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RI-nascimento
ri-NASCIMENTO nasce dalla riflessione sulla parola arcaica nascimento intesa come nascita che si innesta nello spirito del nostro tempo.
Comunicato stampa
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ri-NASCIMENTO nasce dalla riflessione sulla parola arcaica nascimento intesa come nascita che si innesta nello spirito del nostro tempo. La scelta di proporla in Toscana - luogo che ha visto la fioritura del Rinascimento - non è casuale. La posizione e le tensioni dell’uomo sono completamente mutati, ma resta intatta la ricerca di nuova linfa e di nuove visioni per un concreto cambiamento.
Nove sono gli artisti italiani invitati: Bertozzi & Casoni, Elena Bellantoni, Chiara Bettazzi, Bianco-Valente, Serena Fineschi, Antonio Fiorentino, Cristina Gozzini, Silvia Listorti e Nazzarena Poli Maramotti.
Ognuno di loro prende la parola e si misura sulla necessità di un rinnovamento dello sguardo, di una “rifioritura” di pensiero, dopo un periodo di disorientamento, disordine e buio da cui ripartire per la costruzione di diversi equilibri. Accade ripensando la relazione con gli oggetti del nostro quotidiano, con la natura e il paesaggio circostante fino a giungere ai rapporti umani: nascono di conseguenza anche nuovi vocabolari formali che danno vita alle loro opere. Non si tratta solo di ecosofia come abbattimento della dicotomia tra natura e cultura, ma della costruzione di uno sguardo e di un sentire che cercano una nuova origine.
Un ri-NASCIMENTO capace di restituire un senso di illimité, puro, pieno di meraviglia che spesso assume risvolti spirituali. Gli artisti si interrogano su come l’arte possa contribuire a ridefinire i limiti e a disegnare diverse potenzialità dell’uomo rispetto al contesto in cui si muove, a come si possano stimolare approcci alternativi verso ciò che ci circonda alla ricerca di equilibri differenti. È un rimettere in ordine. Arriviamo all’oggi con percezioni e memorie sature di “oggetti” - siano inanimati siano viventi - perché come tali li trattiamo: un bagaglio ingombrante, fortificato da un linguaggio funzionale, che contribuisce a destrutturare la nostra identità e precludere un futuro possibile. Le accumulazioni mnemoniche fatte di esperienza possono però diventare altro trasformando quello che possiamo chiamare “mortiferi resti” in nuove architetture della mente in cui il ciclo di vita e morte inevitabilmente si abbracciano senza soluzione di continuità e diventano medicina dell’esistenza. Recuperare uno stato di verginità sensibile che consente di immergersi nelle vibrazioni di una energia vitale che sviluppa nuove attitudini verso il mondo che ci comprende, per l’accrescimento di una conoscenza unificante. Tutte le opere in mostra tendono a muovere e a ridefinire quell’energia che dal paesaggio transita al corpo e dal corpo alla natura e viceversa fino a toccare gli oggetti che ci circondano in un influenzamento reciproco. Il corpo con le sue sinestesie diventa coscienza anche attraverso i sentieri dell’immaginazione; diventa cassa di risonanza, pertugio di entrata e di re-immissione in circolo di quel potere vitale di cui siamo parte. Allora siamo albero con le nostre vene/linfa in tensione verso l’alto, siamo terra e acqua nel nostro contatto con Gea, diventiamo paesaggio e, come in uno spartito sonoro, parte di un processo di metamorfosi universale e unificante in un continuo rispecchiamento gli uni nell’altro. Possiamo mutuare dalla natura un modello di connessioni rizomatiche, fuori da qualsiasi gerarchia di potere, riscrivendo racconti di relazione con esiti aperti e inaspettati nel rapporto con l’altro da sé. Tutto questo porta e solidifica esperienze autentiche, primo motore verso il cambiamento. Le opere in mostra sono perciò un’orchestrazione di attitudini e di ricerche artistiche che si incontrano, si connettono e dialogano in modo fluido e aperto, convergendo su un elemento comune: la necessità di un ri-NASCIMENTO.
