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Ritratto di un banchiere del Rinascimento: Bindo Altoviti tra Raffaello e Cellini
L’esposizione, realizzata in collaborazione con l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, dove è già stata presentata con grande successo nello scorso autunno, illumina la figura di uno dei personaggi di maggiore spicco fra i committenti artistici del Cinquecento, il potente e ricchissimo banchiere papale Bindo Altoviti.
Comunicato stampa
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Con la mostra che ha per titolo “ Ritratto di un banchiere del Rinascimento: Bindo Altoviti tra Raffaello e Cellini”, il Museo Nazionale del Bargello inaugura dal 1° marzo prossimo i nuovi spazi espositivi che, da oggi e per la prima volta nella sua storia, consentiranno al museo di ospitare rassegne a carattere internazionale e di grande richiamo, qual’è quella attuale.
L’esposizione, realizzata in collaborazione con l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, dove è già stata presentata con grande successo nello scorso autunno, illumina la figura di uno dei personaggi di maggiore spicco fra i committenti artistici del Cinquecento, il potente e ricchissimo banchiere papale Bindo Altoviti.
Membro di un’antica famiglia fiorentina, oggi estinta, Bindo Altoviti si trasferì giovanissimo a Roma dove costruì la sua fortuna e dove stabilì la sua dimora, pur mantenendo rapporti costanti con Firenze. La sua ascesa presso la corte papale iniziò durante il pontificato dei papi di casa Medici (Leone X e Clemente VII), per raggiungere il suo apice sotto Paolo III, dopo la cui elezione nel 1534 fu nominato alla massima carica di Depositario Generale della Camera Apostolica.
La sua ostilità crescente al nuovo regime mediceo, e la contrapposizione a Cosimo I in nome degli ideali repubblicani, lo indussero infine a sostenere anche finanziariamente i fuorusciti fiorentini nella guerra di Siena: dalla loro disfatta nel 1554 derivò la confisca dei beni di Bindo in Toscana e il suo bando da ribelle nel dominio mediceo. Due anni dopo, nel 1556, l’Altoviti moriva con l’amarezza di vedere il trionfo del principato a Firenze e il tramonto definitivo degli ideali repubblicani nella sua città.
Prima della fine del secolo, a Roma, il Banco Altoviti chiudeva per bancarotta. Seguivano, nel tempo, le vendite e la dispersione delle sue collezioni, la distruzione dei suoi palazzi a Firenze e Roma e la scomparsa delle sue carte d’archivio.
Ma la memoria della straordinaria personalità dell’Altoviti è passata ai posteri soprattutto grazie ai ritratti che di lui fecero artisti famosi, a cominciare da quelli di Raffaello e di Benvenuto Cellini, che sono il fulcro della mostra e che da soli fanno di questa rassegna un’occasione da non perdere: quello giovanile, dipinto da Raffaello verso il 1512 (National Gallery di Washington), che torna in Italia dopo quasi due secoli, e il busto in bronzo che ritrae Bindo Altoviti in età matura, realizzato dal Cellini nel 1549, in America dall’Ottocento (Isabella Stewart Gardner Museum, Boston).
A questi due capolavori assoluti della ritrattistica rinascimentale, si aggiunge il monumentale busto di Cosimo de’ Medici, pure del Cellini, che per la prima volta può essere visto a confronto con il ritratto di Bindo, secondo l’immagine che ciascuno dei due personaggi, fieramente avversi nella vita, volle dare di sé e tramandare ai posteri nelle durevoli forme del bronzo e attraverso il genio del medesimo scultore.
La mostra comprende altre importanti opere appartenute all’Altoviti che danno la misura del gusto e della qualità artistica ricercata dal collezionista: prima fra tutte, la Madonna dell’Impannata di Raffaello, della Galleria Palatina (non presente nell’edizione di Boston), che fu tra i beni confiscati da Cosimo I nel palazzo fiorentino di Bindo e che il duca collocò come un trofeo nella propria cappella privata.
Opere del Salviati, di Jacopino del Conte, di Girolamo da Carpi, di Jacopo Sansovino ricostruiscono quello che oggi resta delle collezioni dell’Altoviti e dei suoi speciali rapporti con gli artisti: fra questi Michelangelo, che gli fu amico e gli fece dono di un cartone per gli affreschi della Cappella Sistina, raffigurante l’Ebbrezza di Noè; e soprattutto Giorgio Vasari, che dipinse per lui ed affrescò la sua villa e il suo palazzo romano, come mostrano disegni, dipinti e documenti esposti.
Quanto alla collezione di arte antica, per la quale l’Altoviti fu a suo tempo famoso, essa è rappresentata in mostra da una rara statua in marmo, di artista greco, proveniente dal Museo Archeologico di Torino, (anch’essa non presente a Boston).
Un aspetto interessante e meno noto, messo in evidenza dalle ricerche pubblicate nel catalogo, è infine l’interesse dell’Altoviti per la musica e l’ospitalità che egli offriva ad appassionati e cultori riuniti in un’accademia informale nella sua casa romana.
L’edizione fiorentina della mostra, che sarà aperta al pubblico dal 2 marzo al 15 giugno, è a cura di Beatrice Paolozzi Strozzi e Maria Grazia Vaccari ed è corredata di un ampio catalogo (Electa) con contributi specialistici di molti studiosi italiani e stranieri.
