Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Ruggero Savinio – Disegni e incisioni
L’artista disegna facendo forte pressione con la grafite, o con la penna, sulla carta o sulla tavola con tratti nervosi, insistiti. Un segno non sempre pulito, ma fortemente espressivo, rude perfino, nell’aderire all’urgenza dell’ideazione. Un disegnare da pittore, teso a definire le atmosfere, attento a rendere l’immediatezza della progettazione, anche nei più complessi disegni, le figure e gli ambienti.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
L'IMMAGINAZIONE DI RUGGERO
L'imagination n'est rien d'autre que le fruit de notre mémoire.
Pierre Bonnard
Ruggero Savinio, nella pittura del Secondo Novecento, rappresenta un
caso voluto dall'Arte per far dispetto ai teorici, agli studiosi ed
agli incasellatori di professione. Come artista non ha avuto un
passato trasgressivo, una militanza tra le avanguardie del secolo o
una benché minima voglia di cimentarsi con la sperimentazione;
costruire per lui uno dei soliti castelli di chiacchiere è pressoché
impossibile.
Da quando cominciò a dipingere non conosce che una via, una via
privatissima, da sé stesso tracciata, percorsa con invidiabile
sicurezza. Può anche prendere a modello un'opera di Pierre Bonnard, ma
è unicamente per ricavarci un Ruggero Savinio; di quel maestro resta
appena il sapore dell'omaggio, un prestito, una divagazione, e
possibilmente un arricchimento, per la propria pittura. Proprio Pierre
Bonnard è forse l'artista che spiritualmente gli è più vicino. Due
pittori che non temono la solitudine, che amano vivere in un paese
creato, si direbbe, dalla loro fantasia; che non si preoccupano di
essere à la page, ben sapendo che "la durata" si stabilisce con una
misura molto diversa. L'arte di Bonnard, che parve sacrificata
rispetto a mattatori come Henri Matisse e Pablo Picasso, sta
riconquistando il suo giusto posto nella storia dell'arte moderna. Lo
stesso deve accadere per Ruggero Savinio.
La libertà dall'obbligo della fedeltà di resa, per utilizzare la
memoria, porta l'artista ad una maggiore libertà espressiva. Per
memoria si intende in primo luogo la memoria visiva. Ciò è già una
conferma che, il suo approccio con la realtà, rimane sempre l'obbligo,
per Ruggero, di cercare di afferrarla e ricrearla nella sua opera.
Eliminando il modello egli si affida al ricordo: questo processo porta
alla semplificazione formale dell'immagine. Nella memoria i singoli
dettagli svaniscono o si riducono di importanza, mentre la forma
generale si impone ed è più facilmente afferrabile. Con questa
spiegazione si rimane però ancorati ad una realtà esteriore. Invece la
parola "memoria" si colora di nuove accezioni: significa chiudere gli
occhi di fronte alla realtà visibile per sentirla affettivamente e
sensorialmente, significa guardarla con l'immaginazione. La memoria è
la fantasia che rende i sogni di Ruggero una realtà
credibile e vissuta quanto il reale naturale e quotidiano che lo
circonda. "Memoria" significa far rivivere nella propria mente le
immagini che lo hanno colpito per utilizzarle nelle proprie creazioni.
Va detto che il disegno per Ruggero è un mezzo espressivo
completamente separato e distinto dalla produzione pittorica, nel
senso che, anche se si ritrovano nei disegni gli stessi soggetti che
dominano nei dipinti, questi tuttavia hanno altri esiti, non sono mai
abbozzi, studi preparatori delle tele.
L'artista disegna facendo forte pressione con la grafite, o con la
penna, sulla carta o sulla tavola con tratti nervosi, insistiti. Un
segno non sempre pulito, ma fortemente espressivo, rude perfino,
nell'aderire all'urgenza dell'ideazione. Un disegnare da pittore, teso
a definire le atmosfere, attento a rendere l'immediatezza della
progettazione, anche nei più complessi disegni, le figure e gli
ambienti. Un segno spigoloso, che si aggruma, aggroviglia in un
disordine apparentemente confuso di linee tracciate senza pentimenti,
di getto, che rendono alla fine la forma di una figura, la prospettiva
di una stanza, di un paesaggio. La sua linea è decisa, ha forza e
ricorda un'incisione a bulino, entra nell'universo antico specifico e
resta sempre presente. La matita per Ruggero è la vacanza del
pennello, la sua nobile arma quando non dipinge la tela. È un artista
che soffre il tempo.
Se il disegno è anzitutto l'esplorazione drammatica, direi attonita e
quasi visionaria, di istinti e passioni estreme e nascoste, nelle
opere emerge un elemento che risulta non solo costante, ma
fondamentale, essenziale in tutta la sua opera.
