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Ruggero Maggi – Velo d’ombra
Velo d’ombra conduce in uno spazio totemico in cui dieci sagome rivestite con il burqa, nella loro esiguità di ombre di ciò che deve essere invisibile, concentrano la loro essenza in una proiezione di luce bianca che filtra dal burqa.
Comunicato stampa
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Presso la spazio Maffei Arte Contemporanea in via del Signore 3 a Viareggio, Ruggero Maggi presenta la sua installazione “Velo d’ombra” corredata da una proiezione video. L’opera si compone di dieci sagome alte quasi tre metri rivestite dal burqa da cui filtra una luce bianca attraverso la feritoia lasciata libera all’altezza degli occhi.
“…Il velo è simbolo dell’allontanamento dal mondo esteriore, velare qualcosa indica un occultamento della verità, mentre“velato” significa misterioso, in ogni caso le ombre sono segni di una luce schermata, ma anche indefinibili entità autoreferenziali. Alcune lingue definiscono l’immagine, l’anima e l’ombra con la stessa parola, la leggenda tramanda che chi non può vedere la propria ombra sia destinato alla morte, poiché è già entità immateriale, puro spirito che si aggira negli strati empirei inconoscibili. L’installazione “Velo d’ombra” di Ruggero Maggi al di là delle simbologie interpretative svela il fascino della negazione, le sagome rivestite con il burqa attraggono e respingono lo sguardo, annullandosi in un’esigua e impalpabile proiezione di luce bianca.”… Così commenta Jacqueline Ceresoli in un estratto dal testo di presentazione dell’installazione che sarà visibile dal 6 al 20 di dicembre 2009 dalle 17.00 alle 19.00 tutti i giorni escluso lunedi.
Ruggero Maggi artista e direttore dal 1973 del Milan Art Center. Ha partecipato alla 49a Biennale di Venezia, alla 16a Biennale d’arte contemporanea di San Paolo nel 1980 e, dal 1973 ad oggi, a migliaia d’eventi artistici in tutto il mondo. Nel 2006 realizza “Underwood” intervento site-specific per la Galleria d’Arte Moderna di Gallarate. Nel 2007 è curatore del progetto dedicato a Pierre Restany “Camera 312 – promemoria per Pierre” alla 52a Biennale di Venezia. Nel 2008 cura il progetto “Profondità 45 - Michelangelo al lavoro” sul rapporto Arte -Tecnologia. (www.ruggeromaggi.it /www.camera312.it)
Burqa: velo d’ombra o arma di difesa?
Il burqa è un’infamia, un sipario calato sul palcoscenico della vita che viola dignità e imprigiona sguardi, ma anche uno schermo, un modo per proteggersi, nascondersi e riflettere sul nemico; l’uomo dannatamente solo è vittima e carnefice di sé stesso.
Burqa è una parola araba che vuol coprire, basta indossarlo per capire cosa si prova, dai buchi davanti agli occhi filtra la luce diafana e tutte le cose si vedono da una “grata” a piccoli quadrati, come dietro le sbarre. La prospettiva è negata, non si può vedere né a destra e a sinistra, si respira appena, e non si ha mai il piacere dell’immagine intera, è una tortura imbrigliare il guardare dietro a quel cappuccio forato all’altezza degli occhi. Dietro la “visiera” gli sguardi si muovono negli anfratti della visione, pensano immagini e fantasticano su estensioni esperenziali, il limite della visione altera i sensi, accentuando sensorialità inesplorate, il rischio è di perdere il lume della ragione e di scambiare i sogni per realtà, le sagome per corpi e le paure per verità, occultando lo sguardo si sprofonda nella caverna, consapevoli di scorgere solo ombre sul muro.
L’enigma è se l’uomo è prigioniero dello sguardo o imperatore delle ombre, poiché la vista può anche scorgere ciò che si pensa oltre al dato reale.
Il velo è simbolo dell’allontanamento dal mondo esteriore, velare qualcosa indica un occultamento della verità, mentre “velato” significa misterioso, in ogni caso le ombre sono segni di una luce schermata, ma anche indefinibili entità autoreferenziali.
