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Renato Birolli – Necropoli e paesaggio adriatico
Una esposizione dedicata al lavoro compiuto dal pittore Renato Birolli (1905 – 1959) nell’area marchigiana durante gli anni Cinquanta.
Comunicato stampa
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La direzione della Galleria d’arte moderna e contemporanea di San Marino, la cattedra di Storia dell’arte contemporanea del Dipartimento di Storia dell’arte della musica e dello spettacolo dell’Università degli Studi di Milano, l’Archivio Alessandro Bonsanti del Gabinetto G.P. Vieusseux di Firenze, la famiglia Birolli hanno organizzato una esposizione dedicata al lavoro compiuto dal pittore Renato Birolli (1905 – 1959) nell’area marchigiana durante gli anni Cinquanta.
Il 1950 apre, per Renato Birolli, un decennio articolato e complesso: un decennio di intenso lavoro, che vede la partecipazione al gruppo degli Otto e l’organizzazione delle prime esposizioni «americane» presso la Catherine Viviano Gallery di New York. Ma anche un decennio di ricerca, scandito da lunghi soggiorni lontano da Milano. Soggiorni intensi, dove la solitudine si delinea come «luogo morale» in cui prolungare un dibattito che coinvolge tutte le dimensioni della vita e della persona.
Renato Birolli arrivò a Fosso Sejore, tra Pesaro e Fano, nell’estate del 1950, stabilendosi presso la casa di un pescatore. Per quell’anno e per le successive due estati, nel ’53 e nel ’54, fece di questo luogo lo spazio del suo lavoro e della elaborazione del paesaggio marino e terrestre, nonché dalla riflessione sulla vita dei contadini e dei pescatori, fuori da qualsiasi istanza retorica.
Tale periodo di ricerca e fervida attività – testimoniato dalle aperture internazionali del pittore, dalla sentita partecipazione al dibattito politico e artistico del dopoguerra, dalla ripresa della scrittura di un Taccuino in cui sono raccolti disegni e appunti adatti a cogliere la dimensione vitale, dinamica, cromatica e geometrica dell’ambiente naturale – è rimasto meno frequentato dalla storiografia e dalla letteratura artistica.
L’esposizione intende mettere in luce il particolare carattere di questa produzione molto legata ai luoghi, al paesaggio adriatico e al tema della Necropoli. Questo tema, che compare in un quadro durante il secondo soggiorno, nell’estate del 1953, e si riferisce a un luogo archeologico preciso – Novilara -, riveste nelle versioni degli anni successivi un significato esemplare del percorso dell’artista verso una maggiore presenza dell’uomo e della memoria.
Significativa è una lettera del 6 agosto 1953, inviata da Fosso Sejore al collezionista ed amico fraterno Guglielmo Achille Cavellini in cui scrive: Ti invierò una pagina del nuovo Taccuino delle Marche, che esprime il movente del quadro «Necropoli etrusca». Essa esiste vicino a Fosso, al sommo d’una collina. Ho la sensazione d’aver dipinto il quadro col silenzio. È grigio e giallo e nero. Intorno è verde cinabro acuto. Questa contraddizione del giallo sonoro e del silenzio esiste in natura, d’estate: quando cantano le cicale e i contadini sono immobili nel campo. Io voglio rendere questo, farlo sentire6.
È per questo che ho scelto la necropoli etrusca, che è come una storia espansa nell’aria, rifatta dalle cose che vivono.
Mi sento libero nella mia fantasia; sento che posso proiettare ogni cosa e fatto dalla tela al sentimento. La difficoltà sta nel fatto che io non ho un’arte imitativa, ma nemmeno evasiva e che il mondo mi urge da ogni lato ed ho una vita sola.
Il «Tramonto della luna» è l’antefatto della «Necropoli». Tutto verde e viola, come l’ho visto...
L’esposizione presenta circa 40 opere, tra cui dipinti (molti di grande formato), un gruppo di ceramiche e disegni, oltre ad un ricco ed inedito corpo di materiale di documentazione.
In mostra vi saranno dei veri capidopera e alcuni dipinti provenienti da musei italiani e stranieri, tra cui Storia di mare (Tramonto della luna) (1953, olio su tela) della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino e alcuni sconosciuti al pubblico italiano, come Falce sedia e canestra sull’aia (1952, olio su tela) proveniente da São Paulo del Brasile ed Estate (n°2), (1954, olio su tela), proveniente da New York.
