Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
-
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
-
Renato Mertens – Ator di me
Mostra omaggio all’artista friulano recentemente scomparso
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Venerdì 21 novembre alle ore 18:30 presso il Castello di Colloredo di Monte Albano sarà inaugurata “Ator di me”, mostra omaggio a Renato Mertens, artista friulano recentemente scomparso. L’esposizione prende il titolo da una poesia di Elio Bartolini, autore al quale Mertens era molto legato e che con i suoi versi aveva ispirato diversi ultimi lavori.
Ma “Ator di me”, attorno a me, nell’intenzione dei curatori Alessandro Venuti e Margherita Plos, vuol essere più di un semplice riferimento ad un opera e questo emerge chiaramente dal testo che Barbara Cinelli ha scritto per il catalogo della mostra. E’ una lettera indirizzata a Renato, che per sua natura rimanda ad una dimensione altra rispetto a quella dell’evento/mostra andando dritta a colpire i ricordi di quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo come uomo ed allo stesso tempo mettendo tutti, anche chi per la prima volta sente parlare di lui, nelle condizioni di comprenderne il valore in relazione ad un contesto più ampio: la storia dell’arte italiana.
Testo in catalogo mostra “Ator di me”- Castello di Colloredo 21 novembre/14 dicembre 2008
LETTERA PER RENATO
Da Firenze, ottobre 2008
Caro Renato,
in due mattinate di ottobre, nel tuo studio di via San Gallo a Firenze, hai regalato ai tuoi giovani amici di Majano, Alessandro e Margherita con Stefano, a tuo figlio Giovanni, e a me, la scoperta di una vita ricca, curiosa, e percorsa da inesauribile desiderio di afferrare con i tuoi colori le emozioni che di volta in volta la realtà ed i sogni ti offrivano in egual misura.
Così, per questa tua mostra nel tuo Friuli ho desiderato che anche altri potessero ripercorrere nelle immagini le vicende di un legame con l’arte, intermittente a volte per le più forti ragioni della quotidianità, ma mai spento, e riemerso con giovanile allegria in anni che molti trascinano nel grigiore di una anticipata vecchiaia, e che tu invece sapevi attraversare con passo garibaldino, spesso ostentando con ironico guizzo quella sciarpa rossa che – ricordi? – mi muoveva a una complice risata.
Per questo, spero che tu non me ne voglia, ho fatto riemergere un bel gruppetto di piccole tele e cartoni, sui quali, ventenne, hai misurato le tue forze a fronte delle novità che finalmente, nell’Italia liberata, i giovani artisti potevano conoscere: i grandi maestri, come Picasso e Matisse, e alcuni italiani come Viani e Vedova, che indicavano vie contrapposte di semplificazione volumetrica e esplosione cromatica; ma pur sempre restava, come suggello di una individuale vocazione, e forse inconsapevole legame con umori mitteleuropei non rari tra Friuli e Venezia Giulia all’indomani della guerra, un marcato interesse a deformare immagini e strappare colori, mentre l’accento si posava deciso su inquietudini di figure al caffè o in processione, e appena si addolciva su intimità di donne o di fronte a paesi familiari.
Ti ho anche immaginato negli anni che seguivano, mentre attento percorrevi le Biennali veneziane, dove i linguaggi del neorealismo cedevano alle sperimentazioni dell’informale, nelle sue declinazioni segniche, gestuali e nucleari, e subito ti provavi in quelle sollecitazioni, nelle quali riversavi i gialli, i blu, gli arancio, fin d’allora così carichi e tuoi; e ne rimane una composizione del 1957, scoppiettante di energia, in cui tra gocciolature, macchie e grovigli si dispongono forme irregolari che fluttuano liberamente: maschere forse, perché sulla sinistra scendono a cascata coriandoli dorati di un ultimo, misterioso, carnevale, appena prima di una lunga e forzata astinenza dalla pittura.