L’esposizione, realizzata in collaborazione con l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, dove è già stata presentata con grande successo nello scorso autunno, illumina la figura di uno dei personaggi di maggiore spicco fra i committenti artistici del Cinquecento, il potente e ricchissimo banchiere papale Bindo Altoviti.
Membro di un’antica famiglia fiorentina, oggi estinta, Bindo Altoviti si trasferì giovanissimo a Roma dove costruì la sua fortuna e dove stabilì la sua dimora, pur mantenendo rapporti costanti con Firenze. La sua ascesa presso la corte papale iniziò durante il pontificato dei papi di casa Medici (Leone X e Clemente VII), per raggiungere il suo apice sotto Paolo III, dopo la cui elezione nel 1534 fu nominato alla massima carica di Depositario Generale della Camera Apostolica.
La sua ostilità crescente al nuovo regime mediceo, e la contrapposizione a Cosimo I in nome degli ideali repubblicani, lo indussero infine a sostenere anche finanziariamente i fuorusciti fiorentini nella guerra di Siena: dalla loro disfatta nel 1554 derivò la confisca dei beni di Bindo in Toscana e il suo bando da ribelle nel dominio mediceo. Due anni dopo, nel 1556, l’Altoviti moriva con l’amarezza di vedere il trionfo del principato a Firenze e il tramonto definitivo degli ideali repubblicani nella sua città.
Prima della fine del secolo, a Roma, il Banco Altoviti chiudeva per bancarotta. Seguivano, nel tempo, le vendite e la dispersione delle sue collezioni, la distruzione dei suoi palazzi a Firenze e Roma e la scomparsa delle sue carte d’archivio.
Ma la memoria della straordinaria personalità dell’Altoviti è passata ai posteri soprattutto grazie ai ritratti che di lui fecero artisti famosi, a cominciare da quelli di Raffaello e di Benvenuto Cellini, che sono il fulcro della mostra e che da soli fanno di questa rassegna un’occasione da non perdere: quello giovanile, dipinto da Raffaello verso il 1512 (National Gallery di Washington), che torna in Italia dopo quasi due secoli, e il busto in bronzo che ritrae Bindo Altoviti in età matura, realizzato dal Cellini nel 1549, in America dall’Ottocento (Isabella Stewart Gardner Museum, Boston).
A questi due capolavori assoluti della ritrattistica rinascimentale, si aggiunge il monumentale busto di Cosimo de’ Medici, pure del Cellini, che per la prima volta può essere visto a confronto con il ritratto di Bindo, secondo l’immagine che ciascuno dei due personaggi, fieramente avversi nella vita, volle dare di sé e tramandare ai posteri nelle durevoli forme del bronzo e attraverso il genio del medesimo scultore.
La mostra comprende altre importanti opere appartenute all’Altoviti che danno la misura del gusto e della qualità artistica ricercata dal collezionista: prima fra tutte, la Madonna dell’Impannata di Raffaello, della Galleria Palatina (non presente nell’edizione di Boston), che fu tra i beni confiscati da Cosimo I nel palazzo fiorentino di Bindo e che il duca collocò come un trofeo nella propria cappella privata.
Opere del Salviati, di Jacopino del Conte, di Girolamo da Carpi, di Jacopo Sansovino ricostruiscono quello che oggi resta delle collezioni dell’Altoviti e dei suoi speciali rapporti con gli artisti: fra questi Michelangelo, che gli fu amico e gli fece dono di un cartone per gli affreschi della Cappella Sistina, raffigurante l’Ebbrezza di Noè; e soprattutto Giorgio Vasari, che dipinse per lui ed affrescò la sua villa e il suo palazzo romano, come mostrano disegni, dipinti e documenti esposti.
Quanto alla collezione di arte antica, per la quale l’Altoviti fu a suo tempo famoso, essa è rappresentata in mostra da una rara statua in marmo, di artista greco, proveniente dal Museo Archeologico di Torino, (anch’essa non presente a Boston).
Un aspetto interessante e meno noto, messo in evidenza dalle ricerche pubblicate nel catalogo, è infine l’interesse dell’Altoviti per la musica e l’ospitalità che egli offriva ad appassionati e cultori riuniti in un’accademia informale nella sua casa romana.
L’edizione fiorentina della mostra, che sarà aperta al pubblico dal 2 marzo al 15 giugno, è a cura di Beatrice Paolozzi Strozzi e Maria Grazia Vaccari ed è corredata di un ampio catalogo (Electa) con contributi specialistici di molti studiosi italiani e stranieri.
02
marzo 2004
Ritratto di un banchiere del Rinascimento: Bindo Altoviti tra Raffaello e Cellini
Dal 02 marzo al 15 giugno 2004
Location
MUSEO NAZIONALE DEL BARGELLO
Firenze, Via Del Proconsolo, 4, (Firenze)
Firenze, Via Del Proconsolo, 4, (Firenze)
Biglietti
Intero €. 7.00 (comprensivo dell’ingresso
al museo)
Ridotto €. 3.50 per i cittadini della Comunità Europea tra i 18 e i 25 anni.
Gratuito per i cittadini della Comunità Europea sotto i 18 e sopra i 65 anni
Orario di apertura
Martedì – Domenica, 1° e 3° lunedì del mese ore 8.15 - 18.00
Chiuso il 2° e il 4° lunedì del mese ed il 1 maggio.
Alle ore 15.00, 16.00 e 17.00 di ogni giorno di apertura sono previste visite guidate gratuite del museo, in lingua italiana e inglese
Vernissage
1 Marzo 2004, ore 17
Sito web
www.bindoaltoviti.it