Il catalogo, edito da Scalpendi, oltre a documentare il percorso espositivo si gioverà di una serie di contributi riferiti al lavoro del pittore e alla sua biografia. Il carattere di questi scritti intende avere il vantaggio di una conoscenza diretta delle fonti manoscritte e a stampa conservate presso l’Archivio Rosa e Renato Birolli conservato a Firenze. In particolare sono stati privilegiati ambiti poco noti del lavoro dell’artista come il mosaico, la ceramica e un album di disegni databile al 1950. Inoltre una parte del catalogo è dedicata all’approfondimento di alcune lettere inviate al collezionista Cavellini e a una dettagliata biografia degli anni Cinquanta.
I saggi in catalogo sono di Paolo Rusconi, Claudio Spadoni, Gloria Manghetti. L’organizzazione della mostra avviene nell’ambito dei Musei di Stato della Repubblica di San Marino.
Oltre a questi testi saranno pubblicati degli estratti inediti dalla corrispondenza dell’artista e dai suoi scritti. Accanto alla mostra saranno previste una serie di manifestazioni collaterali quali conferenze e lezioni e attività didattiche per le scuole.
Ufficio stampa: Alessandra Pozzi, tel 3385965789, alessandra_pozzi@tiscali.it
San Marino, Museo San Francesco (via Basilicius) - Repubblica di San Marino
14 marzo - 30 giugno 2010
Orario: 9.00 – 17.00 (tutti i giorni)
Ingresso libero
Per informazioni: tel. 0549 885132 - 885414
Catalogo edito da Scalpendi (pagine 152, prezzo di copertina Euro 27,00, w.scalpendieditore.eu)
Testi di Paolo Rusconi, Claudio Spadoni, Gloria Manghetti, Ana Gonçalves Magalhães, Giacinta Cavagna di Gualdana, Ilaria De Palma, Maria Chiara Monaldi, Viviana Birolli.
Biografia Renato Birolli
Nato a Verona il 10 dicembre 1905 da famiglia operaia, Renato Birolli manifesta il suo interesse per la pittura già a tredici anni. Nonostante questa sua precoce propensione, porta a termine gli studi di ragioneria, assecondando i desideri del padre, e solo nel 1925 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Verona. Espulso dopo due anni per indisciplina, nel’28 si trasferisce a Milano, dove compie saltuari lavori come decoratore, corrispondente sportivo, venditore di polizze. Due anni dopo trova impiego come correttore di bozze presso “L’Ambrosiano”, dove conosce Carlo Carrà, allora critico del quotidiano milanese, ed Edoardo Persico, direttore della Galleria del Milione presso la quale Birolli espone nel mese di novembre. Nello stesso anno partecipa alla sua prima Biennale di Venezia con due opere.
Nel frattempo, l’influenza di Persico sul suo orizzonte creativo si fa sempre più evidente e sempre più assidui divengono i contatti con la Galleria di via Brera – dove espone nel’31 – e con giovani artisti milanesi (Manzù, Sassu) e romani (Mafai, Cagli, Mazzacurati, Guttuso). Le opere di questo periodo e soprattutto quelle esposte nel’32 alla Galleria del Milione, tra cui il celebre San Zeno Pescatore, rivelano una profonda ricerca di rigore, di semplificazione formale, di rifiuto dell’accademismo del Novecento e dei suoi vuoti clichés stilistici. In questi anni scrive recensioni ed articoli per “Il Brennero”, “L’Ambrosiano”, “L’Italia Vivente” ed espone in varie sedi: presso la Galleria di Roma di Pier Maria Bardi (’32) nella mostra collettiva Dieci pittori, alla VI Sindacale di Lombardia, alla mostra di pittura franco – italiana di Londra ed alla mostra di pittura italiana contemporanea di San Francisco. Nel’35 cessano i contatti con Persico e si consolida invece sempre più il rapporto con il critico Sandro Bini, fino a divenire un autentico connubio spirituale di rara intensità, interrotto solo dalla morte di quest’ultimo nel’43. Fondamentale in questi anni la frequentazione di Quasimodo e dei poeti ermetici, a proposito dei quali Birolli afferma: “Posso dire che costoro modificavano il modo di sognare la realtà”. Nel corso del’36 inizia la stesura dei primi Taccuini, la cui prima edizione risale all’inizio degli anni‘40, e si reca per la prima volta a Parigi, dove incontra Lionello Venturi in esilio. In collaborazione con Bini pubblica nel’37 le Metamorfosi, volume composto da quarantasei disegni dell’artista e da una postfazione dell’amico e critico. Allo stesso anno risale l’arresto e l’incarcerazione per motivi politici, cui seguirà il licenziamento da “L’Ambrosiano”. Dal’38 la sua attività artistica si lega alle vicende di Corrente, movimento culturale ed artistico di opposizione che accomunava artisti, intellettuali e poeti sotto l’unico imperativo del rinnovamento e del superamento dei confini di un’arte “Nazionale”. Nello stesso anno sposa Rosa Rossi, da lui soprannominato Rò, e, in occasione della mostra alla Galleria Genova di Genova, in cui espone insieme a Manzù, conosce il suo futuro collezionista Alberto Della Ragione; partecipa, inoltre, a numerose esposizioni in gallerie di diverse città italiane. Del 1941 è la pubblicazione per le edizioni di Corrente di una monografia dell’artista curata da Sandro Bini. Espone alla XXIII Biennale di Venezia del’42.
