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Rosaria Matarese – Patartemide
Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, giovedì 10 dicembre alle ore 17, nella Sala Mostre del piano terra, sarà inaugurata l’esposizione “Patartemide” di Rosaria Matarese, a cura di Dario Giuliano su iniziativa del Servizio Educativo. Un’aura “patafisica” avvolge l’Artemide di Efeso: l’eccezionalità dei materiali di cui è fatta la statua del Museo di Napoli, il suo aspetto ieratico ma “eccessivo”, la straripante abbondanza delle figure simboliche di cui è contornata e specialmente l’ininterrotto gioco di interpretazioni cui ha dato vita quella corona di pendenti sotto il collo, hanno ispirato le invenzioni in mostra di Rosaria Matarese. Le cinque opere in tecnica mista possono essere considerate sculture a parete.
Comunicato stampa
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Qui Rosaria Matarese sfida la permalosità di Artemide. Per esempio, la spoglia facendo violenza
alla sua indole, perché la figlia di Zeus, nonostante fosse presumibilmente bella quanto il suo
gemello Apollo ‒ che proprio lei, neonata, aveva aiutato a venire alla luce ‒, non sopportava di
essere vista nuda. Un giorno, resasi conto che Atteone se la guardava rapito mentre lei si concedeva
un bel bagno sul Citerone, lo trasformò in cervo, così che il principe tebano fu subito sbranato dai
suoi stessi cani. E la medesima sorte sembra sia toccata al cretese Siproìte. Altri terribili delitti
vengono attribuiti alla collerica e selvaggia cacciatrice (a Roma lei è Diana), capace addirittura di
aver la meglio su più di un gigante. E anche alcuni significativi capricci: aveva tre anni quando
manifestò al padre il desiderio di restare vergine per la vita; come gli chiese, pure, quante più città
potesse darle, e numerosissimi appellativi, e specialmente tutti i monti, che voleva come casa per
vagarvi quale personificazione della Luna.
Era venerata in tanti luoghi del mondo greco, però il più famoso dei suoi santuari –
quell’Artemision che fu una delle sette meraviglie del mondo e secondo Pausania il più grande degli
edifici – era a Efeso, sulla costa dell’attuale Turchia: ma lì aveva “assimilato” un’antica divinità
asiatica della fecondità e preso quell’aspetto particolarissimo che ha la statua del nostro Museo, con
la complessa iconografia che nulla ha a che vedere con quella dell’Artemide con arco e frecce.
Se fossimo stati invitati a indovinare su quale opera antica “Occhio” di Rosaria Matarese si sarebbe
volentieri posato, avremmo detto proprio l’esuberante Efesia, nota da monete di quella città e da
diverse copie, tra le quali eccelle quella farnesiana in alabastro e bronzo del MANN, dove giunse da
Roma priva di testa e altre parti che Albacini e Valadier provvidero a rifare.
La statua è troppo conosciuta perché la si descriva qui, e troppo si è detto sul rompicapo mammelle-
scroti di toro-altro, ben noto a Rosaria Matarese, per soffermarvisi ancora: d’altronde, se lo
facessimo, non saremmo neppure in sintonia con la patafisica immaginativa dell’autrice, rivendicata
già col titolo scelto per la mostra: che comprende quattro grandi sculture dipinte “eccessive” quanto
la loro antica ispiratrice, osservate, da una parete minore della sala, da “Occhio”, di cui prima
dicevamo: operina ‒ solo per il formato ‒ che si gode la scena stando lì, per un nostro suggerimento
accolto prontamente, anche a ricordare un elemento del repertorio dell’artista, che sguardi e occhi
popolano numerosi.
“Luna Park” e “L’arte è un gioco” sono titoli di due mostre degli anni Sessanta cui Rosaria
Matarese partecipò a inizio carriera: indicano uno dei versanti più significativi lungo cui si muove
la sua ricerca, nella quale il ludico ha dovuto però più volte cedere il passo finanche al tragico o
mescolarvisi, per l’urgente confronto con temi ai quali le è evidentemente impossibile restare
indifferente. A quel versante non è affatto estranea questa esposizione, dove però trovano spazio
altri suoi ricorrenti contenuti: il corpo, per esempio; o il femminile.
