Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Renzo Biasion – L’intimità del silenzio
Renzo Biasion è soprattutto conosciuto come scrittore: fra le sue opere di narrativa si ricordano in particolare Tempi bruciati e Sagapò, a cui si è ispirato il regista Gabriele Salvatores per il suo film Mediterraneo, vincitore di un premio Oscar. Ma Biasion è stato anche un pittore e incisore.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Renzo Biasion è soprattutto conosciuto come scrittore: fra le sue opere di narrativa si ricordano in particolare Tempi bruciati (1948) e Sagapò (1954), a cui si è ispirato il regista Gabriele Salvatores per il suo film Mediterraneo, vincitore di un premio Oscar nel 1992. Ma Biasion è stato anche un artista completo, pittore e incisore, e l’incisione pare essere il terreno privilegiato per potersi avvicinare alla sua opera. Le acqueforti esposte sono state realizzate a partire dagli anni ’60 ed in esse sono ben visibili i tratti dominanti della sua arte: un linguaggio sobrio con cui egli rappresenta interni e paesaggi, legati alla sua storia personale, immersi in un silenzio caratterizzato dall’assenza della figura umana. E anche nei fogli dedicati a ritratti o figure, la presenza umana è avvolta nella quiete, quasi a non voler disturbare il lavoro dell’artista.
Lo stesso artista descrisse il suo lavoro con queste parole:
Nota per le mie incisioni
Come molti pittori ho incominciato tardi a incidere. E la prima spinta è stata pratica, volevo riprodurre per gli amici alcune vedute dei campi di concentramento tedeschi, che avevo disegnato dal vero durante la prigionia. La passione è venuta dopo. Nel campo di Biala Podlaska, novanta chilometri a nord di Varsavia, avevo a disposizione minuscoli fogli di carta, alcuni pennini da disegno e una boccetta di inchiostro di china. Quei pennini e quell’inchiostro li avevo acquistati ad Atene ed erano stati fatti prigionieri, col loro proprietario, a Creta. Mi aiutavano a vivere perché ai tedeschi davo disegni in cambio di pane. Ricordo che quando lavoravo all’aperto l’inchiostro gelava nella boccetta. Ma, finita la guerra, nella dolcezza ritrovata della casa, mi fu impossibile rifare quei disegni, appartenevano troppo al passato. Così, avendo preso le lastre, la bacinella, l’acido, e avendo rispolverato le nozioni imparate a scuola, cominciai dapprima a rifare qualche quadro, e poi a uscire all’aperto, anziché col foglio bianco, la penna o la matita, con le punte d’acciaio e la lastra affumicata. L’incisione è disegno; che si fa con strumenti diversi dalla matita, però, e che in forza di svariati accorgimenti di mestiere permette di ottenere una vasta gamma di risultati. Ma la sostanza non muta e sta a provarlo il fatto che un buon disegnatore può diventar presto anche un buon incisore mentre un cattivo disegnatore non riuscirà mai, anche usando con gusto e abilità le risorse offerte dall’acido e dall’inchiostro (molte delle quali i veri incisori chiamano “trucco”) a mascherare del tutto questa sua insufficienza. E poiché il disegno è l’espressione prima dell’artista, la più spontanea e diretta, volendo considerare l’incisione soltanto un disegno, ho cercato di fare con la punta d’acciaio quel che facevo con la matita, trasferire cioè sulla lastra anziché sul foglio una emozione provata, un appunto, una idea, o una composizione che mi interessava e che ritenevo adatta alla punta e al nero più che al pennello e al colore. E’ chiaro che l’usare mezzi diversi non poteva cambiare nella sostanza un mondo già formato, per cui i soggetti delle mie incisioni sono spesso i medesimi dei quadri: paesaggi, case, interni, ritratti. Ma la punta, obbligandomi a “guardare” in modo diverso, mi ha condotto a una indagine sul vero tutta particolare, e a particolari predilezioni. Mi spiego con un esempio: come lo scrittore può affrontare temi quasi vietati alla pittura, diciamo la descrizione di uno stato d’animo, così l’incisione può arrivare con la sottile punta là dove il pennello perderebbe di mordente, diciamo la descrizione di un insetto, di una conchiglia, di un tronco d’albero, di un mazzo d’erbe, dei fiori quando sono diventati secchi, e così via. Credo che ciò porti tutti gli incisori a particolari predilezioni, e nel mio caso sono certe facciate di case popolari, le periferie delle città industriali, col loro intrico di fili, di viali e di rotaie, l’interno dello studio, vale a dire un mondo creato da me, i fiori secchi e le conchiglie, che mi ricordano il mare, percorso da generazioni di miei antenati, e perciò forse rimasto nel mio sangue come una nostalgia di spazio, di forza e di purezza. Ecco che l’incisione, indicandomi nuove strade, ha reso più ampio il campo dei miei interessi. Il che significa un allargamento dell’apprendere, e del vivere. Questo può risultare importante per uno che considera la pittura un modo di comunicare e compito del pittore il prendere e capire per poter poi dare, Dio aiutando, con bellezza e verità.
