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Rozzano: cittàmorfosi
La mostra tematica raccoglie trentotto opere di quaranta artisti che esplorano tecniche e linguaggi diversi sul tema della città come topos dell’immaginario
Comunicato stampa
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ROZZANO: CITTÀMORFOSI
testo critico di Jacqueline Ceresoli
Rozzano e le sue cittàmorfosi immaginarie sono presupposti della creatività messi in scena a Cascina Grande: un laboratorio sperimentale attivo e tellurico, più che mai in fermento, sulle previsioni di un futuro ancora indefinito nella sua forma.
Cascina Grande è una palestra delle idee aperta a continue ri-visitazioni, metamorfosi che rappresentano metamorfosi visionarie di una new–land dell’arte. Rozzano, ex periferia e centro culturale attivissimo è aperto soprattutto ai giovani, con questa mostra si mette in gioco, ri-configurandosi come zona di confine tra realtà e finzione, tinteggiata da luci ed ombre che trasformano luoghi fisici in spazi emozionali, definendo una geografia sperimentale, mappa metaforica di forme visibili e invisibili che concretizzano un linguaggio poetico autoreferenziale più da guardare che da leggere.
Quaranta artisti, “ladroni” della creatività, hanno progettato opere “cittàstrattiste” e installazioni “site-specific ”, pensate ad hoc per Cascina Grande, ipotetica magica lampada di Aladino, dagli effetti sorprendenti, centro sociale d’integrazione e divertimento che stimola lo scambio tra opposti: bambini e adulti, giovani e anziani, artisti e curiosi di ogni età, rozzanesi e milanesi, italiani e stranieri multietnici.
Con le opere site specific gli “artigiani della creatività” legano l’opera al luogo e l’artista al pubblico con interventi specifici. Il dato che accomuna gli artisti che partecipano alla mostra, diversi per età, formazione e linguaggi, è implicito nel titolo: lo spettatore è attratto dalla loro sintesi emozionale, soggettiva. Questa visualizzazione artistica simulata di un'altra Rozzano, porta ad una riflessione sullo stato attuale delle periferie, per antonomasia luoghi delle innovazioni. Oggi Rozzano, puntando sulla centralità della politica sociale e culturale, rappresenta un esempio riuscito di riscatto, autonomia e di vivibilità della periferia.
Nel nuovo millennio l’idea di metropoli e di città, comprende la periferia, diventata teatro di espressioni creative multimediali che riqualificano spazi urbani spettacolarizzando architetture, luoghi, piazze, aree dismesse, strade, incroci, depositi dei rifiuti, paraboliche e centri commerciali con installazioni evocative, simboliche ed emozionali che amplificano i sensi della cultura urbana, modificando la percezione della realtà. Ho scelto di non indicare età e luogo di nascita degli artisti invitati poiché essi vivono “hic et nunc”, nel tempo astorico dell’opera d’arte e a Cascina Grande s’incontrano sguardi ingenui di tutte le età in un territorio neutro.
Rozzano è una piattaforma delle innovazioni, interessante proprio perché priva di un’identità culturale specifica, dove il futuro è la sfida dei luoghi comuni. Questo “iper-borgo” postindustriale dall’anima commerciale è il risultato dell’epoca globale in cui viviamo; infatti l’ex–periferia è un mix di stimoli e contraddizioni che si rigenera costantemente. Per gli artisti i luoghi decentrati sono fonti inesauribili d’ispirazione estetica; quelli di Rozzano sono rappresentati come icone di post-modernità e “dell’ovunque”, dell’instabilità che ci caratterizza. Rozzano, Onazzor (leggendo il suo nome al contrario), è diventa una nuova Arcadia che ispira bellezza grazie al suo fascino ambiguo di periferia senza identità, dai mille volti, dai paesaggi con molte, troppe contraddizioni.
La mostra propone Rozzano come luogo d’ispirazione delle forme creative contemporanee, elevando il centro periferico a Città Nuova, a palinsesto della creatività, nonostante il nome cacofonico ed una collocazione territoriale di transito tra due città: Milano e Pavia.
Rozzano, filtrata dallo sguardo dell’artista diventa paesaggio, memoria, identità, sogno di intercittà affascinanti, cariche di segni e di simboli del presente, simulacri di città invisibili. Nel XXI secolo l’età e il luogo di nascita degli artisti non contano, viviamo nell’ovunque, e tempo e spazio si annullano nell’era ipertecnologica che dovrebbe caratterizzarsi sempre di più per la tolleranza e il superamento delle differenze etniche, cultuali, abbattendo le barriere sociali nel nome di una giusta ed imprescindibile dignità individuale.