Opere e artisti
Il processo di identificazione con materiali naturali recuperati durante le sue “passeggiate immersive” nella terra natale (le sabbie nere in particolare) caratterizza la ricerca di Antonio Fiorentino. Negli ultimi due anni, anche grazie allo spostamento dello studio in piena campagna pavese, prendono vita con questi materiali opere definibili come nuove anatomie dell’uomo/albero. Nelle due sculture Untitled in mostra la sua ricerca formale amalgama elementi della natura a forme umane pensate come figure mitologiche primordiali: la mitologia in tal senso apre molte corrispondenze elettive tra alberi e dei. La carne fatta di terre, sabbia e ossidi diventa corteccia che si protende dalle radici del terreno verso l’alto in una scala simile a quella umana. Non è un caso che l’albero rappresenti la vita del cosmo, la crescita, la generazione e la rigenerazione diventando il centro del mondo.
Le opere di Nazzarena Poli Maramotti nascono da un’apparente indistinta tensione a perdersi nel paesaggio in cui elementi come acqua. luce, terra solidificano e amalgamano stati d'animo. L’immagine, apparentemente indistinta nei suoi lavori si struttura per sovrapposizioni e in amalgami di colori in tutte le temperature del sentimento della natura. Un sentimento spontaneo, originario che il gesto pittorico accompagna sulla tela (La Metamorfosi) e sulla carta (Sciogliersi / Sich schmelzen III) e, recentemente, nella ceramica (Uomo con la barba). Con quest’ultimo medium l’artista ha sperimentato un processo pittorico nella terza dimensione, manipolando e mescolando i pigmenti con acqua e cristallina per poi intervenire sulla terra-cotta come lavorasse a un acquarello. Il punto di partenza dei suoi dipinti è spesso il ritratto che pian piano si fa natura generando identità formali inaspettate in cui l’idea di metamorfosi, per fusione e traslazione, si fondono.
Serena Fineschi crea nuovi orizzonti mentali partendo da sovvertimenti dello sguardo. Una sottile linea dell’orizzonte creata con matite colorate sul muro cattura la luce in ogni momento della giornata sfondando il concetto di limite dello sguardo: le radiazioni riflesse creano in modo fluido impasti cromatici tra cielo e terra. La luce, vibrando sul colore, emette onde sonore che rompono la rigidità lineare della composizione. Un omaggio all’immaginazione. Lo sguardo sorvola la terra e sfiora carte sovrapposte appoggiate a terra da cui emergono frammenti di pietra serena. Un lavoro di scavo all'interno delle immagini patinate di paesaggi e mappe. Il supporto in carta emula la crosta terrestre e assume un ruolo importante al pari dell’immagine. L’invito a uno sguardo che conduca nella profondità del potere immaginativo: il ritrovamento possibile di un paesaggio sommerso rispetto a quello che ci è imposto di vedere.
Pensate domani è la fine del mondo nasce dalla suggestione per un piccolo frammento del film Nostalghia di Tarkovskij. Elena Bellantoni lo riprende e, con la collaborazione di un gruppo di giovani donne che indossano maschere da “corvesse” orchestra e realizza un video sulla scalinata del Vignola a Roma. L’immagine del corvo femmina viene riportato tridimensionalmente nella scultura che introduce al video. Il lavoro non è solo vaticinio di una apocalisse finale, ma invita a ripensare in termini positivi ai valori della vita umana per ripartire. Simbolicamente il corvo rimanda all’idea del principio, è associata al cielo e alle forze spirituali col loro potere demiurgico e incarna la qualità di messaggero tra cielo e terra. È un incipit o una chiusura ideale del percorso di mostra che snoda al suo interno varie modalità per attivare questa ripartenza. L’artista mette in atto questa ripartenza con due immagini fotografiche: la prima This is the end, scattata durante un viaggio in Patagonia, riprende parte di un ghiacciaio del canale di Beagle che si sta sciogliendo, cambiando forma e fisionomia: anche questo un annuncio di fine, ma al contempo una interrogazione per costruire un nuovo autoritratto dopo un’esperienza estrema alla fine del mondo. La seconda, testimonia una performance che la vede adagiata al suolo come ad assorbire e accogliere le energie della terra in una sorta di simbiosi. Il corpo si fa natura in un processo di mimesi e rispecchiamento. Mescolandosi al respiro della terra l’artista si fa grano, pane di memorie.
