2006, ore 18
Autore