Di fronte all’opera nel suo luogo d’azione, non è importante sapere dove o quando siano nati gli artisti, poiché non prevale il singolo, l’assolo, ma lo spirito di gruppo, la condivisione corale di un progetto e come gli artigiani nella bottega medioevale, ognuno mira alla cura dei dettagli nella realizzazione dell’ opera totale, in rapporto allo spazio in cui si collocheranno le diverse soluzioni formali.
Lo spettatore ricorda l’opera, se lo impressiona, in quanto essa agisce esteticamente, e non il nome dell’artista e i suoi dati anagrafici. Il tempo nell’arte è duttile e flessibile, ha valore l’atto del vedere, che è già conoscere; e tramite lo sguardo l’opera si realizza solo se stimola i nostri sensi, le analisi e le possibili contestualizzazioni sono argomento criptico ed ermeneutico di noi critici d’arte.
Gli artisti operano per sintesi creative definite da forme e contenuti. Chiunque, bambino, adulto, asiatico, europeo messo di fronte a un’opera d’arte è più o meno attratto dalle forme e dai colori che ne materializzano i contenuti: l’esperienza ri-creativa dell’opera dipende dalla sensibilità individuale del fruitore e dalla sua capacità di stupirsi di fronte all’inutilità dell’arte.
Il tema scelto è Rozzano nel suo percorso a divenire una extra-città autonoma, esempio di dinamismo culturale sostenuto da un’espansione territoriale, parametro di crescita di una intercittà-diffusa, vivibile e sostenibile, immersa nel verde, benché cinta da foreste di cemento, di centri commerciali, da tangenziali brulicanti di automobili.
Questa New Land dell’arte, non è un villaggio industriale senza prospettive o un centro commerciale-diffuso, modello di un mondo consumistico con i suoi tropi omogeneizzanti, ma è un vitalissimo anello di verde: polmone e riserva di ossigeno anche per Milano imbrigliata dal traffico cittadino e soffocata dall’inquinamento dei gas tossici e dai rumori.
L’investimento nell’arte contemporanea e la decentralizzazione culturale di Rozzano è l’esempio di un modo intelligente di ripensare la periferia, diventando essa stessa prototipo di un mutamento sociale, economico e territoriale già in atto, dinamico nel suo complesso evolvere che nel bene e nel male integrano il passato con il presente.
La città è diventata la nuova “Arcadia” delle arti visive contemporanee; è l’icona della modernità per eccellenza che grazie alla sua vocazione estetizzante seduce gli artisti, si trasfigura e si rigenera costantemente, nonostante le sue complesse problematiche. Rozzano, punta sulle sue cittàmorfosi, diventando parco tematico, luogo vivibile e sostenibile d’integrazione sociale e del divertimento in perfetta armonia con l’uomo, dove i difetti della periferia sonnecchiante divengono virtù. Rozzano non è una metropoli e non è un paese, è Onazzor, un territorio ibrido nato tra centri commerciali, industrie, quartieri popolari e incroci stradali: è un centro-diffuso-estendibile, che produce continue modifiche dei suoi riferimenti simbolici.
L’identità di Rozzano-Babilonia, metafora dell’epoca globale ruota intorno alla Torre della Telecom, totem della comunicazione, che svetta trionfante all’imbocco della strada statale che conduce a Milano. Rozzano, non è un regno ideale di perfetta felicità e di bellezza paesaggistica, al contrario è stata l’esempio di tutto il peggio che si possa immaginare delle periferie, e ancor’oggi lotta per scrollarsi di dosso quell’aura negativa.
Ebbene con questa mostra, Rozzano si riscatta dai luoghi comuni, diventa una “metavilla” o terra-morphing della creatività, tavolozza ludica e innovativa che si propone come nuovo regno di Pan, come fu l’Arcadia per Poussin. Questa Onazzor, nuova città gioiosa, diventa un parco di divertimento, configurando paesaggi-fonti d’ispirazione per gli artisti naufraghi della creatività che ci aiutano a leggerla come una realtà pluralistica e in fase di miglioramento del vivere urbano.
