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Roberto Kusterle – Ana Kronos
Roberto Kusterle, goriziano classe 1948, crea mondi immaginari, senza tempo. Ne nasce un senso di mistero ed ambiguità che lasciano un senso di smarrimento, che immediatamente si trasforma in un forte desiderio interpretativo. E’ una ricerca personale, enigmatica e scioccante, che suscita discussioni forti, riflessioni d’ogni tipo, in qualche caso anche contrapposte tra loro.
Comunicato stampa
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“ANA KRONOS Ovvero Dei mondi Im-possibili”
di Claudio Composti
« Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire. »
(Roy Batty,cyborg da “Blade Runner” 1982)
Se “foto-grafia” significa “scrittura con la luce”, allora Roberto Kusterle è uno scrittore.
Le sue opere fotografiche, inoltre, hanno una fortissima affinità con la letteratura di fantascienza, in particolare con la letteratura di Philip Kindred Dick (1928 –1982). E’ dal suo romanzo di fantascienza “Il cacciatore di androidi”,1968 (in originale “Do Androids Dream of Electric Sheep?”) che è stato tratto il celebre film Blade Runner,1982 di Ridley Scott, carico dei temi cari allo scrittore americano: cos'è reale e cosa non lo è, cosa è umano e cosa no.
Roberto Kusterle, goriziano classe 1948, crea mondi immaginari, senza tempo. Ne nasce un senso di mistero ed ambiguità che lasciano un senso di smarrimento, che immediatamente si trasforma in un forte desiderio interpretativo. E’ una ricerca personale, enigmatica e scioccante, che suscita discussioni forti, riflessioni d’ogni tipo, in qualche caso anche contrapposte tra loro.
Ancor più destabilizzante e difficile a credersi (la domanda di Dick: cosa è reale e cosa no?) sono non solo i suoi soggetti ma anche queste vere e proprie “mise en scène” di ambientazioni di mondi “paralleli” creati ad hoc, a mano, dall’artista goriziano. Tutto quello che si vede nei suoi set scenografici è vero, ma non sembra, senza interventi o manipolazioni al computer: come l’enorme testa (vera scultura) de “Il sostegno dell’Io” in cui un uomo si sforza di scalzare da un terreno arido (greto di un torrente in secca,vero) un’enorme testa “simulacro” (altro termine caro a Dick) che ricorda la statua di un idolo (sé stesso?) molto simile allo stesso uomo che spinge.
La sua opera diventa così fotografia, scultura, teatro, performance, video.
Mezzi con cui indaga l’inverosimile o forse l’irreale, ma soprattutto il senso dell'umano e dell’Essere, come fece Dick. Tra i personaggi dell’artista goriziano e lo scrittore americano c’è in comune la stessa condanna: una solitudine incolmabile. Solitudine e ricerca di sé che contagia perfino l’androide, che per darsi un senso cerca di essere quello che non è: umano e immortale – nonostante sia macchina. Come si interroga il poliziotto protagonista creato da Dick, Deckard (forse lui stesso androide), circa i cyborg, così ci domandiamo noi circa gli esseri di Kusterle: esistono? provano sentimenti come noi? hanno pensieri come noi?
La nostra certezza di esistere arriva dal dubbio, da noi stessi perché il pensiero ce lo conferma: "Cogito ergo sum", “Penso quindi sono”, sosteneva il filosofo francese Descartes, alias Cartesio (1596-1650). Ma chi mi sta di fronte, è un soggetto come noi o piuttosto un androide o un mostro? Abbiamo bisogno di conferme.
Singolare notare come Cartesio parlava già di uomini e macchine quando definendo la capacità di pensare (cogitare) la definiva come “…capacità di autocoscienza…” che appartiene solo agli uomini dotati di “[...]…un corpo che funziona meccanicamente, come una macchina: incomparabilmente meglio ordinata e ha in sè movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra tra quelle che gli uomini possono inventare »
E la conferma più forte di sé è negare l’altro da sé, il diverso che non si conosce.
di Claudio Composti
« Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire. »
(Roy Batty,cyborg da “Blade Runner” 1982)
Se “foto-grafia” significa “scrittura con la luce”, allora Roberto Kusterle è uno scrittore.