Il rapporto corpo/corpo come energia di comunità emerge potentemente dalla fotografia. Il giorno in cui di Bianco-Valente: l’immagine restituisce un atto performativo realizzato a Minervino di Lecce durante una residenza in cui è stata analizzata la dinamica dell’allontanamento tra singoli e l’indebolimento della collettività nel corso del tempo e in cui è emersa, con evidenza, la necessità di operare attivamente per contrastarla. Le mani di persone diverse si sovrappongono in un gesto di comunione e di amplificazione di energia: una sorta di manifesto/invito a ripensare al sistema di relazioni in una dinamica solidale, capace di moltiplicare le nostre possibilità esperienziali. Nel video Entità risonante anche la scrittura, intesa come codice di trasmissione umana di pensiero, può generare rapporti di comunità, rialfabetizzandosi in modo nuovo su questi valori e con un approccio teso verso una “risonanza cosmica”. Gli stessi artisti dichiarano: “Dovremmo tornare ad essere un’entità risonante. Lasciar vibrare dentro di noi le forme di energia provenienti dalla Terra e dall’intero Universo”.
Perdersi dentro uno spazio sospesi in un tempo immoto. Generare l’opera come un respiro di tutto il corpo è la disposizione di Silvia Listorti prima e durante il processo di formalizzazione del lavoro. Il gesto è un tocco che la materia stessa induce. Il corpo dell’artista lentamente si fa opera aprendosi in modo vibratile a sonorità infrasottili generate da poesia e musica. Listorti, consapevole della persistenza del passato nel presente, aperta all’assimilazione di poeti a lei congeniali, opera con uno stile “a mosaico” che incorpora, con naturalezza, citazioni e derivazioni. Nel respiro dell’ora (and all is always now) - titolo tratto da un verso di T.S. Eliot - è una valva che si apre adagiandosi sulla terra (“pur sempre dalla terra veniamo” sostiene l’artista), ma che lievita verso l’altrove. Nei suoi disegni su carta di riso i tratti di grafite leggeri paiono condotti in uno stato di dormiveglia sul foglio-spazio. L’artista li chiama Illocazioni ovvero l’essere in nessun luogo e ovunque nel respiro del mondo. Meditazioni.
La ricerca di Cristina Gozzini è una costante meditazione su ciò che sta sottotraccia nella natura e in cui l’apparente “niente” diventa motore e struttura di ogni cosa. Il piccolo il fragile, il mutevole sono l’architettura di cui si compone il mondo, fatto di micro-vibrazioni e spostamenti di energia. Tessiture vitali tramandate e tramandabili che diventano modello da osservare e traslare nella nostra esperienza. Nell’installazione (A Step) Out Of Me l’artista associa elementi eterogenei in natura (dalla traccia della struttura calcarea di una foglia che intrattiene la memoria dei ghiacci al vetro che coagula lo spazio del respiro all'interno di un bacino femminile): una sfida e, al contempo, un tentativo verso l’impossibilità di controllo della materia e, conseguentemente, della forma. La scatola a raggi X in cui sono posizionati gli oggetti, ribadisce una erronea visione antropocentrica del mondo e l’importanza di un legame intuitivo con la natura. Considerazioni confermate dalle altre due opere presenti: il disegno A step out of me e Teschio Fiorescenza. Il primo evidenzia, nelle sue stratificazioni non lineari, l'interconnessione e l’interdipendenza tra le cose e gli esseri viventi di varie specie, il secondo focalizza questo concetto sui miceti il cui potere comunicativo vitale è immenso e la cura reciproca crea e rigenera continuamente. Come si interroga l’artista: Homo humus est?