Ma nel decennio successivo non sembri aver rinunciato a nulla, e come a recuperare il tempo passato, mentre rifletti su Fontana, combinando le nuove iconografie dell’astrazione con i colori acidi e decisi della tua tavolozza, dialoghi con le soluzioni proposte a Roma dai giovani raggruppati intorno a Piazza del Popolo, per superare con soluzioni ironiche e sapienza di spaziature cromatiche quell’informale che ora cedeva alla ripetizione ineloquente: spesso nel tuo studio abbiamo guardato insieme quella tavola del 1969, e con la ritrosia gentile che ti era propria ti schermivi quando io indicavo la sicurezza degli accostamenti cromatici e delle sovrapposizioni materiche, la rinuncia ad effetti compiacenti in quelle bruciature che negavano il potere sensuale degli impasti di colore, e che certo memori di Burri come testimoniano le tue plastiche del 1970, divenivano parole di un nuovo vocabolario, trasferite con intelligenza da quella grandiosità epica alla costruzione di nuovi racconti, nei quali la combustione della materia risparmiava un allucinato viandante. Dovettero essere anni intensi di aggiornamenti e di acuti sguardi sull’orizzonte complicato degli anni Settanta, quando immaginavi quell’ apparizione femminile – una “vanitas”? - che si rispecchia, si raddoppia, e si moltiplica, e trasmuta da consistenza ad affiorare incerto, dialoga per assonanza di fisionomia con una vergine medievale di Norimberga, chissà da quale dei tuoi libri ritagliata.
Poi, siamo nel 1976, irrompe prepotentemente, nei percorsi dove combini figurazione e non-figurazione, una iconografia che potrebbe essere banale, e risulta invece allusiva e struggente: le bambole, che appartengono solo a quell’anno, rimandano al tuo impegno col centro “Il Perseo” a Firenze negli anni Settanta, perché i bambini potessero riappropriarsi col gioco del loro tempo e della loro fantasia; ma nell’abbandono disarticolato fino alla deformazione dicono anche - l’ha suggerito Alessandro, che nel tuo studio ha trovato un numero di “Epoca” tutto dedicato a quella tragedia – dei corpi inerti sollevati con pietà dalle macerie del Friuli distrutto proprio in quell’anno, a volte bambine, inanimate ormai come le bambole che stringevano.
Dopo quel 1976, non più bambole, ma donne, una iconografia che forse seguita a svolgere le riflessioni sull’identità femminile in parte iniziata con gli incontri a “Il Perseo”: e per tutti gli anni Ottanta, ormai consegnato felicemente alla tua vocazione di pittore, nudi sontuosi dialogano con composizioni astratte, dove i neri lucenti sprofondano come le pupille e le capigliature delle modelle, e le curve sapienti dei bruni cartoni riecheggiano le sinuose anatomie di moderne Olympia; o, viceversa, anatomie segmentate risaltano come incastri di sagome ritagliate in materiali di colori sordi e opachi; e l’attraversamento disinvolto dei confini tra figurazione e non-figurazione, un tempo contrapposte in un dissidio insanabile ed ormai riconosciute come due modalità espressive paritarie e parimenti legittime, dice della modernità della tua esperienza.
E poi è venuta la stagione della poesia, come se le carte colorate, i cartoni ondulati, i legni da imballaggio, i collage, i neon, esperiti nelle loro possibilità linguistiche attraverso le composizioni astratte, le “amigdale”, le figure femminili, fossero ormai divenute parole di un vocabolario posseduto per dare immagine ai poeti amati: Pasolini e la sua rabbia dolente, Elio Bartolini e la “piccola patria”, Ungaretti e le folgoranti accensioni dei suoi versi scarni.
“M’illumino d’immenso”: scritta il 26 gennaio 1917 a Santa Maria La Longa, in provincia di Udine, ritorna in Friuli, nella forma in cui tu l’hai pensata, e ci accoglie nel Castello di Colloredo. Ciao, Renato, ci saremo anche noi.
Barbara Cinelli
Barbara Cinelli risiede a Firenze ed insegna Storia dell’arte Contemporanea presso l’Università Roma 3, ha insegnato la stessa materia a Udine. In passato ha scritto diverse volte per R. Mertens.
