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Romolo Belvedere – Luoghi e Corpi
Fotografie
Comunicato stampa
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Angeli e abissi
Nelle immagini fotografiche di Romolo Belvedere tutto diventa “corpo”. Per questo artista, di chiara discendenza teatrale, la fisicità è tutto. Non tanto nel senso della vitalità quanto piuttosto nel corpo inteso come Eros e Tanatos.
Le sue inquadrature hanno “volume”, profondità, sono vive e lievitano, sono leggere come il soffio, sensuali e seduttive come l’alito, il colpo d’ala di un angelo tangibile, afferrabile e di lontana nostalgia.
Belvedere sceglie i suoi soggetti prevalentemente nel mondo della finzione: set cinematografici preferibilmente spenti, teatri, palcoscenici, luoghi dove l’azione si è già compiuta. I gesti sono ormai ricordi. Eroi ed eroine sono uscite di scena. E’ rimasto solo il silenzio.
Eppure questi luoghi vivono. O, meglio, in questi luoghi si sente - e neanche tanto impercettibilmente – la trama eterna, il dramma della vita che si ripete inesorabile.
Non più spazi abitati da corpi ma popolati - per non dire affollati - da ricordi, da rievocazioni di corpi che si “fondono” e si confondono con i luoghi.
Più che a una sovrapposizione o penetrazione corpo – luogo, ha luogo una mise en abîme, una messa in scena dell’epifania della contaminazione.
Si tratta di una teatralizzazione del corpo che non è fine a se stessa rivelando corrispondenze più o meno segrete tra luogo e corpo, ma che diventa instancabile ricerca sul fenomeno della fotografia stessa capace di cogliere l’attimo, la realtà, e al tempo stesso di rivelare affinità elettive insospettate, di evocare immagini segretamente desiderate.
Come si desidera un corpo di spessa e rugosa corteccia adagiato sulle foglie della terra umida che inconsapevolmente emana una forza seduttrice irresistibile.
I luoghi – e i corpi – sembrano scegliere Belvedere e non viceversa. Luoghi inquietanti che lo attraggono, che esercitano su di lui una specie di costrizione, che sembrano dettare legge sul modo in cui lui, l’artista, vi si muove.
Belvedere si lascia prendere e guidare dai suoi soggetti ma poi prende il sopravvento la sua anima da fotografo-regista che si avvale del “diritto sovrano” del manipolatore, dello sciamano che riprende la realtà mettendola in scena, la dirige, la occulta, la direziona verso altra mete, nuove realtà.
Davanti al suo obbiettivo e ai nostri occhi, si aprono abissi in cui più che precipitare ci lanciamo come se potessimo volare aggrappati ad un misterioso ombrello, ad una spada, ad una corda. E’ il volo della fantasia e della leggerezza, dell’essere che sente il corpo solo come pulsione e non come materia che ci fa sprofondare.
In questo mondo in cui la legge della gravità è scardinata e sospesa, i colori sono veri e al tempo stesso ingannevoli, a volte sorprendentemente accesi, a volte sinistramente spenti, sbiaditi.
I corpi – di esseri umani ma anche di elefanti in cartapesta, di teste di cavalli, di foche nere - hanno le sembianze di creature fantasmagoriche, spiriti provenienti dal mondo dei sogni.
Si affacciano sull’orlo del mondo, restano sospesi sull’abisso forse inconsapevolmente attratti e spinti dalla voglia di trovare luoghi non luoghi, luoghi di anima, sinonimi di identità.
Si muovono cautamente a passi felpati su set cinematografici di lontane reminiscenze pensando – come forse anche noi – che le quinte siano solidi come le mura di un palazzo, le facciate delle case promettenti inviti a passare la soglia, i ragazzi distesi sui prato, con gli occhi sinistramente aperti accanto al pescespada o un mucchio di armi, solo uno scherzo della fantasia
In questa singolare anarchia del mondo raffigurato come palcoscenico, come abisso ludico, vi è un metodo, un sistema, una puntigliosa e ferrea ricerca portata avanti per decenni con la macchina fotografica.
E’ una scrittura il cui alfabeto, le cui lettere, sono le immagini con cui Belvedere compone una dopo l’altra, messe in fila, la Frase sull’essere corpo in un luogo, sull’Esser-Ci..
Non nella drammatica accezione heideggeriana o esistenzialista della “Geworfenheit”, dello “In der Welt seins“ che gli fa da padre, dal momento che Belvedere, per sua e nostra fortuna, non è filosofo ma teatrante, “commediante” se vogliamo. Quindi il suo interrogarsi sull’esserci si evolve sul filo della sottile ironia, con la divertente e divertita coscienza che l’interrogarsi sull’esistenza può trasformarsi in un gioco che sfugge, toccandolo, il senso della drammaticità, della tragicità della vita.
Eva Clausen
Romolo Belvedere nasce a Marcellina (Roma) , dove vive e lavora come architetto.
L’interesse per tutto ciò che è immagine come forma espressiva lo porta a percorrere un itinerario attraverso la fotografia che lo vede realizzare negli anni ’80 e ’90 opere in cui, ripercorrendo cromaticamente immagini in bianco e nero, restituisce ad esse nuove varianti espressive dando luogo ad una serie di personali in gallerie italiane ed estere.
Nelle immagini fotografiche di Romolo Belvedere tutto diventa “corpo”. Per questo artista, di chiara discendenza teatrale, la fisicità è tutto. Non tanto nel senso della vitalità quanto piuttosto nel corpo inteso come Eros e Tanatos.
