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Robert Marnika – Zadar 1991. La guerra all’improvviso
Zadar 1991 è un lavoro di analisi del proprio passato, una rivisitazione probabilmente necessaria ed in qualche modo utile, sia per aiutare a non dimenticare il conflitto sia perché quelle foto, quelle istantanee della guerra, erano oramai difficili da guardare nella matrice originale: fredda, impietosa, didascalica.
Comunicato stampa
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La guerra, da dentro.
Questa storia è differente. Sono tanti i fotografi che hanno documentato guerre sparse sempre e comunque su tutto il pianeta, manifesto di tutti gli inferni che il genere umano è capace di disseminare lungo il proprio cammino. Quasi sempre si è trattato di reporter che, se pure drammaticamente immersi nella realtà abbietta della distruzione e della morte, avevano affetti e casa e speranze riposti altrove. In qualche modo al sicuro.
Invece quella che Robert Marnika racconta è la vicenda di una ferita impressa sulla carne viva di un uomo e da lui stesso raccontata. E’ l’elaborazione di un taglio nella sua esistenza, che divide tutte le esperienze e i ricordi in un prima e in un dopo. Il Prima avrebbe potuto essere il dolce ricordo di momenti felici, ma è stato trasformato in un’innocenza pervasa dai muti segni del un dramma che sarebbe seguito. Il Dopo è diventato un presente che rincorre e teme le tracce di una faticosa memoria, o si rassegna all’oblio.
La guerra è quella jugoslava del 1991-1995, mostruosamente simile alle centinaia di guerre ancora oggi in corso in tutto il mondo.
Ci precipitano addosso, con la loro forza deturpante, macchiando la coscienza di tutti.
Il racconto cui assistiamo ha la struttura complessa dei linguaggi misti. il testo scritto è sintetico, denso come una fotografia, acuto e forte come una poesia. La successione di immagini e parole prosegue come il fluire della memoria: sovrapposizioni di istanti che insistono, collidono, appartengono a un presente investito, e spesso sovrastato, dalle esperienze del passato.
Dapprima è il lento riaffiorare della propria identità attraverso le foto di un album di famiglia, che diventa presto una caparbia affermazione di esistenza anagrafica, con l’esibizione di atti e documenti ufficiali.
Si affaccia una fragile contatto con il mondo esterno, fuori dalla guerra: sono cartoline di luoghi di vacanza, brevi messaggi di amicizia che tengono vivo il legame con una realtà diversa, lontana.
Quindi ritorna il contatto con un io che non c’è più, sorpreso nel passato con l’innamorata, ora in campagna per la vendemmia appena prima dello scoppio della prima bomba e poi in divisa da soldato.
Un attimo dopo è già guerra, i proiettili occupano tutto il fotogramma, tutti i pensieri. E la notte nel bunker è il sonno che sa di granata e di morte.
Quando il dolore della memoria comincia a lavorare le immagini si riaffacciano opache, evanescenti, quasi cancellate. Riemergono dall’oblio restando in un limbo che protegge dal dolore, il fotogramma stampato è immerso nei bagni del viraggio, soggetto allo stress di acidi e manipolazioni: è il segno impresso dalla volontà dell’autore, la sua personale elaborazione fisica sull’esperienza interiore. Il percorso del linguaggio fotografico in questa fase è avanzato, attivo e sferzante, ribellione all’impossibilità di modificare quanto è avvenuto. La fotografia diventa un atto terapeutico, manifesta i fantasmi, si presta a quello che nè il pensiero nè le parole permettono: bruciare, strappare, oscurare, modificare, sia pure simbolicamente, quello che è stato.
E creare altro, per trovare il modo di fare uscire qualcosa da sè, condividerlo per fissarlo.
E passare oltre.
Forse non abbiamo il diritto di fare esperienza sulla sofferenza altrui, distratti e impotenti come siamo, guardando da fuori, solo guardando, lontani nel tempo e nello spazio. Possiamo però chiudere gli occhi e vedere, come ci dice Marnika nel suo accorato racconto. Per comprendere dobbiamo, in altre parole, rivolgerci al pensiero profondo, alla solidarietà, alla capacità di patire come un unico corpo.