Biografia
Nato a Tarcento nel 1927, poco amante dei clamori, uomo colto e raffinato, aveva scelto Firenze come sua dimora, ma ogni estate la trascorreva nella casa/studio di Majano, “in quella terra friulana oggetto di accorata nostalgia, sensuale in origine” come ebbe a scrivere P.P.Pasolini, autore a lui molto caro e fonte di ispirazione per un importante ciclo di opere legate alla poesia. La storia artistica di Renato Mertens ebbe inizio negli anni dell’immediato dopoguerra quando tra una lezione di giurisprudenza e l’altra, appena ventenne, iniziò a frequentare gli studi di artisti veneti e friulani e sempre in quegli anni a Venezia conobbe Luciano Ceschia, scultore al quale fu legato da una profonda amicizia. Instancabile sperimentatore, Mertens ha sempre prediletto il piacere del fare scansando facili compromessi e facendo del suo lavoro, come ebbe a dire Federico Napoli, un personale punto di incontro di svariate esperienze; da certi preziosismi tecnici primi XX secolo alla durezza espressionista, dall'azione di recupero cara a movimenti storici, alla pratica fattasi teoria del continuo cambiamento divenuto stile. Tutte esperienze queste recuperate e plasmate da una personalità indipendente che negli anni sessanta a Roma realizzò le prime opere materiche su tela e tavola con bruciature e plastica. Sperimentazioni che negli anni seguenti si fecero sentire in opere in cui la donna diventò protagonista, rappresentata con figure ridotte a semplici contorni, spesso anonime e senza identità che guardano aggressive verso l'autore che a sua volta le aggredisce. Un lento e progressivo distacco dalla figurazione arrivò negli anni ottanta in opere di estrema sintesi realizzate attraverso l'uso di tecniche miste e di materiali recuperati applicati su superfici diverse come legno, faesite, cartone, tela. Forte di questa esperienza ed affascinato da materiali carichi di vissuto, come sacchi, coperchi di casse, lastre di piombo,ecc. Mertens approfondì i rapporti tra arte e poesia arrivando a realizzare dagli anni novanta ad oggi opere/raffronto con testi di Dante, Marinetti, Ungaretti, Pasolini, Bartolini,ecc. con un fare che Tito Maniacco descrisse in questi termini:"Mertens ha affrontato più di una volta il rapporto pittura-poesia che si dipana come negli scacchi quando si gioca su due colori la stessa partita" . Memorabile in tal senso la mostra “A Elio Bartolini” tenutasi nell’ottobre 2006 presso il Castello di Susans. La curiosità ed il desiderio di sperimentare lo hanno portato poi a lavorare in direzioni non specificatamente pittoriche attraverso l’utilizzo di luci al neon, superfici specchianti ed installazioni realizzate con i materiali più vari, come l’anno scorso per la mostra “Camera 312 – promemoria per Pierre” in seno agli eventi collaterali della cinquantaduesima Biennale Internazionale d’arte di Venezia.
Il 25 marzo del 2008 con Renato Mertens se n’è andato un protagonista discreto ma incisivo della vita culturale friulana e la mostra di Colloredo intende essere un primo passo verso la riscoperta di un artista che pur lontano ha sempre tenuto costanti rapporti con la sua terra e con molte delle personalità che questa ha saputo generare.
Mertens frequenta giovanissimo De Pisis e quasi contemporaneamente Vedova e Luciano Ceschia, al quale lo unirà una salda amicizia. Dal 1951 al ’60 svolge l’attività pittorica tra l’ambiente culturale dell’Alto Adige e quello friulano. Nel decennio successivo vive ad Ancona, poi a Firenze, quindi a Roma. Qui realizza i primi materici su tela con bruciature e plastica. Dal ’72 all’81 concentra l’attenzione sulla figura femminile, iniziando un lungo itinerario nel mondo della donna vista sul piano formale ed introspettivo; si rivolge a materiali inusuali e di recupero, realizzando prevalentemente collages e tecniche miste. Gli anni dall’82 all’86 segnano un progressivo distacco dalla figurazione, che comunque sarà ripresa successivamente e sviluppata parallelamente alle opere astratte realizzate a partire da materiali quali il legno, il cartone ed il vetro. Dalla fine degli anni ’80 l’artista sceglie definitivamente uno studio nel centro storico di Firenze ed inizia un ulteriore percorso che da metà degli anni novanta al 2007 lo porta ad affrontare più di una volta il rapporto pittura/poesia ed a confrontarsi con testi di Dante, Marinetti, Montale, Ungaretti, Pasolini e Bartolini. Negli ultimi anni vive e lavora a Firenze, con lunghe parentesi estive nello studio di Majano (Ud). Renato Mertens muore il 25 marzo del 2008. Con lui se ne va un protagonista discreto ma incisivo della vita culturale friulana e la mostra di Colloredo di Monte Albano intende essere un primo passo verso la riscoperta di un artista che pur lontano ha sempre tenuto costanti rapporti con la sua terra e con molte delle personalità che questa ha saputo generare.