Anche la ricerca di Chiara Bettazzi prende avvio dall’idea di trasformazione che l’artista sviluppa come un continuum di un unico lavoro sia quando assume la forma installativa sia quando il medium è la fotografia. Lo sguardo e l’azione sugli oggetti (di natura organica e inorganica) rimanda a un immaginario che sovverte la loro funzione per ancorarsi a quello di memoria personale e dei luoghi in cui l’artista interviene. È una reinvenzione nell’accostamento di elementi non consanguinei da lei precedentemente ordinati e classificati. La conseguente struttura compositiva è istintiva: è un fare scultoreo che non manipola direttamente la materia, ma agisce nel conferire inconsuete armonie di volumi nello spazio. La fotografia presentata fa parte del primo ciclo della serie Still LIfe: tessuti, materie plastiche, ceramiche, bicchieri in vetro, piume e un piccolo cervo sono stati disposti su un tavolo in posa: sedimentano prima della loro sovversione. Alcuni arrivano da lontano, dall’infanzia dell’artista, altri giacevano nello studio/archivio in attesa di essere recuperati per dar loro nuova vita. L’intervento della mano che muove e reinventa è formalmente presente nei due lavori fotografici del ciclo Spostamenti conferendo al lavoro una dimensione performativa in cui il contatto genera nuove idee, nuovi movimenti e nuove immagini.
Anche per Bertozzi & Casoni la composizione - come risultanza della relazione tra ordine e disordine - è elemento centrale del lavoro, che prende corpo in costruzioni insolite in ceramica policroma meticolosamente soppesate, dal sapore al contempo ironico ed emozionale. La loro ricerca prende avvio dall’apparente marginalità del quotidiano: un quotidiano che trasfigurano e rivalutano, per una contemporanea riflessione sul memento mori, sul senso di transitorietà che accompagna l’esistenza umana, aprendo un dialogo sulla sofferenza e la morte ma anche sulla gioia e la rinascita. Nel loro lavoro gli oggetti d'uso quotidiano e le tracce dell’umana presenza si fanno paradigma incarnato dell’uomo contemporaneo. Così come per Chiara Bettazzi, la loro ricerca è mossa dal bisogno di conferire una “seconda missione agli oggetti” (come raccontano testualmente): avanzi di cibo, stoviglie in disordine, rifiuti, farmaci, libri, tavolini, vasi di fiori talvolta appassiti - intercalati da un immancabile teschio che ci riporta al concetto di Vanitas - aprono riflessioni su ciò che resta e sulla possibilità di salvarlo, trasformandolo con occhi diversi.
(Marina Dacci)
Nove sono gli artisti italiani invitati: Bertozzi & Casoni, Elena Bellantoni, Chiara Bettazzi, Bianco-Valente, Serena Fineschi, Antonio Fiorentino, Cristina Gozzini, Silvia Listorti e Nazzarena Poli Maramotti.
Ognuno di loro prende la parola e si misura sulla necessità di un rinnovamento dello sguardo, di una “rifioritura” di pensiero, dopo un periodo di disorientamento, disordine e buio da cui ripartire per la costruzione di diversi equilibri. Accade ripensando la relazione con gli oggetti del nostro quotidiano, con la natura e il paesaggio circostante fino a giungere ai rapporti umani: nascono di conseguenza anche nuovi vocabolari formali che danno vita alle loro opere. Non si tratta solo di ecosofia come abbattimento della dicotomia tra natura e cultura, ma della costruzione di uno sguardo e di un sentire che cercano una nuova origine.