Alcune lingue definiscono l’immagine, l’anima e l’ombra con la stessa parola, la leggenda tramanda che chi non può vedere la propria ombra sia destinato alla morte, poiché è già entità immateriale, puro spirito che si aggira negli strati empirei inconoscibili.
L’installazione “Velo d’ombra” di Ruggero Maggi al di là delle simbologie interpretative svela il fascino della negazione, le sagome rivestite con il burqa attraggono e respingono lo sguardo, annullandosi in un’esigua e impalpabile proiezione di luce bianca.
Sono sagome ammantate dal fascino platonico, animazioni di idee che forse hanno accesso alle visioni di verità assolute, totem ricettivi, sensibilissimi catalizzatori e alternatori di sensi che non definiscono, che non dichiarano, ma si pongono come elementi fuorvianti, apparentemente senza campi visivi, ma poi, sotto si scopre l’inganno: il velo d’ombra conduce lo sguardo a vedere sé stessi e il trauma è fatale.
L’ombra interroga lo statuto dell’immagine partendo da un punto di vista opposto rispetto a quello della mimesis trionfante attraverso la fotografia. Si potrebbe dire che l’ombra è una “fotografia” primitiva, entrambe sono scritture fatte con la luce che manipolano l’immagine, portando gli artisti a sperimentazioni astratte. Christian Boltanski realizza installazioni con proiettori parastatici, usando con intento ludico le ombre, lo scopo è di creare simulacri effimeri in serie dall’effetto teatrale mettendo in scena la caducità delle cose.
In ogni caso il velo d’ombra proietta labirinti di demoni, strani orchi o luoghi mitici e celestiali, insidiandosi come tarli nell’atto della visione. Nell’ombra si muovono i servi dell’immaginazione che ci conducono nel giardino “mirabile” della visione dalle affabulazioni concettuali irresistibili.
Il buio è sempre complice: l’oscurità è l’utero dell’immaginazione.
L’ombra è l’anfratto nero da cui si generano le rappresentazioni di sé e del mondo, una cesura tra l’immagine e l’altra, lasciando fantasticare suggestioni che condizionano lo sguardo degli osservatori e dei sognatori.
Dal buio nessun uomo può scampare, la vita nasce e muore là, nel pensiero dell’immagine, fantasticando sull’atto della creazione.
Jacqueline Ceresoli
“…Il velo è simbolo dell’allontanamento dal mondo esteriore, velare qualcosa indica un occultamento della verità, mentre“velato” significa misterioso, in ogni caso le ombre sono segni di una luce schermata, ma anche indefinibili entità autoreferenziali. Alcune lingue definiscono l’immagine, l’anima e l’ombra con la stessa parola, la leggenda tramanda che chi non può vedere la propria ombra sia destinato alla morte, poiché è già entità immateriale, puro spirito che si aggira negli strati empirei inconoscibili. L’installazione “Velo d’ombra” di Ruggero Maggi al di là delle simbologie interpretative svela il fascino della negazione, le sagome rivestite con il burqa attraggono e respingono lo sguardo, annullandosi in un’esigua e impalpabile proiezione di luce bianca.”… Così commenta Jacqueline Ceresoli in un estratto dal testo di presentazione dell’installazione che sarà visibile dal 6 al 20 di dicembre 2009 dalle 17.00 alle 19.00 tutti i giorni escluso lunedi.
Ruggero Maggi artista e direttore dal 1973 del Milan Art Center. Ha partecipato alla 49a Biennale di Venezia, alla 16a Biennale d’arte contemporanea di San Paolo nel 1980 e, dal 1973 ad oggi, a migliaia d’eventi artistici in tutto il mondo. Nel 2006 realizza “Underwood” intervento site-specific per la Galleria d’Arte Moderna di Gallarate. Nel 2007 è curatore del progetto dedicato a Pierre Restany “Camera 312 – promemoria per Pierre” alla 52a Biennale di Venezia. Nel 2008 cura il progetto “Profondità 45 - Michelangelo al lavoro” sul rapporto Arte -Tecnologia. (www.ruggeromaggi.it /www.camera312.it)
Burqa: velo d’ombra o arma di difesa?
Il burqa è un’infamia, un sipario calato sul palcoscenico della vita che viola dignità e imprigiona sguardi, ma anche uno schermo, un modo per proteggersi, nascondersi e riflettere sul nemico; l’uomo dannatamente solo è vittima e carnefice di sé stesso.
