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Roberto Pilat – Pilateide
Nel mare magno delle mostre romane rischia di passare inosservato il passaggio di Robi Pilat, oggi uno dei più brillanti esponenti della scuola di Albissola (o Albisola, come più correttamente si dovrebbe dire), il piccolo centro ligure che tanto peso ha avuto nella storia della ceramica d’arte del ’900.
Intendiamoci, non che Pilat sia albisolese di nascita, semplicemente è capitato a lui quel che già capitò ad Arturo Martini, Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi e a molti illustri protagonisti di tutte le avanguardie susseguitesi nel corso del ’900: l’innamoramento per l’arte di modellare e dipingere la terra, cui pare destinato ogni pittore o scultore si trovi a transitare per “la città rivierasca di terraglia”.
Pilat ha cominciato a “forgiare” la ceramica (al primo impatto visivo le sue sculture sembrano realizzate in bronzo, ferro rugginoso, una materia molto lontana dall’idea che comunemente si ha della ceramica) alla fine degli anni ’70, epoca del suo matrimonio con una ragazza di Albisola. Ma il desiderio di confrontarsi con questa tecnica è germogliato tempo prima, quando, giovane ufficiale della marina mercantile, viveva avventure ed atmosfere degne dei migliori romanzi di Joseph Conrad. Durante una trasferta in Giappone si verifica un incontro che si rivelerà determinante per gli sviluppi futuri della sua carriera d’artista: passeggiando per il centro di Kobe, vede una piccola ciotola esposta in vetrina. Il materiale, bellissimo, sembra una fusione di bronzo e ghisa, si tratta, invece, di raku, un particolare tipo di ceramica. “Fu così” racconta Pilat “che rimasi stregato dal raku, un’antica tecnica del XVI secolo, utilizzata per creare gli oggetti della cerimonia del tè. Trovai un anziano ceramista che mi fece assistere alla cottura di un oggetto. Da allora, ogniqualvolta il lavoro mi portava in Giappone, andavo a trovare quel bravo artigiano”.
Roberto Pilat – Pilateide
Roma, Via Della Pigna, 13a, (Roma)