Ma “Ator di me”, attorno a me, nell’intenzione dei curatori Alessandro Venuti e Margherita Plos, vuol essere più di un semplice riferimento ad un opera e questo emerge chiaramente dal testo che Barbara Cinelli ha scritto per il catalogo della mostra. E’ una lettera indirizzata a Renato, che per sua natura rimanda ad una dimensione altra rispetto a quella dell’evento/mostra andando dritta a colpire i ricordi di quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo come uomo ed allo stesso tempo mettendo tutti, anche chi per la prima volta sente parlare di lui, nelle condizioni di comprenderne il valore in relazione ad un contesto più ampio: la storia dell’arte italiana.
Testo in catalogo mostra “Ator di me”- Castello di Colloredo 21 novembre/14 dicembre 2008
LETTERA PER RENATO
Da Firenze, ottobre 2008
Caro Renato,
in due mattinate di ottobre, nel tuo studio di via San Gallo a Firenze, hai regalato ai tuoi giovani amici di Majano, Alessandro e Margherita con Stefano, a tuo figlio Giovanni, e a me, la scoperta di una vita ricca, curiosa, e percorsa da inesauribile desiderio di afferrare con i tuoi colori le emozioni che di volta in volta la realtà ed i sogni ti offrivano in egual misura.
Così, per questa tua mostra nel tuo Friuli ho desiderato che anche altri potessero ripercorrere nelle immagini le vicende di un legame con l’arte, intermittente a volte per le più forti ragioni della quotidianità, ma mai spento, e riemerso con giovanile allegria in anni che molti trascinano nel grigiore di una anticipata vecchiaia, e che tu invece sapevi attraversare con passo garibaldino, spesso ostentando con ironico guizzo quella sciarpa rossa che – ricordi? – mi muoveva a una complice risata.
Per questo, spero che tu non me ne voglia, ho fatto riemergere un bel gruppetto di piccole tele e cartoni, sui quali, ventenne, hai misurato le tue forze a fronte delle novità che finalmente, nell’Italia liberata, i giovani artisti potevano conoscere: i grandi maestri, come Picasso e Matisse, e alcuni italiani come Viani e Vedova, che indicavano vie contrapposte di semplificazione volumetrica e esplosione cromatica; ma pur sempre restava, come suggello di una individuale vocazione, e forse inconsapevole legame con umori mitteleuropei non rari tra Friuli e Venezia Giulia all’indomani della guerra, un marcato interesse a deformare immagini e strappare colori, mentre l’accento si posava deciso su inquietudini di figure al caffè o in processione, e appena si addolciva su intimità di donne o di fronte a paesi familiari.
Ti ho anche immaginato negli anni che seguivano, mentre attento percorrevi le Biennali veneziane, dove i linguaggi del neorealismo cedevano alle sperimentazioni dell’informale, nelle sue declinazioni segniche, gestuali e nucleari, e subito ti provavi in quelle sollecitazioni, nelle quali riversavi i gialli, i blu, gli arancio, fin d’allora così carichi e tuoi; e ne rimane una composizione del 1957, scoppiettante di energia, in cui tra gocciolature, macchie e grovigli si dispongono forme irregolari che fluttuano liberamente: maschere forse, perché sulla sinistra scendono a cascata coriandoli dorati di un ultimo, misterioso, carnevale, appena prima di una lunga e forzata astinenza dalla pittura.
Ma nel decennio successivo non sembri aver rinunciato a nulla, e come a recuperare il tempo passato, mentre rifletti su Fontana, combinando le nuove iconografie dell’astrazione con i colori acidi e decisi della tua tavolozza, dialoghi con le soluzioni proposte a Roma dai giovani raggruppati intorno a Piazza del Popolo, per superare con soluzioni ironiche e sapienza di spaziature cromatiche quell’informale che ora cedeva alla ripetizione ineloquente: spesso nel tuo studio abbiamo guardato insieme quella tavola del 1969, e con la ritrosia gentile che ti era propria ti schermivi quando io indicavo la sicurezza degli accostamenti cromatici e delle sovrapposizioni materiche, la rinuncia ad effetti compiacenti in quelle bruciature che negavano il potere sensuale degli impasti di colore, e che certo memori di Burri come testimoniano le tue plastiche del 1970, divenivano parole di un nuovo vocabolario, trasferite con intelligenza da quella grandiosità epica alla costruzione di nuovi racconti, nei quali la combustione della materia risparmiava un allucinato viandante. Dovettero essere anni intensi di aggiornamenti e di acuti sguardi sull’orizzonte complicato degli anni Settanta, quando immaginavi quell’ apparizione femminile – una “vanitas”? - che si rispecchia, si raddoppia, e si moltiplica, e trasmuta da consistenza ad affiorare incerto, dialoga per assonanza di fisionomia con una vergine medievale di Norimberga, chissà da quale dei tuoi libri ritagliata.
