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Rosario Mazzella
L’Art autre costituisce il campo prediletto di Mazzella attraverso il quale documentare con fredda fissità pirandelliana il naufragio dell’ottimismo illuministico che si era affermato con l’avvento dell’era industriale. Con autorevolezza e radicalità emblema di questo naufragio non più leopardiano è il bidone a cui fanno riferimento i protagonisti dell’Esasperatismo, giustamente in ebollizione stracolmo com’è di materiali fuori uso.
Comunicato stampa
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ESASPERATISMO, DEGRADO, SPERANZA.
di Leo Strozzieri
Per quanto io sappia mai Rosario Mazzella, artista tra i più significativi nel panorama dell’arte italiana contemporanea, è stato puritano e seguace della teoria crociana dell’autonomia dell’arte; anzi, spesso nella sua lunga carriera ha raggiunto vertici del suo fare calandosi nel profondo cono d’ombra rappresentato dalle problematiche sociali che nell’ambiente meridionale ove si trova ad operare si manifestano nella loro ampiezza plenaria. La pittura è l’unica finestra che si presenta all’artista certamente per guardare e poi registrare l’azzeramento dell’umanesimo, ma altresì per impedire l’eclissi integrale permettendo alla luce un ingresso seppur discreto. E’ questo un programma per il quale egli ha profuso energie in una encomiabile tensione esistenziale, ragion per cui ha aderito entusiasticamente al movimento dell’Esasperatismo fondato a Napoli da Adolfo Giuliani allo scopo proprio di denunciare i mali della società e proporre ipotesi di soluzione. E quale esperienza linguistica migliore dell’Informale per registrare il naufragio, per penetrare nella notte orgiastica della materia sottoposta all’esasperazione dell’energia vorticosa in coazione con la dittatura della casualità somma? L’Art autre costituisce il campo prediletto di Mazzella attraverso il quale documentare con fredda fissità pirandelliana il naufragio dell’ottimismo illuministico che si era affermato con l’avvento dell’era industriale. Con autorevolezza e radicalità emblema di questo naufragio non più leopardiano è il bidone a cui fanno riferimento i protagonisti dell’Esasperatismo, giustamente in ebollizione stracolmo com’è di materiali fuori uso. A questa icona inconsueta ma illuminante d’una situazione planetaria Mazzella ha fatto riferimento per eseguire le tre opere che sostanziano la mostra: una mostra quindi raccolta, discreta, non barocca quanto a numero di lavori, ma francescana e direi quaresimale, come si conviene a chi voglia finalmente vestire i panni del talebano della globalizzazione responsabile della corsa sfrenata al progresso con relativa natura violentata,scienza incontrollata, arte non più fruibile (sono i punti chiave del manifesto del movimento redatto da Giuliani). Anche una mostra di siffatta parsimonia, realizzata senza ombra di sfarzo e spettacolarità, apre un ulteriore spiraglio di riflessione per il fruitore prigioniero dell’erotica follia capitalistica che tutto misura in quantità.
Tre opere sono bastate a Mazzella per farci assistere in prima persona alla cerimonia funebre dei valori umanistici sommersi dal peso della materia caotica, informe,dalle cromie sinistre, mescolanza di pallore e nefasta asfissia, di sprazzi iconici in faticosa dispersione tra gli intrecci e le trame di un campionario di rifiuti e neumi carsici e corrosi da agenti atmosferici, solcati da segni anarchici e violentatori. Ossimoro di iconismo e astrazione di reminiscenza pauperistica, questo trittico del nostro grande maestro ha un impatto visivo ragguardevole; riesce egli, da cultore dei valori estetici, ad offrire una certa qual letizia all’occhio dello spettatore, rafforzando in tal modo il tipico atteggiamento della tradizione culturale partenopea portata sempre all’ottimismo e alla speranza.
Rosario Mazzella nel silenzio sacrale del suo studio, certamente esasperato per l’arte prigioniera, per il giardino delle delizie seviziato, per le orme degli sposi che in esso procedevano cancellate, per l’acqua che ristagna in pozze davanti ai cassonetti che da tempo vomitano il cibo ingoiato a fatica, non ha soltanto gli urli nel cuore, ma un desiderio di evasione e speranza, a lungo cullato, reso emblematico da quegli uccelli che pur attratti dall’impellente bisogno di un pasto purtroppo tossico, comunque presto torneranno a volteggiare verso la luce che è la sorgente di ogni colore.