La mostra non storicistica ma tematica raccoglie trentotto opere che esplorano tecniche e linguaggi diversi sul tema della città, come topos dell’immaginario e si divide in due parti, la prima sezione esterna, situata nel cortile della Cascina Grande, ospita opere site-specific e sculture che interagiscono con lo spazio, mentre la seconda parte è all’interno dell’edificio in cotto tipico lombardo, già di per sé affascinante, dove sono collocate le opere di fotografia, di pittura, video e istallazioni a tecnica mista, all’insegna della trasversalità, della connivenza tra linguaggi diversi e sconfinamenti dei codici visivi contemporanei.
L’opera totale è Rozzano, trasformata in un luogo della libertà creativa grazie allo sguardo analitico e contemplativo degli artisti che con le loro interpretazioni poetiche o critiche visualizzano i suoi molteplici paesaggi di città-diffusa e, anche i suoi luoghi dell’incanto; basta saperli guardare. Rozzano si mette in discussione, a Cascina Grande, dove lo spazio esterno dialoga con quello interno: il trait d’union sono le opere degli artisti che creano prospettive anomale, e le cose inutili che misurano il suo potenziale sviluppo urbano, sociale e culturale.
A Rozzano, quaranta ladroni della creatività hanno rubato spazi e luoghi pubblici, trasformandoli in paesaggi emozionali, accessibili con la chiave d’interpretazione dello stupore. Sono artisti che definisco “cittàstrattisti”, perché partono dall’osservazione oggettiva dei luoghi urbani, dello spazio pubblico per definire nuovi scenari poetici e meta-città invisibili. Anche Rozzano si trasfigura e diventa luogo-evento dell’immaginario contemporaneo, grazie a una nuova sensibilità per la cultura urbana di artisti epigoni del filone urban-pubblic-social art, dai risvolti complessi, antropologici, sociali e poetici nella nostra epoca di trasformazione globale.
La città sogna e riflette se stessa anche attraverso le opere degli artisti, la Rozzano aperta a riqualificazioni possibili, in scena a Cascina Grande, è innanzitutto un centro culturale, e cultura è una parola che viene dal mondo agricolo e originariamente significava “coltivazione”, poi dall’Ottocento, si comincia ad usarla per descrivere in senso antropologico il modo di vivere di una società, le sue abitudini, le sue istituzioni e le sue espressioni artistiche. La configurazione di Rozzano è cambiata negli ultimi anni: da periferia industriale è diventata territorio pulsante, eterogeneo e in costante fibrillazione artistica, che propone offerte culturali di qualità. A Rozzano si vive la cultura come evento sociale che contribuisce ad educare i cittadini all’idea di comunità solidale, alla portata di tutti. Rozzano produce lavoro, ricchezza, e occasioni d’incontro che fanno riflettere su quella parte di società spesso esclusa dai processi produttivi o di condivisione delle esperienze ricreative, puntando su una democratizzazione della cultura come condizione dello sviluppo sociale, quindi economico. Se la città è il luogo delle occasioni, delle relazioni e delle differenze, a Rozzano, “meta-villa” del XXI secolo si creano le possibilità di scambio tra il capoluogo lombardo e i dintorni, con l’obiettivo di trovare identità proprio nei suoi non-luoghi, simboli della produzione e della sur-modernità (la definizione è di Marc Augè) concentrati in questa zona, carichi di potenzialità estetiche ancora da esplorare.
Il nuovo millennio sì è aperto nel segno della riqualificazione del suburbio, dell’iconizzazione dei luoghi decentrati, e del decentramento dello sguardo da parte degli artisti, i quali non si realizzano più soltanto nella rappresentazione statica delle città, ma anche in quelle messe a fuoco con lo sguardo mobile, policentrico e flessibile, aperto a tutte le costanti revisioni della stessa città, preconizzando paesaggi futuri.
Con la mostra Rozzano:Cittàmorfosi, il luogo dell’azione del guardare è Cascina Grande, che si trasforma in un enorme cantiere dell’integrazione sociale: una sfida aperta che gli artisti, nella loro follia chimerica, lanciano ai politici, urbanisti, architetti e a tutti coloro che non sognano più Nuovi Mondi.
testo critico di Jacqueline Ceresoli
Rozzano e le sue cittàmorfosi immaginarie sono presupposti della creatività messi in scena a Cascina Grande: un laboratorio sperimentale attivo e tellurico, più che mai in fermento, sulle previsioni di un futuro ancora indefinito nella sua forma.
