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Riccardo Curti
Astrattismo purista e grafismo lineare, geometrismo e aspetto lirico delle tonalità sono gli elementi generatori della pittura di Riccardo Curti: un luogo in cui il colore diffuso concilia apparentemente gli opposti ma che è in realtà la ricerca di un segno e di un tempo ritrovato.
Comunicato stampa
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L’Assessorato alle Attività Culturali del Comune di Vicenza inaugura venerdì 21 maggio 2004 alle ore 18:00 presso lo Spazio Arte Vicenza, ex chiesa dei ss. Ambrogio e Bellino, una mostra personale del pittore Riccardo Curti, a cura di Stefania Portinari.
Astrattismo purista e grafismo lineare, geometrismo e aspetto lirico delle tonalità sono gli elementi generatori della pittura di Riccardo Curti: un luogo in cui il colore diffuso concilia apparentemente gli opposti ma che è in realtà la ricerca di un segno e di un tempo ritrovato, di una fisicità che rinnova il modello classico e riproduce il gesto del tracciare un disegno come esercizio di ricordo.
La riscoperta della rappresentazione grafica, dell’apparire latente di volti nati dal tracciato della matita o della punta che incide il pigmento, travalica la statica dell’accademismo e diviene proficua emozione nel delineare una personalità, nel dare nuovo spessore alle apparenze graffiate. Quella che emerge lenta e leggibile come un’impronta autonoma tra gli equilibri delle gradazioni è ciò che rimane di un progetto visivo, di un disegnare nello spazio.
Le presenze nelle opere di Curti sono autoritratti o ritratti raccontati attraverso indizi e imbastiture che danno una fisiognomica degli affetti e degli incontri, visi indagati con la conoscenza della storia dell’arte dopo che la memoria dell’occhio ha reso una sintesi. I piani visuali dettati dal colore, talora localizzato in ripartizioni più rigide e selettive, talora dilatato e indeterminato, attuano un ribaltamento del campo ottico e creano superfici che pulsano con lievità e leggerezza, che suggeriscono piccole profondità e avanzamenti nel vibrare coloristicamente. La raffinatezza dell’amalgama e le stratificazioni dei toni che sconfinano accostandosi e sovrapponendosi uno sull’altro diventano margini indefiniti, si pongono volutamente in contrastante sintonia. Le forme piatte di fondo, che per lontani echi richiamano il suprematismo e l’astrazione di una certa pittura americana degli anni sessanta, vengono abitate da reminiscenze primitiviste in cui il senso del non definito, dell’incompiuto, è posto a tracciare una volumetria in realtà inconsistente, per ricreare ciò che resta dell’operazione di disegno primigenio coperto e ritrovato, come l’imprimitura della tradizione, come la sinopia sotto l’affresco.
Il tracciare insistito e non predeterminato dell’incisione nel colore rintraccia un’impronta, dà spessore ed evidenza alla forma ma, come un percorso, non ricerca la profondità: risulta dal procedimento stesso. Rimane così un segno semplificato sotto cui le stesure delle tinte decantano, svelano, delimitano.
Nei lavori più recenti i toni si fanno più opachi, più spenti, ancora più eleganti. Dal fondo ruvido, granuloso e vivificante, emergono grigi gravi e caldi come piombo, ocre sabbiose, smalti di bianchi opalescenti. Le astrazioni mutano verso una ricerca visiva più essenziale, scabra di fisionomia. Come segni rimangono forme ovali conchiuse, ellissi imprecise nel tratto: sono orbite autonome che strutturano la superficie come piccoli pianeti o richiami agli ovali dei volti ma anche come occhi significanti, punti di comunicazione e finestre sul mondo quali prescrive l’Alberti o suggerisce Guidi, come appaiono nelle opere di Piero della Francesca. L’ordine gerarchico dei tratti prende allora il sopravvento sul dato reale e vi è uno spostarsi dalla contingenza dell’esistente a un alone di poesia.
La stratificazione del metodo di lavoro dell’artista procura una vitalità individuale alla sua pittura nel tradire l’astrazione pura con la frequentazione dell’immagine. Le evocazioni nascono dai contrasti e dai tempi lunghi di realizzazione per concedere il tempo di sedimentarsi a quelle che Dino Marangon chiama le sue “impercettibili, enigmatiche sembianze, incancellabili presenze”.
(Stefania Portinari)
note biografiche
Riccardo Curti (Montecchio Maggiore - Vicenza, 1957), dopo gli studi al Liceo Artistico di Valdagno (VI), si è diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia con il maestro Emilio Vedova. Nel 1983 ha vinto una borsa di studio alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, ricevendo il Premio della 67° Collettiva; nel 1988 è stato premiato alla II Biennale Triveneta Giovani di Padova. Vive a Montecchio Maggiore ed è docente in Discipline Pittoriche all’Istituto Boscardin di Vicenza.
Sue mostre si sono tenute alla Fondazione Bevilacqua La Masa e al Dipartimento di Storia e Critica delle Arti dell’Università di Venezia, a Villa Barbarigo di Noventa Vicentina, al Museo Casabianca di Malo, alla Galleria Civica di Montecchio Maggiore, alla Galleria del Teatro di Lonigo, al Kulturmodell di Passau in Germania, a Bolzano, Innsbruck, Verona, Brescia. Ha esposto inoltre al Museo d’Arte Moderna di Strasburgo, alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo, al Palazzo Ducale di Gubbio, all’Istituto Italiano di Cultura di Vienna, al Castello Inferiore di Marostica, ai Nuovi Studi a Vicenza, allo Studio Tommaseo di Trieste, alla galleria Loft di Valdagno, alla galleria di arte contemporanea Andrea Pronto di Crespano del Grappa e, tra le altre, a Torino, Graz, Bologna, Venezia, Padova, Trento, Suzzara, Udine.