Nel periodo bellico partecipa attivamente alla Resistenza: resta emblema della violenza e della brutalità della guerra il ciclo di ottantasette disegni della Resistenza noti come Italia ’44. Lo stesso Birolli scrive nei suoi Taccuini: “Non ho potuto frenare né il disgusto, né la rivolta per quanto ho veduto in quella orribile annata, che parve l’ultima della nostra possibilità di vivere… e anche la vita appariva come un continuo atto di demenza”. Dopo la Liberazione, Birolli espone alla Galleria Santa Redegonda di Milano le opere del periodo 1943 – ’45, tele “animate da un espressionismo più acceso, più grave, forse più triste” (Birolli ’54). Nel’46 Birolli si fa promotore e animatore, insieme a Giuseppe Marchiori, della Nuova Secessione Artistica, divenuta l’anno seguente Fronte Nuovo delle Arti, gruppo d’artisti accomunati dal desiderio di dare vita ad una nuova prospettiva dialettica fra arte e vita, arte e realtà sociale, gruppo che verrà alla ribalta durante la Biennale del 1948; ma sarà questo sogno destinato a cadere in breve tempo, minato anche dal progressivo radicalizzarsi del contrasto politico e dalle crescenti pressioni del P.C.I. verso l’allineamento ad un rigido realismo di regime, cui Birolli si oppone con fermezza. È dal’46 l’incontro con Cavellini, che diverrà in seguito il suo più importante collezionista. Dal’47 al’49 l’artista soggiorna per lunghi periodi a Parigi ed in Bretagna e si confronta con l’arte di Picasso, approdando a quello che Cavellini definisce “cubismo sentimentale…ricco di ritmi circolari”. Nell’estate del’50 è per la prima volta nelle Marche, a Fosso Sejore, dove lavora alla preparazione di una mostra a New York presso la Galleria di Catherine Viviano, presentatagli l’anno prima dall’amico Afro; è nel catalogo di questa mostra che Venturi definirà la pittura di Birolli “astratto – concreto”. Pochi mesi prima della Biennale di San Paolo del Brasile e di una personale a Molano, cominciano i primi contatti tra gli artisti che formeranno il Gruppo degli Otto, la cui presentazione ufficiale avviene alla XXVI Biennale di Venezia (‘52), dove a Birolli è riservata una sala personale.
Negli anni Cinquanta l’artista trova un’importante fonte d’ispirazione nei suoi soggiorni estivi, in quelle che lui stesso definisce vere e proprie “fughe, … prove fisiche dall’evasione fantastica”: nel’51 a Porto Buso nella Laguna Veneta, nel’52 a Bocca di Magra, nell’inverno del’53 nelle Alpi Apuane e nell’estate ’53 – ’54 a Fosso Sejore, nel’55 a Menarola, nel’56 a Tellaro, nel’57 ad Anversa, nel’58 ancora a Menarola. Proprio da questi periodi di “isolamento creativo” è scandita l’evoluzione stilistica e formale della produzione dei suoi ultimi anni: a Fosso Sejore, infatti, redige i Taccuini delle Marche, a Menarola lavora ai cicli degli Incendi e delle Vendemmie e ad Anversa, infine, si dedica al tema dei cosiddetti Canti. Nel’53 l’artista si reca insieme a Morlotti in Spagna, viaggio di cui restano testimonianza dipinti come Murcia di Cenere e Catalana de fuego. Del’54 è la realizzazione della grande decorazione per la parete dello scalone alla X Triennale di Milano e la partecipazione alla XXVII Biennale di Venezia, che segna il disgregarsi del Gruppo degli Otto.