Renzo Biasion
Renzo Biasion è nato a Treviso nel 1914 da famiglia veneziana. Conseguito il diploma al Liceo Artistico di Venezia, inizia l’insegnamento del disegno nelle Scuole Industriali di Feltre. Appartengono a questi anni (1938/40) i primi “interni”, le prime “periferie” e alcuni “ritratti” a olio e acquerello. Nel 1946 espone alla Piccola Galleria di Venezia una serie di “interni” che attirano l’attenzione di Sergio Solmi, direttore della rivista milanese Le Arti. E’ un periodo di intenso lavoro letterario e giornalistico.
Nel ’48 pubblica “Tempi bruciati”, quindi lascia l’insegnamento e si trasferisce a Torino dove è inviato speciale del quotidiano La Gazzetta del Popolo; scrive i racconti di “Sagapò” che saranno raccolti in volume nel 1954, con una presentazione di Elio Vittorini (Einaudi Ed., Torino). In seguito al successo di “Sagapò” (a cui si è ispirato il regista Gabriele Salvatores per il suo film Mediterraneo, vincitore di un premio Oscar) gli viene offerta la rubrica d’arte sul settimanale Oggi di Milano, della quale è stato titolare per trentaquattro anni.
Trasferitosi a Bologna lascia la letteratura per dedicarsi alla pittura, all’incisione e alla critica d’arte. Ritorna quindi all’insegnamento ottenendo, per concorso, la cattedra di “Figura disegnata” al Liceo Artistico di Firenze.
Biasion ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma, alle Biennali dell’incisione di Venezia, alle Biennali di Milano e alle Quadriennali di Torino; oltre che nelle maggiori mostre di pittura in Italia e all’estero. E’ stato accademico delle Arti del disegno, ha conseguito numerosi premi ed onorificenze, fra le quali la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica come benemerito delle Arti, della Cultura e della Scuola.
Renzo Biasion è morto a Firenze nel 1997.
Lo stesso artista descrisse il suo lavoro con queste parole:
Nota per le mie incisioni
Come molti pittori ho incominciato tardi a incidere. E la prima spinta è stata pratica, volevo riprodurre per gli amici alcune vedute dei campi di concentramento tedeschi, che avevo disegnato dal vero durante la prigionia. La passione è venuta dopo. Nel campo di Biala Podlaska, novanta chilometri a nord di Varsavia, avevo a disposizione minuscoli fogli di carta, alcuni pennini da disegno e una boccetta di inchiostro di china. Quei pennini e quell’inchiostro li avevo acquistati ad Atene ed erano stati fatti prigionieri, col loro proprietario, a Creta. Mi aiutavano a vivere perché ai tedeschi davo disegni in cambio di pane. Ricordo che quando lavoravo all’aperto l’inchiostro gelava nella boccetta. Ma, finita la guerra, nella dolcezza ritrovata della casa, mi fu impossibile rifare quei disegni, appartenevano troppo al passato. Così, avendo preso le lastre, la bacinella, l’acido, e avendo rispolverato le nozioni imparate a scuola, cominciai dapprima a rifare qualche quadro, e poi a uscire all’aperto, anziché col foglio bianco, la penna o la matita, con le punte d’acciaio e la lastra affumicata. L’incisione è disegno; che si fa con strumenti diversi dalla matita, però, e che in forza di svariati accorgimenti di mestiere permette di ottenere una vasta gamma di risultati. Ma la sostanza non muta e sta a provarlo il fatto che un buon disegnatore può diventar presto anche un buon incisore mentre un cattivo disegnatore non riuscirà mai, anche usando con gusto e abilità le risorse offerte dall’acido e dall’inchiostro (molte delle quali i veri incisori chiamano “trucco”) a mascherare del tutto questa sua insufficienza. E poiché il disegno è l’espressione prima dell’artista, la più spontanea e diretta, volendo considerare l’incisione soltanto un disegno, ho cercato di fare con la punta d’acciaio quel che facevo con la matita, trasferire cioè sulla lastra anziché sul foglio una emozione provata, un