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Roberto Caruso / Michele Cesaratto / David Farcaș / Andrei Pokrovskii / Paolo Pretolani – OCCHIO FURBETTO
Acappella è lieta di annunciare Occhio Furbetto, mostra collettiva con opere di Roberto Caruso, Michele Cesaratto, David Farcaș, Andrei Pokrovskii, Paolo Pretolani, a cura di Leonardo Devito. L’esposizione riunisce pittori di diverse nazionalità e formazioni.
Comunicato stampa
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Acappella è lieta di annunciare ‘Occhio Furbetto’ mostra collettiva con opere di Roberto Caruso, Michele Cesaratto, David Farcaș, Andrei Pokrovskii, Paolo Pretolani, a cura di Leonardo Devito. L’esposizione riunisce pittori di diverse nazionalità e formazione, accomunati da un profondo legame con la storia dell'arte. Un legame che a volte si mostra apertamente, altre volte in modo più sfumato, ma sempre attraverso una visione intelligente e calibrata. Questo rapporto tra artisti contemporanei e maestri del passato richiama il Mnemosyne di Aby Warburg, un atlante di immagini comparate che ripercorre la storia dei riferimenti e delle costanti dell’arte occidentale. Per un artista attento, determinate immagini del passato possono lasciare un’impronta specifica nel suo immaginario e nel suo linguaggio, costruendo inconsapevolmente una sorta di “costellazione” di immagini, di riferimenti, di soggetti e particolari amati, verso i quali la propria pittura tende continuamente, direttamente o indirettamente.
Questa continuità con una determinata tradizione, tuttavia, può rivelare una certa fragilità o sollevare domande su cui non è sbagliato interrogarsi. L’arte contemporanea, infatti, ha spesso creato un taglio netto con il passato e con ciò che potremmo definire arte tradizionale. Rifacendosi a qualcosa che è già stato fatto, non si rischia forse di essere meramente retorici o di risultare non originali? È ancora possibile, oggi, aderire in qualche modo a una tradizione artistica, sia essa vicina o remota? Per rispondere a questa domanda, è utile considerare ciò che scrive Salvatore Settis riguardo alle tradizioni: “Per avvicinarsi alla tradizione artistica dobbiamo prendere una strada opposta, e la sola etimologia (tradizione dal latino traditio, che corrisponde al verbo tradere, “passare di mano in mano”) non basta. Possiamo semmai ricorrere all’analogia con altri usi di tradizione, in senso istituzionale o di storia culturale. Nel gergo dei filologi, tradizione è il meccanismo di trasmissione dei testi da un manoscritto all’altro, con inevitabili errori e varianti. (…) Analogamente, può chiamarsi traditio legis, l’immagine del Cristo che porge un rotolo librario a San Pietro, che potrà poi trasmetterlo ai successori. Passaggi di mano in mano che non comportano mai la piena identità fra chi dà e chi riceve; anzi, la escludono (…) in cui l’esigenza di continuità si scontra con l’inevitabile discontinuità di pratiche, aspirazioni o progetti, innescando crisi o equilibri ogni volta diversi. Tradizione, insomma, vuol dire ereditare qualcosa e impadronirsene per trasformarlo in qualcos’altro.”