Cascina Grande è una palestra delle idee aperta a continue ri-visitazioni, metamorfosi che rappresentano metamorfosi visionarie di una new–land dell’arte. Rozzano, ex periferia e centro culturale attivissimo è aperto soprattutto ai giovani, con questa mostra si mette in gioco, ri-configurandosi come zona di confine tra realtà e finzione, tinteggiata da luci ed ombre che trasformano luoghi fisici in spazi emozionali, definendo una geografia sperimentale, mappa metaforica di forme visibili e invisibili che concretizzano un linguaggio poetico autoreferenziale più da guardare che da leggere.
Quaranta artisti, “ladroni” della creatività, hanno progettato opere “cittàstrattiste” e installazioni “site-specific ”, pensate ad hoc per Cascina Grande, ipotetica magica lampada di Aladino, dagli effetti sorprendenti, centro sociale d’integrazione e divertimento che stimola lo scambio tra opposti: bambini e adulti, giovani e anziani, artisti e curiosi di ogni età, rozzanesi e milanesi, italiani e stranieri multietnici.
Con le opere site specific gli “artigiani della creatività” legano l’opera al luogo e l’artista al pubblico con interventi specifici. Il dato che accomuna gli artisti che partecipano alla mostra, diversi per età, formazione e linguaggi, è implicito nel titolo: lo spettatore è attratto dalla loro sintesi emozionale, soggettiva. Questa visualizzazione artistica simulata di un'altra Rozzano, porta ad una riflessione sullo stato attuale delle periferie, per antonomasia luoghi delle innovazioni. Oggi Rozzano, puntando sulla centralità della politica sociale e culturale, rappresenta un esempio riuscito di riscatto, autonomia e di vivibilità della periferia.
Nel nuovo millennio l’idea di metropoli e di città, comprende la periferia, diventata teatro di espressioni creative multimediali che riqualificano spazi urbani spettacolarizzando architetture, luoghi, piazze, aree dismesse, strade, incroci, depositi dei rifiuti, paraboliche e centri commerciali con installazioni evocative, simboliche ed emozionali che amplificano i sensi della cultura urbana, modificando la percezione della realtà. Ho scelto di non indicare età e luogo di nascita degli artisti invitati poiché essi vivono “hic et nunc”, nel tempo astorico dell’opera d’arte e a Cascina Grande s’incontrano sguardi ingenui di tutte le età in un territorio neutro.
Rozzano è una piattaforma delle innovazioni, interessante proprio perché priva di un’identità culturale specifica, dove il futuro è la sfida dei luoghi comuni. Questo “iper-borgo” postindustriale dall’anima commerciale è il risultato dell’epoca globale in cui viviamo; infatti l’ex–periferia è un mix di stimoli e contraddizioni che si rigenera costantemente. Per gli artisti i luoghi decentrati sono fonti inesauribili d’ispirazione estetica; quelli di Rozzano sono rappresentati come icone di post-modernità e “dell’ovunque”, dell’instabilità che ci caratterizza. Rozzano, Onazzor (leggendo il suo nome al contrario), è diventa una nuova Arcadia che ispira bellezza grazie al suo fascino ambiguo di periferia senza identità, dai mille volti, dai paesaggi con molte, troppe contraddizioni.
La mostra propone Rozzano come luogo d’ispirazione delle forme creative contemporanee, elevando il centro periferico a Città Nuova, a palinsesto della creatività, nonostante il nome cacofonico ed una collocazione territoriale di transito tra due città: Milano e Pavia.
Rozzano, filtrata dallo sguardo dell’artista diventa paesaggio, memoria, identità, sogno di intercittà affascinanti, cariche di segni e di simboli del presente, simulacri di città invisibili. Nel XXI secolo l’età e il luogo di nascita degli artisti non contano, viviamo nell’ovunque, e tempo e spazio si annullano nell’era ipertecnologica che dovrebbe caratterizzarsi sempre di più per la tolleranza e il superamento delle differenze etniche, cultuali, abbattendo le barriere sociali nel nome di una giusta ed imprescindibile dignità individuale.