Prosegue intanto, facendosi sempre più intenso, il rapporto di amicizia e confronto intellettuale con il critico Giuseppe Marchiori, che già dal’34 intratteneva con l’artista un assiduo scambio epistolare. In una lettera a Marchiori Birolli scrive: “il mio ultimo lavoro segna per me un miglioramento verso quella totalità di partecipazione di cui parli e che tecnicamente ha fatto un balzo verso l’armonia stilistica, che è il risultato dello stimolo assai forte al linguaggio che mi sono costruito a mie spese. Ora sono dialetticamente armonico, non mi resta che raccontare”. I quadri di questo ciclo vengono esposti nel’55 a New York presso la C. Viviano Gallery; la mostra riscuote un grande successo critico e finanziario.
Birolli vince in questi anni numerosi premi ed espone in importanti sedi italiane ed internazionali, spostando progressivamente il suo asse di interesse verso sedi estere, in particolare Germania e Stati Uniti, dove ancora oggi sono conservati molti dei quadri di questo periodo. La produzione di questi anni “dove la dominante lirica si fissa in una squillante indagine cromatica” [Valsecchi], rivela un progressivo abbandono dei vincoli figurativi, fino a giungere nelle ultime opere alla libertà compositiva di una tecnica “a macchia”, in cui la luce è elemento primario per la strutturazione della superficie. Nel ’58 Birolli viene nominato Commissario della Biennale di Venezia e si reca a New York.
Nello stesso anno inizia a lavorare per la preparazione di una grande mostra itinerante in Germania, che sarò inaugurata nel marzo ’59, due mesi prima della sua prematura scomparsa, a cinquantatrè anni, il 3 maggio 1959.
Negli ultimi mesi della sua vita aveva lavorato a quarantuno tempere di illustrazione al testo poetico La Montagna di Sale di A. Lucia.
Lascia importanti scritti ed una larga produzione pittorica, tuttavia mutilata dal grande numero di opere che personalmente distrusse, a seguito di uno spietato processo autocritico.
Il 1950 apre, per Renato Birolli, un decennio articolato e complesso: un decennio di intenso lavoro, che vede la partecipazione al gruppo degli Otto e l’organizzazione delle prime esposizioni «americane» presso la Catherine Viviano Gallery di New York. Ma anche un decennio di ricerca, scandito da lunghi soggiorni lontano da Milano. Soggiorni intensi, dove la solitudine si delinea come «luogo morale» in cui prolungare un dibattito che coinvolge tutte le dimensioni della vita e della persona.
Renato Birolli arrivò a Fosso Sejore, tra Pesaro e Fano, nell’estate del 1950, stabilendosi presso la casa di un pescatore. Per quell’anno e per le successive due estati, nel ’53 e nel ’54, fece di questo luogo lo spazio del suo lavoro e della elaborazione del paesaggio marino e terrestre, nonché dalla riflessione sulla vita dei contadini e dei pescatori, fuori da qualsiasi istanza retorica.
Tale periodo di ricerca e fervida attività – testimoniato dalle aperture internazionali del pittore, dalla sentita partecipazione al dibattito politico e artistico del dopoguerra, dalla ripresa della scrittura di un Taccuino in cui sono raccolti disegni e appunti adatti a cogliere la dimensione vitale, dinamica, cromatica e geometrica dell’ambiente naturale – è rimasto meno frequentato dalla storiografia e dalla letteratura artistica.
L’esposizione intende mettere in luce il particolare carattere di questa produzione molto legata ai luoghi, al paesaggio adriatico e al tema della Necropoli. Questo tema, che compare in un quadro durante il secondo soggiorno, nell’estate del 1953, e si riferisce a un luogo archeologico preciso – Novilara -, riveste nelle versioni degli anni successivi un significato esemplare del percorso dell’artista verso una maggiore presenza dell’uomo e della memoria.