Un ri-NASCIMENTO capace di restituire un senso di illimité, puro, pieno di meraviglia che spesso assume risvolti spirituali. Gli artisti si interrogano su come l’arte possa contribuire a ridefinire i limiti e a disegnare diverse potenzialità dell’uomo rispetto al contesto in cui si muove, a come si possano stimolare approcci alternativi verso ciò che ci circonda alla ricerca di equilibri differenti. È un rimettere in ordine. Arriviamo all’oggi con percezioni e memorie sature di “oggetti” - siano inanimati siano viventi - perché come tali li trattiamo: un bagaglio ingombrante, fortificato da un linguaggio funzionale, che contribuisce a destrutturare la nostra identità e precludere un futuro possibile. Le accumulazioni mnemoniche fatte di esperienza possono però diventare altro trasformando quello che possiamo chiamare “mortiferi resti” in nuove architetture della mente in cui il ciclo di vita e morte inevitabilmente si abbracciano senza soluzione di continuità e diventano medicina dell’esistenza. Recuperare uno stato di verginità sensibile che consente di immergersi nelle vibrazioni di una energia vitale che sviluppa nuove attitudini verso il mondo che ci comprende, per l’accrescimento di una conoscenza unificante. Tutte le opere in mostra tendono a muovere e a ridefinire quell’energia che dal paesaggio transita al corpo e dal corpo alla natura e viceversa fino a toccare gli oggetti che ci circondano in un influenzamento reciproco. Il corpo con le sue sinestesie diventa coscienza anche attraverso i sentieri dell’immaginazione; diventa cassa di risonanza, pertugio di entrata e di re-immissione in circolo di quel potere vitale di cui siamo parte. Allora siamo albero con le nostre vene/linfa in tensione verso l’alto, siamo terra e acqua nel nostro contatto con Gea, diventiamo paesaggio e, come in uno spartito sonoro, parte di un processo di metamorfosi universale e unificante in un continuo rispecchiamento gli uni nell’altro. Possiamo mutuare dalla natura un modello di connessioni rizomatiche, fuori da qualsiasi gerarchia di potere, riscrivendo racconti di relazione con esiti aperti e inaspettati nel rapporto con l’altro da sé. Tutto questo porta e solidifica esperienze autentiche, primo motore verso il cambiamento. Le opere in mostra sono perciò un’orchestrazione di attitudini e di ricerche artistiche che si incontrano, si connettono e dialogano in modo fluido e aperto, convergendo su un elemento comune: la necessità di un ri-NASCIMENTO.
Opere e artisti
Il processo di identificazione con materiali naturali recuperati durante le sue “passeggiate immersive” nella terra natale (le sabbie nere in particolare) caratterizza la ricerca di Antonio Fiorentino. Negli ultimi due anni, anche grazie allo spostamento dello studio in piena campagna pavese, prendono vita con questi materiali opere definibili come nuove anatomie dell’uomo/albero. Nelle due sculture Untitled in mostra la sua ricerca formale amalgama elementi della natura a forme umane pensate come figure mitologiche primordiali: la mitologia in tal senso apre molte corrispondenze elettive tra alberi e dei. La carne fatta di terre, sabbia e ossidi diventa corteccia che si protende dalle radici del terreno verso l’alto in una scala simile a quella umana. Non è un caso che l’albero rappresenti la vita del cosmo, la crescita, la generazione e la rigenerazione diventando il centro del mondo.
Le opere di Nazzarena Poli Maramotti nascono da un’apparente indistinta tensione a perdersi nel paesaggio in cui elementi come acqua. luce, terra solidificano e amalgamano stati d'animo. L’immagine, apparentemente indistinta nei suoi lavori si struttura per sovrapposizioni e in amalgami di colori in tutte le temperature del sentimento della natura. Un sentimento spontaneo, originario che il gesto pittorico accompagna sulla tela (La Metamorfosi) e sulla carta (Sciogliersi / Sich schmelzen III) e, recentemente, nella ceramica (Uomo con la barba). Con quest’ultimo medium l’artista ha sperimentato un processo pittorico nella terza dimensione, manipolando e mescolando i pigmenti con acqua e cristallina per poi intervenire sulla terra-cotta come lavorasse a un acquarello. Il punto di partenza dei suoi dipinti è spesso il ritratto che pian piano si fa natura generando identità formali inaspettate in cui l’idea di metamorfosi, per fusione e traslazione, si fondono.
Serena Fineschi crea nuovi orizzonti mentali partendo da sovvertimenti dello sguardo. Una sottile linea dell’orizzonte creata con matite colorate sul muro cattura la luce in ogni momento della giornata sfondando il concetto di limite dello sguardo: le radiazioni riflesse creano in modo fluido impasti cromatici tra cielo e terra. La luce, vibrando sul colore, emette onde sonore che rompono la rigidità lineare della composizione. Un omaggio all’immaginazione. Lo sguardo sorvola la terra e sfiora carte sovrapposte appoggiate a terra da cui emergono frammenti di pietra serena. Un lavoro di scavo all'interno delle immagini patinate di paesaggi e mappe. Il supporto in carta emula la crosta terrestre e assume un ruolo importante al pari dell’immagine. L’invito a uno sguardo che conduca nella profondità del potere immaginativo: il ritrovamento possibile di un paesaggio sommerso rispetto a quello che ci è imposto di vedere.