Voglio dire l'intervallo, il crinale che divide due versanti temporali
o spaziali: quel confine paradossale di sospensione e di attesa: una
dimensione che divide e lega il visibile e l'invisibile, che segna con
modalità diverse la presenza di un'assenza. L'ambivalenza
irrisolvibile di durezza-resistenza/fragilità-perdita del segno,
costituisce per l'artista non solo la struttura metaforica portante,
il cardine della sua opera, ma la sua "ossessione", la sua "sindrome
creativa": la sindrome del crinale. Come una linea immaginaria che
unisce tutti i punti di maggior altezza di un rilievo montuoso e che
funge da spartiacque tra un versante e l'altro. Seguendo questa linea
immaginaria si prova un grande senso di vertigine e meraviglia al
tempo stesso, il piacere di arrivare a scorgere un nuovo orizzonte, di
una nuova scoperta, si riscopre la sensazione, giovanile, di correre a
perdifiato, sul bordo di un abisso incantato.
Ecco come il nodo di linee centripete, tutte arrotolate su se stesse
che formano le figure, le stanze ed i paesaggi di Ruggero, trova in
questa delicata violenza una ragion d'essere, un modo per aprirsi, la
possibilità di comunicare. Il tratto spezzato, quasi singhiozzante e
pur continuo, trae le forme dal vuoto, scava lo spazio come il piccone
la roccia e costringe le cose da quella nicchia di indeterminatezza in
cui scontrosamente stanno nascoste, le porta alla luce ed alla
coscienza. Il confronto con il bianco del foglio o della tavola
preparata, metafora senza scampo dello spazio, la sua forza, la sua
persistenza, nel momento stesso in cui pare occuparlo e modificarlo
con la sfida del suo segno. Il foglio o la superficie della tavola
come metafora dello spazio, sì, ma avrei potuto dire anche luogo della
luce, nicchia di splendore, trasposizione sensibile del biancore
accecante della neve, di un manto di purezza e di silenzio.
I colori, i gesti, gli echi si allontanano verso il grigio, verso
l'indistinto; restano la forza, l'intensità, l'indistruttibilità di
una scintilla di vita che palpita sotto la superficie bianca e la
buca, la trapassa per ritornare alla luce, per riprendere il contatto
con ciò che sta al di fuori.
Per esprimersi, perché altri comprendano la piena trabocchevole dei
suoi umori ed amori, ha scelto anche un tecnica obliqua che affida al
mistero del segno il miracolo della creazione, l'acquaforte. Una
tecnica introversa e magica che diviene per Ruggero un linguaggio
dalle infinite possibilità.
Per l'acquaforte ha scelto un segno pulito, vivo, guizzante, libero,
armonioso. Con il segno scrive la forma, le da la vita, l'esalta. Con
il segno colora i suoi bianchi e neri che assumono tutti i riflessi,
tutti i valori, tutte le plasticità delle cose. Il segno è per lui un
filo che avvolge ed imprigiona.
Colto, conoscitore ed estimatore dei classici, Ruggero Savinio ha
scritto in prosa. A volte accade che la poesia dei versi e quella
delle immagini si confondono, la scrittura passa dal foglio alla
lastra, alla tela, la grafia delle parole circonda il soggetto e lo
completa. Per questa strana alchimia una malinconia, una
conversazione, una stanza, un istmo sembrano posati su una lettera
aperta che nessuno chiede di leggere, non serve sapere che narra una
filiale devozione ritrovata sull'onda del ricordo, perché anche quelle
parole, per indicibile traslato son divenute immagine.
Istinti, sentimenti, passioni, incubi. Nuclei direi sorgivi,
primordiali di un immaginario originato da lontananze e profondità
primigenie, costituiscono le matrici metaforiche del sogno che lo
comanda per tutta la sua ricerca. Il sogno urla. Urla e comanda
Ruggero in una direzione da sorprenderlo continuamente, rapito a
ritroso nell'oscurità remota di una infanzia ancestrale, una infanzia
arcaica da dove riemerge, arcano ed irresistibile, un immaginario che
si presenta alla sua capacità creativa per venirne "ricolonizzato",
reinterpretato in "immagini nuove" da innestare sulla complessità
attonita del contemporaneo.
Tutto ha l'aria di essere sopravvissuto. Ogni suo lavoro, ogni
giornata. Ogni leggero segno di matita, ogni traccia vagante, che
potrebbe limitare un disegno, un foglio inciso, un quadro, ha questa
disponibilità. Una continua allusione: alla condanna del tempo, alla
rovina.