Poi, siamo nel 1976, irrompe prepotentemente, nei percorsi dove combini figurazione e non-figurazione, una iconografia che potrebbe essere banale, e risulta invece allusiva e struggente: le bambole, che appartengono solo a quell’anno, rimandano al tuo impegno col centro “Il Perseo” a Firenze negli anni Settanta, perché i bambini potessero riappropriarsi col gioco del loro tempo e della loro fantasia; ma nell’abbandono disarticolato fino alla deformazione dicono anche - l’ha suggerito Alessandro, che nel tuo studio ha trovato un numero di “Epoca” tutto dedicato a quella tragedia – dei corpi inerti sollevati con pietà dalle macerie del Friuli distrutto proprio in quell’anno, a volte bambine, inanimate ormai come le bambole che stringevano.
Dopo quel 1976, non più bambole, ma donne, una iconografia che forse seguita a svolgere le riflessioni sull’identità femminile in parte iniziata con gli incontri a “Il Perseo”: e per tutti gli anni Ottanta, ormai consegnato felicemente alla tua vocazione di pittore, nudi sontuosi dialogano con composizioni astratte, dove i neri lucenti sprofondano come le pupille e le capigliature delle modelle, e le curve sapienti dei bruni cartoni riecheggiano le sinuose anatomie di moderne Olympia; o, viceversa, anatomie segmentate risaltano come incastri di sagome ritagliate in materiali di colori sordi e opachi; e l’attraversamento disinvolto dei confini tra figurazione e non-figurazione, un tempo contrapposte in un dissidio insanabile ed ormai riconosciute come due modalità espressive paritarie e parimenti legittime, dice della modernità della tua esperienza.
E poi è venuta la stagione della poesia, come se le carte colorate, i cartoni ondulati, i legni da imballaggio, i collage, i neon, esperiti nelle loro possibilità linguistiche attraverso le composizioni astratte, le “amigdale”, le figure femminili, fossero ormai divenute parole di un vocabolario posseduto per dare immagine ai poeti amati: Pasolini e la sua rabbia dolente, Elio Bartolini e la “piccola patria”, Ungaretti e le folgoranti accensioni dei suoi versi scarni.
“M’illumino d’immenso”: scritta il 26 gennaio 1917 a Santa Maria La Longa, in provincia di Udine, ritorna in Friuli, nella forma in cui tu l’hai pensata, e ci accoglie nel Castello di Colloredo. Ciao, Renato, ci saremo anche noi.
Barbara Cinelli
Barbara Cinelli risiede a Firenze ed insegna Storia dell’arte Contemporanea presso l’Università Roma 3, ha insegnato la stessa materia a Udine. In passato ha scritto diverse volte per R. Mertens.