Pensate domani è la fine del mondo nasce dalla suggestione per un piccolo frammento del film Nostalghia di Tarkovskij. Elena Bellantoni lo riprende e, con la collaborazione di un gruppo di giovani donne che indossano maschere da “corvesse” orchestra e realizza un video sulla scalinata del Vignola a Roma. L’immagine del corvo femmina viene riportato tridimensionalmente nella scultura che introduce al video. Il lavoro non è solo vaticinio di una apocalisse finale, ma invita a ripensare in termini positivi ai valori della vita umana per ripartire. Simbolicamente il corvo rimanda all’idea del principio, è associata al cielo e alle forze spirituali col loro potere demiurgico e incarna la qualità di messaggero tra cielo e terra. È un incipit o una chiusura ideale del percorso di mostra che snoda al suo interno varie modalità per attivare questa ripartenza. L’artista mette in atto questa ripartenza con due immagini fotografiche: la prima This is the end, scattata durante un viaggio in Patagonia, riprende parte di un ghiacciaio del canale di Beagle che si sta sciogliendo, cambiando forma e fisionomia: anche questo un annuncio di fine, ma al contempo una interrogazione per costruire un nuovo autoritratto dopo un’esperienza estrema alla fine del mondo. La seconda, testimonia una performance che la vede adagiata al suolo come ad assorbire e accogliere le energie della terra in una sorta di simbiosi. Il corpo si fa natura in un processo di mimesi e rispecchiamento. Mescolandosi al respiro della terra l’artista si fa grano, pane di memorie.
Il rapporto corpo/corpo come energia di comunità emerge potentemente dalla fotografia. Il giorno in cui di Bianco-Valente: l’immagine restituisce un atto performativo realizzato a Minervino di Lecce durante una residenza in cui è stata analizzata la dinamica dell’allontanamento tra singoli e l’indebolimento della collettività nel corso del tempo e in cui è emersa, con evidenza, la necessità di operare attivamente per contrastarla. Le mani di persone diverse si sovrappongono in un gesto di comunione e di amplificazione di energia: una sorta di manifesto/invito a ripensare al sistema di relazioni in una dinamica solidale, capace di moltiplicare le nostre possibilità esperienziali. Nel video Entità risonante anche la scrittura, intesa come codice di trasmissione umana di pensiero, può generare rapporti di comunità, rialfabetizzandosi in modo nuovo su questi valori e con un approccio teso verso una “risonanza cosmica”. Gli stessi artisti dichiarano: “Dovremmo tornare ad essere un’entità risonante. Lasciar vibrare dentro di noi le forme di energia provenienti dalla Terra e dall’intero Universo”.
Perdersi dentro uno spazio sospesi in un tempo immoto. Generare l’opera come un respiro di tutto il corpo è la disposizione di Silvia Listorti prima e durante il processo di formalizzazione del lavoro. Il gesto è un tocco che la materia stessa induce. Il corpo dell’artista lentamente si fa opera aprendosi in modo vibratile a sonorità infrasottili generate da poesia e musica. Listorti, consapevole della persistenza del passato nel presente, aperta all’assimilazione di poeti a lei congeniali, opera con uno stile “a mosaico” che incorpora, con naturalezza, citazioni e derivazioni. Nel respiro dell’ora (and all is always now) - titolo tratto da un verso di T.S. Eliot - è una valva che si apre adagiandosi sulla terra (“pur sempre dalla terra veniamo” sostiene l’artista), ma che lievita verso l’altrove. Nei suoi disegni su carta di riso i tratti di grafite leggeri paiono condotti in uno stato di dormiveglia sul foglio-spazio. L’artista li chiama Illocazioni ovvero l’essere in nessun luogo e ovunque nel respiro del mondo. Meditazioni.