Astrattismo purista e grafismo lineare, geometrismo e aspetto lirico delle tonalità sono gli elementi generatori della pittura di Riccardo Curti: un luogo in cui il colore diffuso concilia apparentemente gli opposti ma che è in realtà la ricerca di un segno e di un tempo ritrovato, di una fisicità che rinnova il modello classico e riproduce il gesto del tracciare un disegno come esercizio di ricordo.
La riscoperta della rappresentazione grafica, dell’apparire latente di volti nati dal tracciato della matita o della punta che incide il pigmento, travalica la statica dell’accademismo e diviene proficua emozione nel delineare una personalità, nel dare nuovo spessore alle apparenze graffiate. Quella che emerge lenta e leggibile come un’impronta autonoma tra gli equilibri delle gradazioni è ciò che rimane di un progetto visivo, di un disegnare nello spazio.
Le presenze nelle opere di Curti sono autoritratti o ritratti raccontati attraverso indizi e imbastiture che danno una fisiognomica degli affetti e degli incontri, visi indagati con la conoscenza della storia dell’arte dopo che la memoria dell’occhio ha reso una sintesi. I piani visuali dettati dal colore, talora localizzato in ripartizioni più rigide e selettive, talora dilatato e indeterminato, attuano un ribaltamento del campo ottico e creano superfici che pulsano con lievità e leggerezza, che suggeriscono piccole profondità e avanzamenti nel vibrare coloristicamente. La raffinatezza dell’amalgama e le stratificazioni dei toni che sconfinano accostandosi e sovrapponendosi uno sull’altro diventano margini indefiniti, si pongono volutamente in contrastante sintonia. Le forme piatte di fondo, che per lontani echi richiamano il suprematismo e l’astrazione di una certa pittura americana degli anni sessanta, vengono abitate da reminiscenze primitiviste in cui il senso del non definito, dell’incompiuto, è posto a tracciare una volumetria in realtà inconsistente, per ricreare ciò che resta dell’operazione di disegno primigenio coperto e ritrovato, come l’imprimitura della tradizione, come la sinopia sotto l’affresco.
Il tracciare insistito e non predeterminato dell’incisione nel colore rintraccia un’impronta, dà spessore ed evidenza alla forma ma, come un percorso, non ricerca la profondità: risulta dal procedimento stesso. Rimane così un segno semplificato sotto cui le stesure delle tinte decantano, svelano, delimitano.
Nei lavori più recenti i toni si fanno più opachi, più spenti, ancora più eleganti. Dal fondo ruvido, granuloso e vivificante, emergono grigi gravi e caldi come piombo, ocre sabbiose, smalti di bianchi opalescenti. Le astrazioni mutano verso una ricerca visiva più essenziale, scabra di fisionomia. Come segni rimangono forme ovali conchiuse, ellissi imprecise nel tratto: sono orbite autonome che strutturano la superficie come piccoli pianeti o richiami agli ovali dei volti ma anche come occhi significanti, punti di comunicazione e finestre sul mondo quali prescrive l’Alberti o suggerisce Guidi, come appaiono nelle opere di Piero della Francesca. L’ordine gerarchico dei tratti prende allora il sopravvento sul dato reale e vi è uno spostarsi dalla contingenza dell’esistente a un alone di poesia.
La stratificazione del metodo di lavoro dell’artista procura una vitalità individuale alla sua pittura nel tradire l’astrazione pura con la frequentazione dell’immagine. Le evocazioni nascono dai contrasti e dai tempi lunghi di realizzazione per concedere il tempo di sedimentarsi a quelle che Dino Marangon chiama le sue “impercettibili, enigmatiche sembianze, incancellabili presenze”.
(Stefania Portinari)
note biografiche
Riccardo Curti (Montecchio Maggiore - Vicenza, 1957), dopo gli studi al Liceo Artistico di Valdagno (VI), si è diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia con il maestro Emilio Vedova. Nel 1983 ha vinto una borsa di studio alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, ricevendo il Premio della 67° Collettiva; nel 1988 è stato premiato alla II Biennale Triveneta Giovani di Padova. Vive a Montecchio Maggiore ed è docente in Discipline Pittoriche all’Istituto Boscardin di Vicenza.
Sue mostre si sono tenute alla Fondazione Bevilacqua La Masa e al Dipartimento di Storia e Critica delle Arti dell’Università di Venezia, a Villa Barbarigo di Noventa Vicentina, al Museo Casabianca di Malo, alla Galleria Civica di Montecchio Maggiore, alla Galleria del Teatro di Lonigo, al Kulturmodell di Passau in Germania, a Bolzano, Innsbruck, Verona, Brescia. Ha esposto inoltre al Museo d’Arte Moderna di Strasburgo, alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo, al Palazzo Ducale di Gubbio, all’Istituto Italiano di Cultura di Vienna, al Castello Inferiore di Marostica, ai Nuovi Studi a Vicenza, allo Studio Tommaseo di Trieste, alla galleria Loft di Valdagno, alla galleria di arte contemporanea Andrea Pronto di Crespano del Grappa e, tra le altre, a Torino, Graz, Bologna, Venezia, Padova, Trento, Suzzara, Udine.
21
maggio 2004
Riccardo Curti
Dal 21 maggio al 13 giugno 2004
arte contemporanea
Location
AB23 – CHIESA DEI SANTI AMBROGIO E BELLINO
Vicenza, Contrà Sant'ambrogio, 23, (Vicenza)
Vicenza, Contrà Sant'ambrogio, 23, (Vicenza)
Orario di apertura
da martedì a domenica 15:00-19:00. (chiuso lunedì)
Vernissage
21 Maggio 2004, ore 18:00
Autore