Biografia
Nato a Tarcento nel 1927, poco amante dei clamori, uomo colto e raffinato, aveva scelto Firenze come sua dimora, ma ogni estate la trascorreva nella casa/studio di Majano, “in quella terra friulana oggetto di accorata nostalgia, sensuale in origine” come ebbe a scrivere P.P.Pasolini, autore a lui molto caro e fonte di ispirazione per un importante ciclo di opere legate alla poesia. La storia artistica di Renato Mertens ebbe inizio negli anni dell’immediato dopoguerra quando tra una lezione di giurisprudenza e l’altra, appena ventenne, iniziò a frequentare gli studi di artisti veneti e friulani e sempre in quegli anni a Venezia conobbe Luciano Ceschia, scultore al quale fu legato da una profonda amicizia. Instancabile sperimentatore, Mertens ha sempre prediletto il piacere del fare scansando facili compromessi e facendo del suo lavoro, come ebbe a dire Federico Napoli, un personale punto di incontro di svariate esperienze; da certi preziosismi tecnici primi XX secolo alla durezza espressionista, dall'azione di recupero cara a movimenti storici, alla pratica fattasi teoria del continuo cambiamento divenuto stile. Tutte esperienze queste recuperate e plasmate da una personalità indipendente che negli anni sessanta a Roma realizzò le prime opere materiche su tela e tavola con bruciature e plastica. Sperimentazioni che negli anni seguenti si fecero sentire in opere in cui la donna diventò protagonista, rappresentata con figure ridotte a semplici contorni, spesso anonime e senza identità che guardano aggressive verso l'autore che a sua volta le aggredisce. Un lento e progressivo distacco dalla figurazione arrivò negli anni ottanta in opere di estrema sintesi realizzate attraverso l'uso di tecniche miste e di materiali recuperati applicati su superfici diverse come legno, faesite, cartone, tela. Forte di questa esperienza ed affascinato da materiali carichi di vissuto, come sacchi, coperchi di casse, lastre di piombo,ecc. Mertens approfondì i rapporti tra arte e poesia arrivando a realizzare dagli anni novanta ad oggi opere/raffronto con testi di Dante, Marinetti, Ungaretti, Pasolini, Bartolini,ecc. con un fare che Tito Maniacco descrisse in questi termini:"Mertens ha affrontato più di una volta il rapporto pittura-poesia che si dipana come negli scacchi quando si gioca su due colori la stessa partita" . Memorabile in tal senso la mostra “A Elio Bartolini” tenutasi nell’ottobre 2006 presso il Castello di Susans. La curiosità ed il desiderio di sperimentare lo hanno portato poi a lavorare in direzioni non specificatamente pittoriche attraverso l’utilizzo di luci al neon, superfici specchianti ed installazioni realizzate con i materiali più vari, come l’anno scorso per la mostra “Camera 312 – promemoria per Pierre” in seno agli eventi collaterali della cinquantaduesima Biennale Internazionale d’arte di Venezia.
Il 25 marzo del 2008 con Renato Mertens se n’è andato un protagonista discreto ma incisivo della vita culturale friulana e la mostra di Colloredo intende essere un primo passo verso la riscoperta di un artista che pur lontano ha sempre tenuto costanti rapporti con la sua terra e con molte delle personalità che questa ha saputo generare.
Mertens frequenta giovanissimo De Pisis e quasi contemporaneamente Vedova e Luciano Ceschia, al quale lo unirà una salda amicizia. Dal 1951 al ’60 svolge l’attività pittorica tra l’ambiente culturale dell’Alto Adige e quello friulano. Nel decennio successivo vive ad Ancona, poi a Firenze, quindi a Roma. Qui realizza i primi materici su tela con bruciature e plastica. Dal ’72 all’81 concentra l’attenzione sulla figura femminile, iniziando un lungo itinerario nel mondo della donna vista sul piano formale ed introspettivo; si rivolge a materiali inusuali e di recupero, realizzando prevalentemente collages e tecniche miste. Gli anni dall’82 all’86 segnano un progressivo distacco dalla figurazione, che comunque sarà ripresa successivamente e sviluppata parallelamente alle opere astratte realizzate a partire da materiali quali il legno, il cartone ed il vetro. Dalla fine degli anni ’80 l’artista sceglie definitivamente uno studio nel centro storico di Firenze ed inizia un ulteriore percorso che da metà degli anni novanta al 2007 lo porta ad affrontare più di una volta il rapporto pittura/poesia ed a confrontarsi con testi di Dante, Marinetti, Montale, Ungaretti, Pasolini e Bartolini. Negli ultimi anni vive e lavora a Firenze, con lunghe parentesi estive nello studio di Majano (Ud). Renato Mertens muore il 25 marzo del 2008. Con lui se ne va un protagonista discreto ma incisivo della vita culturale friulana e la mostra di Colloredo di Monte Albano intende essere un primo passo verso la riscoperta di un artista che pur lontano ha sempre tenuto costanti rapporti con la sua terra e con molte delle personalità che questa ha saputo generare.
21
novembre 2008
Renato Mertens – Ator di me
Dal 21 novembre al 14 dicembre 2008
arte contemporanea
Location
CASTELLO DI COLLOREDO
Colloredo Di Monte Albano, Piazza Castello, 7, (Udine)
Colloredo Di Monte Albano, Piazza Castello, 7, (Udine)
Orario di apertura
Giovedì e Venerdì dalle 17 alle 20, Sabato dalle 16 alle 20, Domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 20
Vernissage
21 Novembre 2008, ore 18.30
Sito web
www.renatomertens.it
Autore
Curatore