Perchè vogliamo credere alle parole di Susan Sontag: “Nessuno può pensare e al tempo stesso colpire un altro”i”
Cristina Paglionico (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche)
Robert Marnika nasce a Zara, in Croazia, nel 1966.
Il suo interesse per la fotografia inizia alla fine degli anni Ottanta a Zagabria, periodo durante il quale inizia a pubblicare i suoi primi lavori su giornali studenteschi. Interrompe così gli studi in chimica, intrapresi nel 1986, per dedicarsi esclusivamente alla ricerca fotografica.
Ritornato a Zara, inizia a collaborare con quotidiani e settimanali della Dalmazia, in qualità di fotoreporter prima, e responsabile di cronaca per un settimanale poi.
Nel 1991 ha inizio la guerra in Croazia e Marnika, nonostante la sofferenza personale e l’improvvisa scarsità di risorse causate dal conflitto, non riesce a non documentare gli orrori ai quali quotidianamente, e suo malgrado, assiste.
Nello stesso anno il Ministero della Cultura Croato propone le sue immagini di guerra, stampate a fatica per mancanza di energia elettrica ed acqua, sia in Germania che in Giappone. In particolare a Tokyo le sue fotografie partecipano ad una collettiva mondiale, suscitando i primi, seri interessi di critica e pubblico.
Si trasferisce in Italia nel 1993, stabilendosi definitivamente a Bologna dal 1995. Inizia, così, una intensa attività fotografica, egualmente divisa fra collaborazioni con agenzie, documentazioni freelance e attività didattiche.
Nel 2006 si distingue al Festival di Fotografia Fotoleggendo di Roma, dove vince il primo premio con il portfolio intitolato Frammenti di un ricordo, rielaborazione in post produzione in camera oscura di alcune delle immagini scattate negli anni della guerra. Attualmente continua l’attività di fotografo freelance, programmando periodicamente corsi di fotografia base e tecniche avanzate di stampa.
Dal 2002 organizza workshop fotografici in isole sperdute della Croazia, scegliendo come setting per le proprie lezioni luoghi lontani dai flussi turistici e dalla confusione della vita quotidiana.
Questa storia è differente. Sono tanti i fotografi che hanno documentato guerre sparse sempre e comunque su tutto il pianeta, manifesto di tutti gli inferni che il genere umano è capace di disseminare lungo il proprio cammino. Quasi sempre si è trattato di reporter che, se pure drammaticamente immersi nella realtà abbietta della distruzione e della morte, avevano affetti e casa e speranze riposti altrove. In qualche modo al sicuro.
Invece quella che Robert Marnika racconta è la vicenda di una ferita impressa sulla carne viva di un uomo e da lui stesso raccontata. E’ l’elaborazione di un taglio nella sua esistenza, che divide tutte le esperienze e i ricordi in un prima e in un dopo. Il Prima avrebbe potuto essere il dolce ricordo di momenti felici, ma è stato trasformato in un’innocenza pervasa dai muti segni del un dramma che sarebbe seguito. Il Dopo è diventato un presente che rincorre e teme le tracce di una faticosa memoria, o si rassegna all’oblio.
La guerra è quella jugoslava del 1991-1995, mostruosamente simile alle centinaia di guerre ancora oggi in corso in tutto il mondo.
Ci precipitano addosso, con la loro forza deturpante, macchiando la coscienza di tutti.
Il racconto cui assistiamo ha la struttura complessa dei linguaggi misti. il testo scritto è sintetico, denso come una fotografia, acuto e forte come una poesia. La successione di immagini e parole prosegue come il fluire della memoria: sovrapposizioni di istanti che insistono, collidono, appartengono a un presente investito, e spesso sovrastato, dalle esperienze del passato.
Dapprima è il lento riaffiorare della propria identità attraverso le foto di un album di famiglia, che diventa presto una caparbia affermazione di esistenza anagrafica, con l’esibizione di atti e documenti ufficiali.
Si affaccia una fragile contatto con il mondo esterno, fuori dalla guerra: sono cartoline di luoghi di vacanza, brevi messaggi di amicizia che tengono vivo il legame con una realtà diversa, lontana.
Quindi ritorna il contatto con un io che non c’è più, sorpreso nel passato con l’innamorata, ora in campagna per la vendemmia appena prima dello scoppio della prima bomba e poi in divisa da soldato.