Noi, io, l’amico Giuliani organizzatore di questa singolare esposizione, il pubblico tutto, siamo solidali con Rosario e cioè proviamo la stessa esasperazione per il deserto che ci conduce alla morte. Ma a guisa di araba fenice torneremo a risorgere dalle nostre ceneri. A laude di Cristo. Amen. Così chiudevano i Fioretti di frate Francesco, autore del Cantico Delle creature che vorremmo sostituisse come simbolo della società il martoriato bidone.
di Leo Strozzieri
Per quanto io sappia mai Rosario Mazzella, artista tra i più significativi nel panorama dell’arte italiana contemporanea, è stato puritano e seguace della teoria crociana dell’autonomia dell’arte; anzi, spesso nella sua lunga carriera ha raggiunto vertici del suo fare calandosi nel profondo cono d’ombra rappresentato dalle problematiche sociali che nell’ambiente meridionale ove si trova ad operare si manifestano nella loro ampiezza plenaria. La pittura è l’unica finestra che si presenta all’artista certamente per guardare e poi registrare l’azzeramento dell’umanesimo, ma altresì per impedire l’eclissi integrale permettendo alla luce un ingresso seppur discreto. E’ questo un programma per il quale egli ha profuso energie in una encomiabile tensione esistenziale, ragion per cui ha aderito entusiasticamente al movimento dell’Esasperatismo fondato a Napoli da Adolfo Giuliani allo scopo proprio di denunciare i mali della società e proporre ipotesi di soluzione. E quale esperienza linguistica migliore dell’Informale per registrare il naufragio, per penetrare nella notte orgiastica della materia sottoposta all’esasperazione dell’energia vorticosa in coazione con la dittatura della casualità somma? L’Art autre costituisce il campo prediletto di Mazzella attraverso il quale documentare con fredda fissità pirandelliana il naufragio dell’ottimismo illuministico che si era affermato con l’avvento dell’era industriale. Con autorevolezza e radicalità emblema di questo naufragio non più leopardiano è il bidone a cui fanno riferimento i protagonisti dell’Esasperatismo, giustamente in ebollizione stracolmo com’è di materiali fuori uso. A questa icona inconsueta ma illuminante d’una situazione planetaria Mazzella ha fatto riferimento per eseguire le tre opere che sostanziano la mostra: una mostra quindi raccolta, discreta, non barocca quanto a numero di lavori, ma francescana e direi quaresimale, come si conviene a chi voglia finalmente vestire i panni del talebano della globalizzazione responsabile della corsa sfrenata al progresso con relativa natura violentata,scienza incontrollata, arte non più fruibile (sono i punti chiave del manifesto del movimento redatto da Giuliani). Anche una mostra di siffatta parsimonia, realizzata senza ombra di sfarzo e spettacolarità, apre un ulteriore spiraglio di riflessione per il fruitore prigioniero dell’erotica follia capitalistica che tutto misura in quantità.
Tre opere sono bastate a Mazzella per farci assistere in prima persona alla cerimonia funebre dei valori umanistici sommersi dal peso della materia caotica, informe,dalle cromie sinistre, mescolanza di pallore e nefasta asfissia, di sprazzi iconici in faticosa dispersione tra gli intrecci e le trame di un campionario di rifiuti e neumi carsici e corrosi da agenti atmosferici, solcati da segni anarchici e violentatori. Ossimoro di iconismo e astrazione di reminiscenza pauperistica, questo trittico del nostro grande maestro ha un impatto visivo ragguardevole; riesce egli, da cultore dei valori estetici, ad offrire una certa qual letizia all’occhio dello spettatore, rafforzando in tal modo il tipico atteggiamento della tradizione culturale partenopea portata sempre all’ottimismo e alla speranza.
Rosario Mazzella nel silenzio sacrale del suo studio, certamente esasperato per l’arte prigioniera, per il giardino delle delizie seviziato, per le orme degli sposi che in esso procedevano cancellate, per l’acqua che ristagna in pozze davanti ai cassonetti che da tempo vomitano il cibo ingoiato a fatica, non ha soltanto gli urli nel cuore, ma un desiderio di evasione e speranza, a lungo cullato, reso emblematico da quegli uccelli che pur attratti dall’impellente bisogno di un pasto purtroppo tossico, comunque presto torneranno a volteggiare verso la luce che è la sorgente di ogni colore.
Noi, io, l’amico Giuliani organizzatore di questa singolare esposizione, il pubblico tutto, siamo solidali con Rosario e cioè proviamo la stessa esasperazione per il deserto che ci conduce alla morte. Ma a guisa di araba fenice torneremo a risorgere dalle nostre ceneri. A laude di Cristo. Amen. Così chiudevano i Fioretti di frate Francesco, autore del Cantico Delle creature che vorremmo sostituisse come simbolo della società il martoriato bidone.
10
dicembre 2008
Rosario Mazzella
Dal 10 dicembre 2008 al 05 gennaio 2009
arte contemporanea
Location
IL BIDONE
Napoli, Via Salvator Rosa, 159, (Napoli)
Napoli, Via Salvator Rosa, 159, (Napoli)
Orario di apertura
17-20, sabato e domenica su appuntamento
Vernissage
10 Dicembre 2008, ore 17,30
Autore
Curatore