E le cose esibite ben sintetizzano pure il suo linguaggio, spesso visionario creatore di “macchine”,
stupefacenti talvolta fin dal titolo (qui al MANN incontriamo “Macchina patafisiecologica per la
produzione del latte… O no?”): nelle quali può esserci posto per tutte le materie e ogni sorta di
oggetto: il più sorprendente e il più vile, quest’ultimo accolto come è stato trovato, o esaltato
semmai da una sgargiante doratura.
Marco De Gemmis
alla sua indole, perché la figlia di Zeus, nonostante fosse presumibilmente bella quanto il suo
gemello Apollo ‒ che proprio lei, neonata, aveva aiutato a venire alla luce ‒, non sopportava di
essere vista nuda. Un giorno, resasi conto che Atteone se la guardava rapito mentre lei si concedeva
un bel bagno sul Citerone, lo trasformò in cervo, così che il principe tebano fu subito sbranato dai
suoi stessi cani. E la medesima sorte sembra sia toccata al cretese Siproìte. Altri terribili delitti
vengono attribuiti alla collerica e selvaggia cacciatrice (a Roma lei è Diana), capace addirittura di
aver la meglio su più di un gigante. E anche alcuni significativi capricci: aveva tre anni quando
manifestò al padre il desiderio di restare vergine per la vita; come gli chiese, pure, quante più città
potesse darle, e numerosissimi appellativi, e specialmente tutti i monti, che voleva come casa per
vagarvi quale personificazione della Luna.
Era venerata in tanti luoghi del mondo greco, però il più famoso dei suoi santuari –
quell’Artemision che fu una delle sette meraviglie del mondo e secondo Pausania il più grande degli
edifici – era a Efeso, sulla costa dell’attuale Turchia: ma lì aveva “assimilato” un’antica divinità
asiatica della fecondità e preso quell’aspetto particolarissimo che ha la statua del nostro Museo, con
la complessa iconografia che nulla ha a che vedere con quella dell’Artemide con arco e frecce.
Se fossimo stati invitati a indovinare su quale opera antica “Occhio” di Rosaria Matarese si sarebbe
volentieri posato, avremmo detto proprio l’esuberante Efesia, nota da monete di quella città e da
diverse copie, tra le quali eccelle quella farnesiana in alabastro e bronzo del MANN, dove giunse da
Roma priva di testa e altre parti che Albacini e Valadier provvidero a rifare.
La statua è troppo conosciuta perché la si descriva qui, e troppo si è detto sul rompicapo mammelle-
scroti di toro-altro, ben noto a Rosaria Matarese, per soffermarvisi ancora: d’altronde, se lo
facessimo, non saremmo neppure in sintonia con la patafisica immaginativa dell’autrice, rivendicata
già col titolo scelto per la mostra: che comprende quattro grandi sculture dipinte “eccessive” quanto
la loro antica ispiratrice, osservate, da una parete minore della sala, da “Occhio”, di cui prima
dicevamo: operina ‒ solo per il formato ‒ che si gode la scena stando lì, per un nostro suggerimento
accolto prontamente, anche a ricordare un elemento del repertorio dell’artista, che sguardi e occhi
popolano numerosi.
“Luna Park” e “L’arte è un gioco” sono titoli di due mostre degli anni Sessanta cui Rosaria
Matarese partecipò a inizio carriera: indicano uno dei versanti più significativi lungo cui si muove
la sua ricerca, nella quale il ludico ha dovuto però più volte cedere il passo finanche al tragico o
mescolarvisi, per l’urgente confronto con temi ai quali le è evidentemente impossibile restare
indifferente. A quel versante non è affatto estranea questa esposizione, dove però trovano spazio
altri suoi ricorrenti contenuti: il corpo, per esempio; o il femminile.
E le cose esibite ben sintetizzano pure il suo linguaggio, spesso visionario creatore di “macchine”,
stupefacenti talvolta fin dal titolo (qui al MANN incontriamo “Macchina patafisiecologica per la
produzione del latte… O no?”): nelle quali può esserci posto per tutte le materie e ogni sorta di
oggetto: il più sorprendente e il più vile, quest’ultimo accolto come è stato trovato, o esaltato
semmai da una sgargiante doratura.
Marco De Gemmis
10
dicembre 2015
Rosaria Matarese – Patartemide
Dal 10 dicembre 2015 all'undici gennaio 2016
arte contemporanea
Location
MANN – MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE
Napoli, Piazza Museo Nazionale, 19, (Napoli)
Napoli, Piazza Museo Nazionale, 19, (Napoli)
Vernissage
10 Dicembre 2015, h 17
Autore
Curatore