Un attimo dopo è già guerra, i proiettili occupano tutto il fotogramma, tutti i pensieri. E la notte nel bunker è il sonno che sa di granata e di morte.
Quando il dolore della memoria comincia a lavorare le immagini si riaffacciano opache, evanescenti, quasi cancellate. Riemergono dall’oblio restando in un limbo che protegge dal dolore, il fotogramma stampato è immerso nei bagni del viraggio, soggetto allo stress di acidi e manipolazioni: è il segno impresso dalla volontà dell’autore, la sua personale elaborazione fisica sull’esperienza interiore. Il percorso del linguaggio fotografico in questa fase è avanzato, attivo e sferzante, ribellione all’impossibilità di modificare quanto è avvenuto. La fotografia diventa un atto terapeutico, manifesta i fantasmi, si presta a quello che nè il pensiero nè le parole permettono: bruciare, strappare, oscurare, modificare, sia pure simbolicamente, quello che è stato.
E creare altro, per trovare il modo di fare uscire qualcosa da sè, condividerlo per fissarlo.
E passare oltre.
Forse non abbiamo il diritto di fare esperienza sulla sofferenza altrui, distratti e impotenti come siamo, guardando da fuori, solo guardando, lontani nel tempo e nello spazio. Possiamo però chiudere gli occhi e vedere, come ci dice Marnika nel suo accorato racconto. Per comprendere dobbiamo, in altre parole, rivolgerci al pensiero profondo, alla solidarietà, alla capacità di patire come un unico corpo.
Perchè vogliamo credere alle parole di Susan Sontag: “Nessuno può pensare e al tempo stesso colpire un altro”i”
Cristina Paglionico (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche)
Robert Marnika nasce a Zara, in Croazia, nel 1966.
Il suo interesse per la fotografia inizia alla fine degli anni Ottanta a Zagabria, periodo durante il quale inizia a pubblicare i suoi primi lavori su giornali studenteschi. Interrompe così gli studi in chimica, intrapresi nel 1986, per dedicarsi esclusivamente alla ricerca fotografica.
Ritornato a Zara, inizia a collaborare con quotidiani e settimanali della Dalmazia, in qualità di fotoreporter prima, e responsabile di cronaca per un settimanale poi.
Nel 1991 ha inizio la guerra in Croazia e Marnika, nonostante la sofferenza personale e l’improvvisa scarsità di risorse causate dal conflitto, non riesce a non documentare gli orrori ai quali quotidianamente, e suo malgrado, assiste.
Nello stesso anno il Ministero della Cultura Croato propone le sue immagini di guerra, stampate a fatica per mancanza di energia elettrica ed acqua, sia in Germania che in Giappone. In particolare a Tokyo le sue fotografie partecipano ad una collettiva mondiale, suscitando i primi, seri interessi di critica e pubblico.
Si trasferisce in Italia nel 1993, stabilendosi definitivamente a Bologna dal 1995. Inizia, così, una intensa attività fotografica, egualmente divisa fra collaborazioni con agenzie, documentazioni freelance e attività didattiche.
Nel 2006 si distingue al Festival di Fotografia Fotoleggendo di Roma, dove vince il primo premio con il portfolio intitolato Frammenti di un ricordo, rielaborazione in post produzione in camera oscura di alcune delle immagini scattate negli anni della guerra. Attualmente continua l’attività di fotografo freelance, programmando periodicamente corsi di fotografia base e tecniche avanzate di stampa.
Dal 2002 organizza workshop fotografici in isole sperdute della Croazia, scegliendo come setting per le proprie lezioni luoghi lontani dai flussi turistici e dalla confusione della vita quotidiana.
04
giugno 2009
Robert Marnika – Zadar 1991. La guerra all’improvviso
04 giugno 2009
presentazione
incontro - conferenza
incontro - conferenza
Location
MODO INFOSHOP
Bologna, Via Mascarella, 24B, (Bologna)
Bologna, Via Mascarella, 24B, (Bologna)
Vernissage
4 Giugno 2009, ore 21 incontro con l'autore e Valeria Brancato, curatrice dei testi
Sito web
www.robertmarnika.com
Autore