Di fronte all’opera nel suo luogo d’azione, non è importante sapere dove o quando siano nati gli artisti, poiché non prevale il singolo, l’assolo, ma lo spirito di gruppo, la condivisione corale di un progetto e come gli artigiani nella bottega medioevale, ognuno mira alla cura dei dettagli nella realizzazione dell’ opera totale, in rapporto allo spazio in cui si collocheranno le diverse soluzioni formali.
Lo spettatore ricorda l’opera, se lo impressiona, in quanto essa agisce esteticamente, e non il nome dell’artista e i suoi dati anagrafici. Il tempo nell’arte è duttile e flessibile, ha valore l’atto del vedere, che è già conoscere; e tramite lo sguardo l’opera si realizza solo se stimola i nostri sensi, le analisi e le possibili contestualizzazioni sono argomento criptico ed ermeneutico di noi critici d’arte.
Gli artisti operano per sintesi creative definite da forme e contenuti. Chiunque, bambino, adulto, asiatico, europeo messo di fronte a un’opera d’arte è più o meno attratto dalle forme e dai colori che ne materializzano i contenuti: l’esperienza ri-creativa dell’opera dipende dalla sensibilità individuale del fruitore e dalla sua capacità di stupirsi di fronte all’inutilità dell’arte.
Il tema scelto è Rozzano nel suo percorso a divenire una extra-città autonoma, esempio di dinamismo culturale sostenuto da un’espansione territoriale, parametro di crescita di una intercittà-diffusa, vivibile e sostenibile, immersa nel verde, benché cinta da foreste di cemento, di centri commerciali, da tangenziali brulicanti di automobili.
Questa New Land dell’arte, non è un villaggio industriale senza prospettive o un centro commerciale-diffuso, modello di un mondo consumistico con i suoi tropi omogeneizzanti, ma è un vitalissimo anello di verde: polmone e riserva di ossigeno anche per Milano imbrigliata dal traffico cittadino e soffocata dall’inquinamento dei gas tossici e dai rumori.
L’investimento nell’arte contemporanea e la decentralizzazione culturale di Rozzano è l’esempio di un modo intelligente di ripensare la periferia, diventando essa stessa prototipo di un mutamento sociale, economico e territoriale già in atto, dinamico nel suo complesso evolvere che nel bene e nel male integrano il passato con il presente.
La città è diventata la nuova “Arcadia” delle arti visive contemporanee; è l’icona della modernità per eccellenza che grazie alla sua vocazione estetizzante seduce gli artisti, si trasfigura e si rigenera costantemente, nonostante le sue complesse problematiche. Rozzano, punta sulle sue cittàmorfosi, diventando parco tematico, luogo vivibile e sostenibile d’integrazione sociale e del divertimento in perfetta armonia con l’uomo, dove i difetti della periferia sonnecchiante divengono virtù. Rozzano non è una metropoli e non è un paese, è Onazzor, un territorio ibrido nato tra centri commerciali, industrie, quartieri popolari e incroci stradali: è un centro-diffuso-estendibile, che produce continue modifiche dei suoi riferimenti simbolici.
L’identità di Rozzano-Babilonia, metafora dell’epoca globale ruota intorno alla Torre della Telecom, totem della comunicazione, che svetta trionfante all’imbocco della strada statale che conduce a Milano. Rozzano, non è un regno ideale di perfetta felicità e di bellezza paesaggistica, al contrario è stata l’esempio di tutto il peggio che si possa immaginare delle periferie, e ancor’oggi lotta per scrollarsi di dosso quell’aura negativa.
Ebbene con questa mostra, Rozzano si riscatta dai luoghi comuni, diventa una “metavilla” o terra-morphing della creatività, tavolozza ludica e innovativa che si propone come nuovo regno di Pan, come fu l’Arcadia per Poussin. Questa Onazzor, nuova città gioiosa, diventa un parco di divertimento, configurando paesaggi-fonti d’ispirazione per gli artisti naufraghi della creatività che ci aiutano a leggerla come una realtà pluralistica e in fase di miglioramento del vivere urbano.
La mostra non storicistica ma tematica raccoglie trentotto opere che esplorano tecniche e linguaggi diversi sul tema della città, come topos dell’immaginario e si divide in due parti, la prima sezione esterna, situata nel cortile della Cascina Grande, ospita opere site-specific e sculture che interagiscono con lo spazio, mentre la seconda parte è all’interno dell’edificio in cotto tipico lombardo, già di per sé affascinante, dove sono collocate le opere di fotografia, di pittura, video e istallazioni a tecnica mista, all’insegna della trasversalità, della connivenza tra linguaggi diversi e sconfinamenti dei codici visivi contemporanei.