appunto, una idea, o una composizione che mi interessava e che ritenevo adatta alla punta e al nero più che al pennello e al colore. E’ chiaro che l’usare mezzi diversi non poteva cambiare nella sostanza un mondo già formato, per cui i soggetti delle mie incisioni sono spesso i medesimi dei quadri: paesaggi, case, interni, ritratti. Ma la punta, obbligandomi a “guardare” in modo diverso, mi ha condotto a una indagine sul vero tutta particolare, e a particolari predilezioni. Mi spiego con un esempio: come lo scrittore può affrontare temi quasi vietati alla pittura, diciamo la descrizione di uno stato d’animo, così l’incisione può arrivare con la sottile punta là dove il pennello perderebbe di mordente, diciamo la descrizione di un insetto, di una conchiglia, di un tronco d’albero, di un mazzo d’erbe, dei fiori quando sono diventati secchi, e così via. Credo che ciò porti tutti gli incisori a particolari predilezioni, e nel mio caso sono certe facciate di case popolari, le periferie delle città industriali, col loro intrico di fili, di viali e di rotaie, l’interno dello studio, vale a dire un mondo creato da me, i fiori secchi e le conchiglie, che mi ricordano il mare, percorso da generazioni di miei antenati, e perciò forse rimasto nel mio sangue come una nostalgia di spazio, di forza e di purezza. Ecco che l’incisione, indicandomi nuove strade, ha reso più ampio il campo dei miei interessi. Il che significa un allargamento dell’apprendere, e del vivere. Questo può risultare importante per uno che considera la pittura un modo di comunicare e compito del pittore il prendere e capire per poter poi dare, Dio aiutando, con bellezza e verità.
Renzo Biasion
Renzo Biasion è nato a Treviso nel 1914 da famiglia veneziana. Conseguito il diploma al Liceo Artistico di Venezia, inizia l’insegnamento del disegno nelle Scuole Industriali di Feltre. Appartengono a questi anni (1938/40) i primi “interni”, le prime “periferie” e alcuni “ritratti” a olio e acquerello. Nel 1946 espone alla Piccola Galleria di Venezia una serie di “interni” che attirano l’attenzione di Sergio Solmi, direttore della rivista milanese Le Arti. E’ un periodo di intenso lavoro letterario e giornalistico.
Nel ’48 pubblica “Tempi bruciati”, quindi lascia l’insegnamento e si trasferisce a Torino dove è inviato speciale del quotidiano La Gazzetta del Popolo; scrive i racconti di “Sagapò” che saranno raccolti in volume nel 1954, con una presentazione di Elio Vittorini (Einaudi Ed., Torino). In seguito al successo di “Sagapò” (a cui si è ispirato il regista Gabriele Salvatores per il suo film Mediterraneo, vincitore di un premio Oscar) gli viene offerta la rubrica d’arte sul settimanale Oggi di Milano, della quale è stato titolare per trentaquattro anni.
Trasferitosi a Bologna lascia la letteratura per dedicarsi alla pittura, all’incisione e alla critica d’arte. Ritorna quindi all’insegnamento ottenendo, per concorso, la cattedra di “Figura disegnata” al Liceo Artistico di Firenze.
Biasion ha esposto alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma, alle Biennali dell’incisione di Venezia, alle Biennali di Milano e alle Quadriennali di Torino; oltre che nelle maggiori mostre di pittura in Italia e all’estero. E’ stato accademico delle Arti del disegno, ha conseguito numerosi premi ed onorificenze, fra le quali la Medaglia d’oro del Presidente della Repubblica come benemerito delle Arti, della Cultura e della Scuola.
Renzo Biasion è morto a Firenze nel 1997.
16
gennaio 2010
Renzo Biasion – L’intimità del silenzio
Dal 16 gennaio al 20 febbraio 2010
disegno e grafica
Location
GALLERIA SANT’ANGELO
Biella, Corso Del Piazzo, 18, (Biella)
Biella, Corso Del Piazzo, 18, (Biella)
Orario di apertura
dal mercoledì al sabato 15.30 / 19.00
Vernissage
16 Gennaio 2010, dalle ore 17.00
Autore
Curatore