Le sue opere fotografiche, inoltre, hanno una fortissima affinità con la letteratura di fantascienza, in particolare con la letteratura di Philip Kindred Dick (1928 –1982). E’ dal suo romanzo di fantascienza “Il cacciatore di androidi”,1968 (in originale “Do Androids Dream of Electric Sheep?”) che è stato tratto il celebre film Blade Runner,1982 di Ridley Scott, carico dei temi cari allo scrittore americano: cos'è reale e cosa non lo è, cosa è umano e cosa no.
Roberto Kusterle, goriziano classe 1948, crea mondi immaginari, senza tempo. Ne nasce un senso di mistero ed ambiguità che lasciano un senso di smarrimento, che immediatamente si trasforma in un forte desiderio interpretativo. E’ una ricerca personale, enigmatica e scioccante, che suscita discussioni forti, riflessioni d’ogni tipo, in qualche caso anche contrapposte tra loro.
Ancor più destabilizzante e difficile a credersi (la domanda di Dick: cosa è reale e cosa no?) sono non solo i suoi soggetti ma anche queste vere e proprie “mise en scène” di ambientazioni di mondi “paralleli” creati ad hoc, a mano, dall’artista goriziano. Tutto quello che si vede nei suoi set scenografici è vero, ma non sembra, senza interventi o manipolazioni al computer: come l’enorme testa (vera scultura) de “Il sostegno dell’Io” in cui un uomo si sforza di scalzare da un terreno arido (greto di un torrente in secca,vero) un’enorme testa “simulacro” (altro termine caro a Dick) che ricorda la statua di un idolo (sé stesso?) molto simile allo stesso uomo che spinge.
La sua opera diventa così fotografia, scultura, teatro, performance, video.
Mezzi con cui indaga l’inverosimile o forse l’irreale, ma soprattutto il senso dell'umano e dell’Essere, come fece Dick. Tra i personaggi dell’artista goriziano e lo scrittore americano c’è in comune la stessa condanna: una solitudine incolmabile. Solitudine e ricerca di sé che contagia perfino l’androide, che per darsi un senso cerca di essere quello che non è: umano e immortale – nonostante sia macchina. Come si interroga il poliziotto protagonista creato da Dick, Deckard (forse lui stesso androide), circa i cyborg, così ci domandiamo noi circa gli esseri di Kusterle: esistono? provano sentimenti come noi? hanno pensieri come noi?
La nostra certezza di esistere arriva dal dubbio, da noi stessi perché il pensiero ce lo conferma: "Cogito ergo sum", “Penso quindi sono”, sosteneva il filosofo francese Descartes, alias Cartesio (1596-1650). Ma chi mi sta di fronte, è un soggetto come noi o piuttosto un androide o un mostro? Abbiamo bisogno di conferme.
Singolare notare come Cartesio parlava già di uomini e macchine quando definendo la capacità di pensare (cogitare) la definiva come “…capacità di autocoscienza…” che appartiene solo agli uomini dotati di “[...]…un corpo che funziona meccanicamente, come una macchina: incomparabilmente meglio ordinata e ha in sè movimenti più meravigliosi di qualsiasi altra tra quelle che gli uomini possono inventare »
E la conferma più forte di sé è negare l’altro da sé, il diverso che non si conosce.
22
settembre 2009
Roberto Kusterle – Ana Kronos
Dal 22 settembre al 22 ottobre 2009
fotografia
Location
MC2GALLERY
Milano, Via Giovanni Lulli, 5, (Milano)
Milano, Via Giovanni Lulli, 5, (Milano)
Vernissage
22 Settembre 2009, ore 18.00 - 21.00
Autore
Curatore