Considerato con sufficienza da una critica assorbita dalle muffite
avanguardie del secondo dopoguerra, ora, nel momento delle grandi
delusioni e delle ipocrisie riscoperte, Ruggero torna a far parlare di
sé, stupisce che una pittura ed un disegno così nudi e negati alla
concettualità potevano nascere ed esprimersi in un tempo che credevano
vocato a ben altre realizzazioni.
L'accettano, sia pure con una certa riserva, atteggiandosi a menti
illuminate e generose per il solo fatto di prenderla in considerazione
e magari scriverne. In realtà avvertono di essere dei poveri
naufraghi, se pure la loro barchetta di carta veleggi ancora per il
mondo in balia di tutti i venti, sostenuta da interessi che non sanno
più su cosa investire.
Da cinquant'anni ormai la pittura, il disegno e l'acquaforte di
Ruggero Savinio esistono con una forza distinta e sicura che gli
garantiscono dei posti preminenti nella storia dell'arte moderna
italiana: da quando cioè dopo aver affermato la sua assoluta libertà
con una vita indipendente, espose per la prima volta nel 1956 a Roma
presentato da Giuseppe Ungaretti. Eppure di tutto questo lungo ed
illustre lavoro molti ancora sembrano non aver misurato né la profonda
struttura né l'alto significato lirico.
Il mondo poetico di Ruggero si delinea e si esprime con classica
compostezza di forme. Sensibilità ed intelligenza si integrano
nell'interpretazione dell'atmosfera e del carattere delle cose, cui
egli partecipa con un interesse umano, che è abbandono dell'anima,
amore, confidenza, fiducia, entusiasmo, e mai commento ironico,
parodia, raffinato funambolismo.
Certo è che la pittura dell'artista non fa spicco tra le ambiziose
esibizioni barocche o le fantastiche evasioni dalla realtà o gli
astratti cerebralismi degli artisti contemporanei.
Ma è altrettanto certo che in una storia dell'arte, tendenziosa
falsificazione della realtà, si dovrà tener conto nella giusta
prospettiva storica ed estetica, della pittura di Ruggero, e per il
suo contenuto poetico e per i valori pittorici ritrovati e rivelati in
un tempo "troppo vecchio" per riconoscerli.
Una parola ancora per i disegni: i disegni di Ruggero si possono
definire classici, nel senso hegeliano del termine, il più esatto e
vicino alla realtà. Disegno dunque costruttivo ed essenziale, ma senza
la rigidezza che viene dal preconcetto dell'imitazione obiettiva, anzi
mosso, vario, sensibile, tanto da sentirci dentro l'anima mesta,
sognatrice e poetica dell'artista. La linea non è fine a se stessa,
indipendente dalla personalità: Ruggero non ama le astrazioni. Le più
profonde ispirazioni gli vengono dalla natura – grande parola che ha
perduto, per l'uso che se ne fa, la forza del significato primitivo -:
in ogni aspetto del mondo egli sa ritrovare instanti di bellezza, che
matureranno poi a lungo nel suo spirito contemplativo, fino ad
assumere forma duratura nelle conservazioni della linea e del
chiaroscuro. Non si può immaginare l'ansioso tormento di Ruggero di
fronte ad un soggetto che abbia avuto il potere di commuoverlo: alla
notazione rapida del momento visto o sognato, succede la lenta
elaborazione goduta o sofferta dal solitario, che, conoscendo il
valore del tempo, non ha fretta, e quasi si distacca con dolore
dell'immagine creata, quando è costretto a realizzarla sul foglio di
carta.
Forse anche più della pittura, il disegno e l'acquaforte mostrano in
modo perentorio il rifiuto di ogni virtuosismo, di ogni calligrafia,
di ogni compiacenza ornamentale. Al loro posto, una nudità di
linguaggio che accompagna ogni ricerca formale, ogni sperimentazione.
Primari strumenti d'indagine estetica e linguistica, il disegno e
l'acquaforte di Ruggero ci mostrano il processo segreto di
trasposizione fra mondo esterno e spirito dell'artista, fra
percezione, coscienza e giudizio.
Alla fine occorre far vedere agli altri quanto si è visto da soli.
E molto spesso il disegno è un'improvvisazione ben lontana da quel che
è l'idea: una geniale scrittura che descrive in sintesi e associa
immagini di cose, di luoghi e di ore diverse, appunto perché la
memoria non è una lastra fotografica e la realtà vi resta idealizzata
o deformata, diminuita o ingrandita e mai conforme ai dati
dell'esperienza comune. Se i più, della natura, rappresenteranno il
superfluo, Ruggero, come ogni classico, sa vedere l'essenziale, e in
più l'elemento indefinibile: la poesia, l'anima stessa delle cose.