Significativa è una lettera del 6 agosto 1953, inviata da Fosso Sejore al collezionista ed amico fraterno Guglielmo Achille Cavellini in cui scrive: Ti invierò una pagina del nuovo Taccuino delle Marche, che esprime il movente del quadro «Necropoli etrusca». Essa esiste vicino a Fosso, al sommo d’una collina. Ho la sensazione d’aver dipinto il quadro col silenzio. È grigio e giallo e nero. Intorno è verde cinabro acuto. Questa contraddizione del giallo sonoro e del silenzio esiste in natura, d’estate: quando cantano le cicale e i contadini sono immobili nel campo. Io voglio rendere questo, farlo sentire6.
È per questo che ho scelto la necropoli etrusca, che è come una storia espansa nell’aria, rifatta dalle cose che vivono.
Mi sento libero nella mia fantasia; sento che posso proiettare ogni cosa e fatto dalla tela al sentimento. La difficoltà sta nel fatto che io non ho un’arte imitativa, ma nemmeno evasiva e che il mondo mi urge da ogni lato ed ho una vita sola.
Il «Tramonto della luna» è l’antefatto della «Necropoli». Tutto verde e viola, come l’ho visto...
L’esposizione presenta circa 40 opere, tra cui dipinti (molti di grande formato), un gruppo di ceramiche e disegni, oltre ad un ricco ed inedito corpo di materiale di documentazione.
In mostra vi saranno dei veri capidopera e alcuni dipinti provenienti da musei italiani e stranieri, tra cui Storia di mare (Tramonto della luna) (1953, olio su tela) della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino e alcuni sconosciuti al pubblico italiano, come Falce sedia e canestra sull’aia (1952, olio su tela) proveniente da São Paulo del Brasile ed Estate (n°2), (1954, olio su tela), proveniente da New York.
Il catalogo, edito da Scalpendi, oltre a documentare il percorso espositivo si gioverà di una serie di contributi riferiti al lavoro del pittore e alla sua biografia. Il carattere di questi scritti intende avere il vantaggio di una conoscenza diretta delle fonti manoscritte e a stampa conservate presso l’Archivio Rosa e Renato Birolli conservato a Firenze. In particolare sono stati privilegiati ambiti poco noti del lavoro dell’artista come il mosaico, la ceramica e un album di disegni databile al 1950. Inoltre una parte del catalogo è dedicata all’approfondimento di alcune lettere inviate al collezionista Cavellini e a una dettagliata biografia degli anni Cinquanta.
I saggi in catalogo sono di Paolo Rusconi, Claudio Spadoni, Gloria Manghetti. L’organizzazione della mostra avviene nell’ambito dei Musei di Stato della Repubblica di San Marino.
Oltre a questi testi saranno pubblicati degli estratti inediti dalla corrispondenza dell’artista e dai suoi scritti. Accanto alla mostra saranno previste una serie di manifestazioni collaterali quali conferenze e lezioni e attività didattiche per le scuole.
Ufficio stampa: Alessandra Pozzi, tel 3385965789, alessandra_pozzi@tiscali.it
San Marino, Museo San Francesco (via Basilicius) - Repubblica di San Marino
14 marzo - 30 giugno 2010
Orario: 9.00 – 17.00 (tutti i giorni)
Ingresso libero
Per informazioni: tel. 0549 885132 - 885414
Catalogo edito da Scalpendi (pagine 152, prezzo di copertina Euro 27,00, w.scalpendieditore.eu)
Testi di Paolo Rusconi, Claudio Spadoni, Gloria Manghetti, Ana Gonçalves Magalhães, Giacinta Cavagna di Gualdana, Ilaria De Palma, Maria Chiara Monaldi, Viviana Birolli.
Biografia Renato Birolli
Nato a Verona il 10 dicembre 1905 da famiglia operaia, Renato Birolli manifesta il suo interesse per la pittura già a tredici anni. Nonostante questa sua precoce propensione, porta a termine gli studi di ragioneria, assecondando i desideri del padre, e solo nel 1925 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Verona. Espulso dopo due anni per indisciplina, nel’28 si trasferisce a Milano, dove compie saltuari lavori come decoratore, corrispondente sportivo, venditore di polizze. Due anni dopo trova impiego come correttore di bozze presso “L’Ambrosiano”, dove conosce Carlo Carrà, allora critico del quotidiano milanese, ed Edoardo Persico, direttore della Galleria del Milione presso la quale Birolli espone nel mese di novembre. Nello stesso anno partecipa alla sua prima Biennale di Venezia con due opere.