Ad esempio, nel lavoro di Roberto Caruso (nato a Lanciano, 1982), troviamo un richiamo costante alla pittura del Novecento, che spesso si traduce in scene di vita quotidiana. In Ai margini del parco, una scena contemporanea di jogging richiama le periferie malinconiche di Mario Sironi; mentre in Agnese non dorme, un omaggio allo studio de La Victime di Balthus, Caruso usa il riferimento come pretesto per esplorare soluzioni stilistiche personali. Michele Cesaratto (nato a San Daniele del Friuli, 1998) lavora quasi esclusivamente su tavole di legno, che prepara con tecniche tradizionali e dipinge a tempera all’uovo. I suoi dipinti, con la loro struttura organica e naturale, evocano immagini che, pur appartenendo al presente, portano con sé una profonda nostalgia per un mondo antico e perduto. In Bebe, ad esempio, il suo gatto è ritratto mentre si rilassa, circondato dalle sue prede disposte intorno a lui come trofei. La composizione richiama i mosaici pompeiani, come il Gatto che azzanna un gallinaccio, con anatre, uccelli, pesci e conchiglie (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), e il disegno del ghepardo con collare rosso di Pisanello nel Codice Vallardi del Louvre. Anche David Farcaș (nato a Baia Mare, Romania, 1990) è legato a un certo immaginario della pittura novecentesca. Si possono individuare quei percorsi che, da Piero della Francesca passano da Cezanne a Felice Casorati fino ad arrivare a soluzioni personali, fresche e libere, come in Pantera. Altre opere, come il suo Autoritratto, assumono invece tonalità più cupe e introspezioni che trasmettono un’intensità quasi drammatica. Andrei Pokrovsky (nato a Mosca, 1996) lavora su un registro unico, dove le sue immagini sembrano emergere da narrazioni sospese e indefinite, sospese tra suggestioni kafkiane e atmosfere gotiche. I suoi lavori ricordano le predelle delle pale d’altare quattrocentesche, (mi viene in mente il Polittico di San Galgano di Giovanni di Paolo), e rievocano la presenza magica delle icone russe, con una qualità eterea che richiama dipinti come la Trinità di Andrej Rublëv. Nel lavoro di Paolo Pretolani (nato ad Assisi, 1991) si osservano sperimentazioni variegate. In Black Forest Gold, ciò che all’inizio appare come una lastra di pietra nera con venature dorate si rivela, a un’osservazione più attenta, come la visione notturna di una foresta. Il sottile confine tra pittura e pietra richiama i commessi fiorentini antichi, evocando una falsa imitazione. In Untitled, invece, Pretolani decontestualizza un dettaglio di una muta di cani, estratto da un’opera di Bruegel il Vecchio, fino a trasformarlo in una visione inquietante: i cani sembrano piccoli demoni alieni che scendono dal cielo. Occhio Furbetto invita a scoprire come la storia dell’arte possa ancora essere una fonte inesauribile di ispirazione per il presente, offrendo nuove risposte e infinite domande sulla nostra connessione con il passato e sul valore della tradizione.
Leonardo Devito
Questa continuità con una determinata tradizione, tuttavia, può rivelare una certa fragilità o sollevare domande su cui non è sbagliato interrogarsi. L’arte contemporanea, infatti, ha spesso creato un taglio netto con il passato e con ciò che potremmo definire arte tradizionale. Rifacendosi a qualcosa che è già stato fatto, non si rischia forse di essere meramente retorici o di risultare non originali? È ancora possibile, oggi, aderire in qualche modo a una tradizione artistica, sia essa vicina o remota? Per rispondere a questa domanda, è utile considerare ciò che scrive Salvatore Settis riguardo alle tradizioni: “Per avvicinarsi alla tradizione artistica dobbiamo prendere una strada opposta, e la sola etimologia (tradizione dal latino traditio, che corrisponde al verbo tradere, “passare di mano in mano”) non basta. Possiamo semmai ricorrere all’analogia con altri usi di tradizione, in senso istituzionale o di storia culturale. Nel gergo dei filologi, tradizione è il meccanismo di trasmissione dei testi da un manoscritto all’altro, con inevitabili errori e varianti. (…) Analogamente, può chiamarsi traditio legis, l’immagine del Cristo che porge un rotolo librario a San Pietro, che potrà poi trasmetterlo ai successori. Passaggi di mano in mano che non comportano mai la piena identità fra chi dà e chi riceve; anzi, la escludono (…) in cui l’esigenza di continuità si scontra con l’inevitabile discontinuità di pratiche, aspirazioni o progetti, innescando crisi o equilibri ogni volta diversi. Tradizione, insomma, vuol dire ereditare qualcosa e impadronirsene per trasformarlo in qualcos’altro.”