Burqa è una parola araba che vuol coprire, basta indossarlo per capire cosa si prova, dai buchi davanti agli occhi filtra la luce diafana e tutte le cose si vedono da una “grata” a piccoli quadrati, come dietro le sbarre. La prospettiva è negata, non si può vedere né a destra e a sinistra, si respira appena, e non si ha mai il piacere dell’immagine intera, è una tortura imbrigliare il guardare dietro a quel cappuccio forato all’altezza degli occhi. Dietro la “visiera” gli sguardi si muovono negli anfratti della visione, pensano immagini e fantasticano su estensioni esperenziali, il limite della visione altera i sensi, accentuando sensorialità inesplorate, il rischio è di perdere il lume della ragione e di scambiare i sogni per realtà, le sagome per corpi e le paure per verità, occultando lo sguardo si sprofonda nella caverna, consapevoli di scorgere solo ombre sul muro.
L’enigma è se l’uomo è prigioniero dello sguardo o imperatore delle ombre, poiché la vista può anche scorgere ciò che si pensa oltre al dato reale.
Il velo è simbolo dell’allontanamento dal mondo esteriore, velare qualcosa indica un occultamento della verità, mentre “velato” significa misterioso, in ogni caso le ombre sono segni di una luce schermata, ma anche indefinibili entità autoreferenziali.
Alcune lingue definiscono l’immagine, l’anima e l’ombra con la stessa parola, la leggenda tramanda che chi non può vedere la propria ombra sia destinato alla morte, poiché è già entità immateriale, puro spirito che si aggira negli strati empirei inconoscibili.
L’installazione “Velo d’ombra” di Ruggero Maggi al di là delle simbologie interpretative svela il fascino della negazione, le sagome rivestite con il burqa attraggono e respingono lo sguardo, annullandosi in un’esigua e impalpabile proiezione di luce bianca.
Sono sagome ammantate dal fascino platonico, animazioni di idee che forse hanno accesso alle visioni di verità assolute, totem ricettivi, sensibilissimi catalizzatori e alternatori di sensi che non definiscono, che non dichiarano, ma si pongono come elementi fuorvianti, apparentemente senza campi visivi, ma poi, sotto si scopre l’inganno: il velo d’ombra conduce lo sguardo a vedere sé stessi e il trauma è fatale.
L’ombra interroga lo statuto dell’immagine partendo da un punto di vista opposto rispetto a quello della mimesis trionfante attraverso la fotografia. Si potrebbe dire che l’ombra è una “fotografia” primitiva, entrambe sono scritture fatte con la luce che manipolano l’immagine, portando gli artisti a sperimentazioni astratte. Christian Boltanski realizza installazioni con proiettori parastatici, usando con intento ludico le ombre, lo scopo è di creare simulacri effimeri in serie dall’effetto teatrale mettendo in scena la caducità delle cose.
In ogni caso il velo d’ombra proietta labirinti di demoni, strani orchi o luoghi mitici e celestiali, insidiandosi come tarli nell’atto della visione. Nell’ombra si muovono i servi dell’immaginazione che ci conducono nel giardino “mirabile” della visione dalle affabulazioni concettuali irresistibili.
Il buio è sempre complice: l’oscurità è l’utero dell’immaginazione.
L’ombra è l’anfratto nero da cui si generano le rappresentazioni di sé e del mondo, una cesura tra l’immagine e l’altra, lasciando fantasticare suggestioni che condizionano lo sguardo degli osservatori e dei sognatori.
Dal buio nessun uomo può scampare, la vita nasce e muore là, nel pensiero dell’immagine, fantasticando sull’atto della creazione.
Jacqueline Ceresoli
06
dicembre 2009
Ruggero Maggi – Velo d’ombra
Dal 06 al 20 dicembre 2009
arte contemporanea
Location
MAFFEI ARTE CONTEMPORANEA
Viareggio, Via Del Signore, 3, (Lucca)
Viareggio, Via Del Signore, 3, (Lucca)
Orario di apertura
tutti i giorni ore 17.00-19.00 chiuso lunedì
Vernissage
6 Dicembre 2009, ore 17
Sito web
www.ruggeromaggi.it
Autore