Nel frattempo, l’influenza di Persico sul suo orizzonte creativo si fa sempre più evidente e sempre più assidui divengono i contatti con la Galleria di via Brera – dove espone nel’31 – e con giovani artisti milanesi (Manzù, Sassu) e romani (Mafai, Cagli, Mazzacurati, Guttuso). Le opere di questo periodo e soprattutto quelle esposte nel’32 alla Galleria del Milione, tra cui il celebre San Zeno Pescatore, rivelano una profonda ricerca di rigore, di semplificazione formale, di rifiuto dell’accademismo del Novecento e dei suoi vuoti clichés stilistici. In questi anni scrive recensioni ed articoli per “Il Brennero”, “L’Ambrosiano”, “L’Italia Vivente” ed espone in varie sedi: presso la Galleria di Roma di Pier Maria Bardi (’32) nella mostra collettiva Dieci pittori, alla VI Sindacale di Lombardia, alla mostra di pittura franco – italiana di Londra ed alla mostra di pittura italiana contemporanea di San Francisco. Nel’35 cessano i contatti con Persico e si consolida invece sempre più il rapporto con il critico Sandro Bini, fino a divenire un autentico connubio spirituale di rara intensità, interrotto solo dalla morte di quest’ultimo nel’43. Fondamentale in questi anni la frequentazione di Quasimodo e dei poeti ermetici, a proposito dei quali Birolli afferma: “Posso dire che costoro modificavano il modo di sognare la realtà”. Nel corso del’36 inizia la stesura dei primi Taccuini, la cui prima edizione risale all’inizio degli anni‘40, e si reca per la prima volta a Parigi, dove incontra Lionello Venturi in esilio. In collaborazione con Bini pubblica nel’37 le Metamorfosi, volume composto da quarantasei disegni dell’artista e da una postfazione dell’amico e critico. Allo stesso anno risale l’arresto e l’incarcerazione per motivi politici, cui seguirà il licenziamento da “L’Ambrosiano”. Dal’38 la sua attività artistica si lega alle vicende di Corrente, movimento culturale ed artistico di opposizione che accomunava artisti, intellettuali e poeti sotto l’unico imperativo del rinnovamento e del superamento dei confini di un’arte “Nazionale”. Nello stesso anno sposa Rosa Rossi, da lui soprannominato Rò, e, in occasione della mostra alla Galleria Genova di Genova, in cui espone insieme a Manzù, conosce il suo futuro collezionista Alberto Della Ragione; partecipa, inoltre, a numerose esposizioni in gallerie di diverse città italiane. Del 1941 è la pubblicazione per le edizioni di Corrente di una monografia dell’artista curata da Sandro Bini. Espone alla XXIII Biennale di Venezia del’42.
Nel periodo bellico partecipa attivamente alla Resistenza: resta emblema della violenza e della brutalità della guerra il ciclo di ottantasette disegni della Resistenza noti come Italia ’44. Lo stesso Birolli scrive nei suoi Taccuini: “Non ho potuto frenare né il disgusto, né la rivolta per quanto ho veduto in quella orribile annata, che parve l’ultima della nostra possibilità di vivere… e anche la vita appariva come un continuo atto di demenza”. Dopo la Liberazione, Birolli espone alla Galleria Santa Redegonda di Milano le opere del periodo 1943 – ’45, tele “animate da un espressionismo più acceso, più grave, forse più triste” (Birolli ’54). Nel’46 Birolli si fa promotore e animatore, insieme a Giuseppe Marchiori, della Nuova Secessione Artistica, divenuta l’anno seguente Fronte Nuovo delle Arti, gruppo d’artisti accomunati dal desiderio di dare vita ad una nuova prospettiva dialettica fra arte e vita, arte e realtà sociale, gruppo che verrà alla ribalta durante la Biennale del 1948; ma sarà questo sogno destinato a cadere in breve tempo, minato anche dal progressivo radicalizzarsi del contrasto politico e dalle crescenti pressioni del P.C.I. verso l’allineamento ad un rigido realismo di regime, cui Birolli si oppone con fermezza. È dal’46 l’incontro con Cavellini, che diverrà in seguito il suo più importante collezionista. Dal’47 al’49 l’artista soggiorna per lunghi periodi a Parigi ed in Bretagna e si confronta con l’arte di Picasso, approdando a quello che Cavellini definisce “cubismo sentimentale…ricco di ritmi circolari”. Nell’estate del’50 è per la prima volta nelle Marche, a Fosso Sejore, dove lavora alla preparazione di una mostra a New York presso la Galleria di Catherine Viviano, presentatagli l’anno prima dall’amico Afro; è nel catalogo di questa mostra che Venturi definirà la pittura di Birolli “astratto – concreto”. Pochi mesi prima della Biennale di San Paolo del Brasile e di una personale a Molano, cominciano i primi contatti tra gli artisti che formeranno il Gruppo degli Otto, la cui presentazione ufficiale avviene alla XXVI Biennale di Venezia (‘52), dove a Birolli è riservata una sala personale.