Ad esempio, nel lavoro di Roberto Caruso (nato a Lanciano, 1982), troviamo un richiamo costante alla pittura del Novecento, che spesso si traduce in scene di vita quotidiana. In Ai margini del parco, una scena contemporanea di jogging richiama le periferie malinconiche di Mario Sironi; mentre in Agnese non dorme, un omaggio allo studio de La Victime di Balthus, Caruso usa il riferimento come pretesto per esplorare soluzioni stilistiche personali. Michele Cesaratto (nato a San Daniele del Friuli, 1998) lavora quasi esclusivamente su tavole di legno, che prepara con tecniche tradizionali e dipinge a tempera all’uovo. I suoi dipinti, con la loro struttura organica e naturale, evocano immagini che, pur appartenendo al presente, portano con sé una profonda nostalgia per un mondo antico e perduto. In Bebe, ad esempio, il suo gatto è ritratto mentre si rilassa, circondato dalle sue prede disposte intorno a lui come trofei. La composizione richiama i mosaici pompeiani, come il Gatto che azzanna un gallinaccio, con anatre, uccelli, pesci e conchiglie (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), e il disegno del ghepardo con collare rosso di Pisanello nel Codice Vallardi del Louvre. Anche David Farcaș (nato a Baia Mare, Romania, 1990) è legato a un certo immaginario della pittura novecentesca. Si possono individuare quei percorsi che, da Piero della Francesca passano da Cezanne a Felice Casorati fino ad arrivare a soluzioni personali, fresche e libere, come in Pantera. Altre opere, come il suo Autoritratto, assumono invece tonalità più cupe e introspezioni che trasmettono un’intensità quasi drammatica. Andrei Pokrovsky (nato a Mosca, 1996) lavora su un registro unico, dove le sue immagini sembrano emergere da narrazioni sospese e indefinite, sospese tra suggestioni kafkiane e atmosfere gotiche. I suoi lavori ricordano le predelle delle pale d’altare quattrocentesche, (mi viene in mente il Polittico di San Galgano di Giovanni di Paolo), e rievocano la presenza magica delle icone russe, con una qualità eterea che richiama dipinti come la Trinità di Andrej Rublëv. Nel lavoro di Paolo Pretolani (nato ad Assisi, 1991) si osservano sperimentazioni variegate. In Black Forest Gold, ciò che all’inizio appare come una lastra di pietra nera con venature dorate si rivela, a un’osservazione più attenta, come la visione notturna di una foresta. Il sottile confine tra pittura e pietra richiama i commessi fiorentini antichi, evocando una falsa imitazione. In Untitled, invece, Pretolani decontestualizza un dettaglio di una muta di cani, estratto da un’opera di Bruegel il Vecchio, fino a trasformarlo in una visione inquietante: i cani sembrano piccoli demoni alieni che scendono dal cielo. Occhio Furbetto invita a scoprire come la storia dell’arte possa ancora essere una fonte inesauribile di ispirazione per il presente, offrendo nuove risposte e infinite domande sulla nostra connessione con il passato e sul valore della tradizione.
Leonardo Devito
21
novembre 2024
Roberto Caruso / Michele Cesaratto / David Farcaș / Andrei Pokrovskii / Paolo Pretolani – OCCHIO FURBETTO
Dal 21 novembre 2024 al 15 gennaio 2025
arte contemporanea
Location
ACAPPELLA
Napoli, Via Cappella Vecchia, 8, (Napoli)
Napoli, Via Cappella Vecchia, 8, (Napoli)
Orario di apertura
da martedi al venerdi dalle 16 alle 19
Vernissage
21 Novembre 2024, ore 19:00, su invito
Sito web
Autore
Curatore
Autore testo critico