L’opera totale è Rozzano, trasformata in un luogo della libertà creativa grazie allo sguardo analitico e contemplativo degli artisti che con le loro interpretazioni poetiche o critiche visualizzano i suoi molteplici paesaggi di città-diffusa e, anche i suoi luoghi dell’incanto; basta saperli guardare. Rozzano si mette in discussione, a Cascina Grande, dove lo spazio esterno dialoga con quello interno: il trait d’union sono le opere degli artisti che creano prospettive anomale, e le cose inutili che misurano il suo potenziale sviluppo urbano, sociale e culturale.
A Rozzano, quaranta ladroni della creatività hanno rubato spazi e luoghi pubblici, trasformandoli in paesaggi emozionali, accessibili con la chiave d’interpretazione dello stupore. Sono artisti che definisco “cittàstrattisti”, perché partono dall’osservazione oggettiva dei luoghi urbani, dello spazio pubblico per definire nuovi scenari poetici e meta-città invisibili. Anche Rozzano si trasfigura e diventa luogo-evento dell’immaginario contemporaneo, grazie a una nuova sensibilità per la cultura urbana di artisti epigoni del filone urban-pubblic-social art, dai risvolti complessi, antropologici, sociali e poetici nella nostra epoca di trasformazione globale.
La città sogna e riflette se stessa anche attraverso le opere degli artisti, la Rozzano aperta a riqualificazioni possibili, in scena a Cascina Grande, è innanzitutto un centro culturale, e cultura è una parola che viene dal mondo agricolo e originariamente significava “coltivazione”, poi dall’Ottocento, si comincia ad usarla per descrivere in senso antropologico il modo di vivere di una società, le sue abitudini, le sue istituzioni e le sue espressioni artistiche. La configurazione di Rozzano è cambiata negli ultimi anni: da periferia industriale è diventata territorio pulsante, eterogeneo e in costante fibrillazione artistica, che propone offerte culturali di qualità. A Rozzano si vive la cultura come evento sociale che contribuisce ad educare i cittadini all’idea di comunità solidale, alla portata di tutti. Rozzano produce lavoro, ricchezza, e occasioni d’incontro che fanno riflettere su quella parte di società spesso esclusa dai processi produttivi o di condivisione delle esperienze ricreative, puntando su una democratizzazione della cultura come condizione dello sviluppo sociale, quindi economico. Se la città è il luogo delle occasioni, delle relazioni e delle differenze, a Rozzano, “meta-villa” del XXI secolo si creano le possibilità di scambio tra il capoluogo lombardo e i dintorni, con l’obiettivo di trovare identità proprio nei suoi non-luoghi, simboli della produzione e della sur-modernità (la definizione è di Marc Augè) concentrati in questa zona, carichi di potenzialità estetiche ancora da esplorare.
Il nuovo millennio sì è aperto nel segno della riqualificazione del suburbio, dell’iconizzazione dei luoghi decentrati, e del decentramento dello sguardo da parte degli artisti, i quali non si realizzano più soltanto nella rappresentazione statica delle città, ma anche in quelle messe a fuoco con lo sguardo mobile, policentrico e flessibile, aperto a tutte le costanti revisioni della stessa città, preconizzando paesaggi futuri.
Con la mostra Rozzano:Cittàmorfosi, il luogo dell’azione del guardare è Cascina Grande, che si trasforma in un enorme cantiere dell’integrazione sociale: una sfida aperta che gli artisti, nella loro follia chimerica, lanciano ai politici, urbanisti, architetti e a tutti coloro che non sognano più Nuovi Mondi.
15
ottobre 2006
Rozzano: cittàmorfosi
Dal 15 ottobre al 15 novembre 2006
arte contemporanea
Location
CENTRO CULTURALE CASCINA GRANDE
Rozzano, Viale Palmiro Togliatti, (Milano)
Rozzano, Viale Palmiro Togliatti, (Milano)
Orario di apertura
da lunedì a sabato ore 9.30 – 12.30, 14.30 – 18.00
Vernissage
15 Ottobre 2006, ore 17
A seguire, dalle 21,00 alle 24,00 happening musicale a cura di System.error (Castellini & Maffeis)
Autore
Curatore