Negli anni Cinquanta l’artista trova un’importante fonte d’ispirazione nei suoi soggiorni estivi, in quelle che lui stesso definisce vere e proprie “fughe, … prove fisiche dall’evasione fantastica”: nel’51 a Porto Buso nella Laguna Veneta, nel’52 a Bocca di Magra, nell’inverno del’53 nelle Alpi Apuane e nell’estate ’53 – ’54 a Fosso Sejore, nel’55 a Menarola, nel’56 a Tellaro, nel’57 ad Anversa, nel’58 ancora a Menarola. Proprio da questi periodi di “isolamento creativo” è scandita l’evoluzione stilistica e formale della produzione dei suoi ultimi anni: a Fosso Sejore, infatti, redige i Taccuini delle Marche, a Menarola lavora ai cicli degli Incendi e delle Vendemmie e ad Anversa, infine, si dedica al tema dei cosiddetti Canti. Nel’53 l’artista si reca insieme a Morlotti in Spagna, viaggio di cui restano testimonianza dipinti come Murcia di Cenere e Catalana de fuego. Del’54 è la realizzazione della grande decorazione per la parete dello scalone alla X Triennale di Milano e la partecipazione alla XXVII Biennale di Venezia, che segna il disgregarsi del Gruppo degli Otto.
Prosegue intanto, facendosi sempre più intenso, il rapporto di amicizia e confronto intellettuale con il critico Giuseppe Marchiori, che già dal’34 intratteneva con l’artista un assiduo scambio epistolare. In una lettera a Marchiori Birolli scrive: “il mio ultimo lavoro segna per me un miglioramento verso quella totalità di partecipazione di cui parli e che tecnicamente ha fatto un balzo verso l’armonia stilistica, che è il risultato dello stimolo assai forte al linguaggio che mi sono costruito a mie spese. Ora sono dialetticamente armonico, non mi resta che raccontare”. I quadri di questo ciclo vengono esposti nel’55 a New York presso la C. Viviano Gallery; la mostra riscuote un grande successo critico e finanziario.
Birolli vince in questi anni numerosi premi ed espone in importanti sedi italiane ed internazionali, spostando progressivamente il suo asse di interesse verso sedi estere, in particolare Germania e Stati Uniti, dove ancora oggi sono conservati molti dei quadri di questo periodo. La produzione di questi anni “dove la dominante lirica si fissa in una squillante indagine cromatica” [Valsecchi], rivela un progressivo abbandono dei vincoli figurativi, fino a giungere nelle ultime opere alla libertà compositiva di una tecnica “a macchia”, in cui la luce è elemento primario per la strutturazione della superficie. Nel ’58 Birolli viene nominato Commissario della Biennale di Venezia e si reca a New York.
Nello stesso anno inizia a lavorare per la preparazione di una grande mostra itinerante in Germania, che sarò inaugurata nel marzo ’59, due mesi prima della sua prematura scomparsa, a cinquantatrè anni, il 3 maggio 1959.
Negli ultimi mesi della sua vita aveva lavorato a quarantuno tempere di illustrazione al testo poetico La Montagna di Sale di A. Lucia.
Lascia importanti scritti ed una larga produzione pittorica, tuttavia mutilata dal grande numero di opere che personalmente distrusse, a seguito di uno spietato processo autocritico.
13
marzo 2010
Renato Birolli – Necropoli e paesaggio adriatico
Dal 13 marzo al 30 giugno 2010
arte contemporanea
Location
MUSEO SAN FRANCESCO
San Marino, Via Basilicius
San Marino, Via Basilicius
Orario di apertura
ore 9.00 – 17.00 (tutti i giorni)
Vernissage
13 Marzo 2010, ore 17
Autore
Curatore