Le sue inquadrature hanno “volume”, profondità, sono vive e lievitano, sono leggere come il soffio, sensuali e seduttive come l’alito, il colpo d’ala di un angelo tangibile, afferrabile e di lontana nostalgia.
Belvedere sceglie i suoi soggetti prevalentemente nel mondo della finzione: set cinematografici preferibilmente spenti, teatri, palcoscenici, luoghi dove l’azione si è già compiuta. I gesti sono ormai ricordi. Eroi ed eroine sono uscite di scena. E’ rimasto solo il silenzio.
Eppure questi luoghi vivono. O, meglio, in questi luoghi si sente - e neanche tanto impercettibilmente – la trama eterna, il dramma della vita che si ripete inesorabile.
Non più spazi abitati da corpi ma popolati - per non dire affollati - da ricordi, da rievocazioni di corpi che si “fondono” e si confondono con i luoghi.
Più che a una sovrapposizione o penetrazione corpo – luogo, ha luogo una mise en abîme, una messa in scena dell’epifania della contaminazione.
Si tratta di una teatralizzazione del corpo che non è fine a se stessa rivelando corrispondenze più o meno segrete tra luogo e corpo, ma che diventa instancabile ricerca sul fenomeno della fotografia stessa capace di cogliere l’attimo, la realtà, e al tempo stesso di rivelare affinità elettive insospettate, di evocare immagini segretamente desiderate.
Come si desidera un corpo di spessa e rugosa corteccia adagiato sulle foglie della terra umida che inconsapevolmente emana una forza seduttrice irresistibile.
I luoghi – e i corpi – sembrano scegliere Belvedere e non viceversa. Luoghi inquietanti che lo attraggono, che esercitano su di lui una specie di costrizione, che sembrano dettare legge sul modo in cui lui, l’artista, vi si muove.
Belvedere si lascia prendere e guidare dai suoi soggetti ma poi prende il sopravvento la sua anima da fotografo-regista che si avvale del “diritto sovrano” del manipolatore, dello sciamano che riprende la realtà mettendola in scena, la dirige, la occulta, la direziona verso altra mete, nuove realtà.
Davanti al suo obbiettivo e ai nostri occhi, si aprono abissi in cui più che precipitare ci lanciamo come se potessimo volare aggrappati ad un misterioso ombrello, ad una spada, ad una corda. E’ il volo della fantasia e della leggerezza, dell’essere che sente il corpo solo come pulsione e non come materia che ci fa sprofondare.
In questo mondo in cui la legge della gravità è scardinata e sospesa, i colori sono veri e al tempo stesso ingannevoli, a volte sorprendentemente accesi, a volte sinistramente spenti, sbiaditi.
I corpi – di esseri umani ma anche di elefanti in cartapesta, di teste di cavalli, di foche nere - hanno le sembianze di creature fantasmagoriche, spiriti provenienti dal mondo dei sogni.
Si affacciano sull’orlo del mondo, restano sospesi sull’abisso forse inconsapevolmente attratti e spinti dalla voglia di trovare luoghi non luoghi, luoghi di anima, sinonimi di identità.
Si muovono cautamente a passi felpati su set cinematografici di lontane reminiscenze pensando – come forse anche noi – che le quinte siano solidi come le mura di un palazzo, le facciate delle case promettenti inviti a passare la soglia, i ragazzi distesi sui prato, con gli occhi sinistramente aperti accanto al pescespada o un mucchio di armi, solo uno scherzo della fantasia
In questa singolare anarchia del mondo raffigurato come palcoscenico, come abisso ludico, vi è un metodo, un sistema, una puntigliosa e ferrea ricerca portata avanti per decenni con la macchina fotografica.
E’ una scrittura il cui alfabeto, le cui lettere, sono le immagini con cui Belvedere compone una dopo l’altra, messe in fila, la Frase sull’essere corpo in un luogo, sull’Esser-Ci..
Non nella drammatica accezione heideggeriana o esistenzialista della “Geworfenheit”, dello “In der Welt seins“ che gli fa da padre, dal momento che Belvedere, per sua e nostra fortuna, non è filosofo ma teatrante, “commediante” se vogliamo. Quindi il suo interrogarsi sull’esserci si evolve sul filo della sottile ironia, con la divertente e divertita coscienza che l’interrogarsi sull’esistenza può trasformarsi in un gioco che sfugge, toccandolo, il senso della drammaticità, della tragicità della vita.
Eva Clausen
Romolo Belvedere nasce a Marcellina (Roma) , dove vive e lavora come architetto.
L’interesse per tutto ciò che è immagine come forma espressiva lo porta a percorrere un itinerario attraverso la fotografia che lo vede realizzare negli anni ’80 e ’90 opere in cui, ripercorrendo cromaticamente immagini in bianco e nero, restituisce ad esse nuove varianti espressive dando luogo ad una serie di personali in gallerie italiane ed estere.
11
aprile 2007
Romolo Belvedere – Luoghi e Corpi
Dall'undici aprile al 03 giugno 2007
fotografia
Location
GALLERIA LUXARDO
Roma, Via Di Tor Di Nona, 39, (Roma)
Roma, Via Di Tor Di Nona, 39, (Roma)
Orario di apertura
da martedì a sabato 16-19,30
Vernissage
11 Aprile 2007, ore 19
Sito web
www.fotografiafestival.it
Autore