La ricerca di Cristina Gozzini è una costante meditazione su ciò che sta sottotraccia nella natura e in cui l’apparente “niente” diventa motore e struttura di ogni cosa. Il piccolo il fragile, il mutevole sono l’architettura di cui si compone il mondo, fatto di micro-vibrazioni e spostamenti di energia. Tessiture vitali tramandate e tramandabili che diventano modello da osservare e traslare nella nostra esperienza. Nell’installazione (A Step) Out Of Me l’artista associa elementi eterogenei in natura (dalla traccia della struttura calcarea di una foglia che intrattiene la memoria dei ghiacci al vetro che coagula lo spazio del respiro all'interno di un bacino femminile): una sfida e, al contempo, un tentativo verso l’impossibilità di controllo della materia e, conseguentemente, della forma. La scatola a raggi X in cui sono posizionati gli oggetti, ribadisce una erronea visione antropocentrica del mondo e l’importanza di un legame intuitivo con la natura. Considerazioni confermate dalle altre due opere presenti: il disegno A step out of me e Teschio Fiorescenza. Il primo evidenzia, nelle sue stratificazioni non lineari, l'interconnessione e l’interdipendenza tra le cose e gli esseri viventi di varie specie, il secondo focalizza questo concetto sui miceti il cui potere comunicativo vitale è immenso e la cura reciproca crea e rigenera continuamente. Come si interroga l’artista: Homo humus est?
Anche la ricerca di Chiara Bettazzi prende avvio dall’idea di trasformazione che l’artista sviluppa come un continuum di un unico lavoro sia quando assume la forma installativa sia quando il medium è la fotografia. Lo sguardo e l’azione sugli oggetti (di natura organica e inorganica) rimanda a un immaginario che sovverte la loro funzione per ancorarsi a quello di memoria personale e dei luoghi in cui l’artista interviene. È una reinvenzione nell’accostamento di elementi non consanguinei da lei precedentemente ordinati e classificati. La conseguente struttura compositiva è istintiva: è un fare scultoreo che non manipola direttamente la materia, ma agisce nel conferire inconsuete armonie di volumi nello spazio. La fotografia presentata fa parte del primo ciclo della serie Still LIfe: tessuti, materie plastiche, ceramiche, bicchieri in vetro, piume e un piccolo cervo sono stati disposti su un tavolo in posa: sedimentano prima della loro sovversione. Alcuni arrivano da lontano, dall’infanzia dell’artista, altri giacevano nello studio/archivio in attesa di essere recuperati per dar loro nuova vita. L’intervento della mano che muove e reinventa è formalmente presente nei due lavori fotografici del ciclo Spostamenti conferendo al lavoro una dimensione performativa in cui il contatto genera nuove idee, nuovi movimenti e nuove immagini.
Anche per Bertozzi & Casoni la composizione - come risultanza della relazione tra ordine e disordine - è elemento centrale del lavoro, che prende corpo in costruzioni insolite in ceramica policroma meticolosamente soppesate, dal sapore al contempo ironico ed emozionale. La loro ricerca prende avvio dall’apparente marginalità del quotidiano: un quotidiano che trasfigurano e rivalutano, per una contemporanea riflessione sul memento mori, sul senso di transitorietà che accompagna l’esistenza umana, aprendo un dialogo sulla sofferenza e la morte ma anche sulla gioia e la rinascita. Nel loro lavoro gli oggetti d'uso quotidiano e le tracce dell’umana presenza si fanno paradigma incarnato dell’uomo contemporaneo. Così come per Chiara Bettazzi, la loro ricerca è mossa dal bisogno di conferire una “seconda missione agli oggetti” (come raccontano testualmente): avanzi di cibo, stoviglie in disordine, rifiuti, farmaci, libri, tavolini, vasi di fiori talvolta appassiti - intercalati da un immancabile teschio che ci riporta al concetto di Vanitas - aprono riflessioni su ciò che resta e sulla possibilità di salvarlo, trasformandolo con occhi diversi.
(Marina Dacci)
12
maggio 2024
RI-nascimento
Dal 12 maggio al 28 luglio 2024
arte contemporanea
Location
Galleria Vannucci
Pistoia, Via Gorizia, 122, (PT)
Pistoia, Via Gorizia, 122, (PT)
Orario di apertura
Mercoledì, giovedì, venerdì 17-19.30, sabato 9.30-12.30 / 17-19.30. O su appuntamento
Vernissage
12 Maggio 2024, 14:30
Ufficio stampa
Sara Zolla
Autore
Curatore
Autore testo critico