Roberto Savi
L'imagination n'est rien d'autre que le fruit de notre mémoire.
Pierre Bonnard
Ruggero Savinio, nella pittura del Secondo Novecento, rappresenta un
caso voluto dall'Arte per far dispetto ai teorici, agli studiosi ed
agli incasellatori di professione. Come artista non ha avuto un
passato trasgressivo, una militanza tra le avanguardie del secolo o
una benché minima voglia di cimentarsi con la sperimentazione;
costruire per lui uno dei soliti castelli di chiacchiere è pressoché
impossibile.
Da quando cominciò a dipingere non conosce che una via, una via
privatissima, da sé stesso tracciata, percorsa con invidiabile
sicurezza. Può anche prendere a modello un'opera di Pierre Bonnard, ma
è unicamente per ricavarci un Ruggero Savinio; di quel maestro resta
appena il sapore dell'omaggio, un prestito, una divagazione, e
possibilmente un arricchimento, per la propria pittura. Proprio Pierre
Bonnard è forse l'artista che spiritualmente gli è più vicino. Due
pittori che non temono la solitudine, che amano vivere in un paese
creato, si direbbe, dalla loro fantasia; che non si preoccupano di
essere à la page, ben sapendo che "la durata" si stabilisce con una
misura molto diversa. L'arte di Bonnard, che parve sacrificata
rispetto a mattatori come Henri Matisse e Pablo Picasso, sta
riconquistando il suo giusto posto nella storia dell'arte moderna. Lo
stesso deve accadere per Ruggero Savinio.
La libertà dall'obbligo della fedeltà di resa, per utilizzare la
memoria, porta l'artista ad una maggiore libertà espressiva. Per
memoria si intende in primo luogo la memoria visiva. Ciò è già una
conferma che, il suo approccio con la realtà, rimane sempre l'obbligo,
per Ruggero, di cercare di afferrarla e ricrearla nella sua opera.
Eliminando il modello egli si affida al ricordo: questo processo porta
alla semplificazione formale dell'immagine. Nella memoria i singoli
dettagli svaniscono o si riducono di importanza, mentre la forma
generale si impone ed è più facilmente afferrabile. Con questa
spiegazione si rimane però ancorati ad una realtà esteriore. Invece la
parola "memoria" si colora di nuove accezioni: significa chiudere gli
occhi di fronte alla realtà visibile per sentirla affettivamente e
sensorialmente, significa guardarla con l'immaginazione. La memoria è
la fantasia che rende i sogni di Ruggero una realtà
credibile e vissuta quanto il reale naturale e quotidiano che lo
circonda. "Memoria" significa far rivivere nella propria mente le
immagini che lo hanno colpito per utilizzarle nelle proprie creazioni.
Va detto che il disegno per Ruggero è un mezzo espressivo
completamente separato e distinto dalla produzione pittorica, nel
senso che, anche se si ritrovano nei disegni gli stessi soggetti che
dominano nei dipinti, questi tuttavia hanno altri esiti, non sono mai
abbozzi, studi preparatori delle tele.
L'artista disegna facendo forte pressione con la grafite, o con la
penna, sulla carta o sulla tavola con tratti nervosi, insistiti. Un
segno non sempre pulito, ma fortemente espressivo, rude perfino,
nell'aderire all'urgenza dell'ideazione. Un disegnare da pittore, teso
a definire le atmosfere, attento a rendere l'immediatezza della
progettazione, anche nei più complessi disegni, le figure e gli
ambienti. Un segno spigoloso, che si aggruma, aggroviglia in un
disordine apparentemente confuso di linee tracciate senza pentimenti,
di getto, che rendono alla fine la forma di una figura, la prospettiva
di una stanza, di un paesaggio. La sua linea è decisa, ha forza e
ricorda un'incisione a bulino, entra nell'universo antico specifico e
resta sempre presente. La matita per Ruggero è la vacanza del
pennello, la sua nobile arma quando non dipinge la tela. È un artista
che soffre il tempo.
Se il disegno è anzitutto l'esplorazione drammatica, direi attonita e
quasi visionaria, di istinti e passioni estreme e nascoste, nelle
opere emerge un elemento che risulta non solo costante, ma
fondamentale, essenziale in tutta la sua opera.
Voglio dire l'intervallo, il crinale che divide due versanti temporali
o spaziali: quel confine paradossale di sospensione e di attesa: una
dimensione che divide e lega il visibile e l'invisibile, che segna con
modalità diverse la presenza di un'assenza. L'ambivalenza
irrisolvibile di durezza-resistenza/fragilità-perdita del segno,
costituisce per l'artista non solo la struttura metaforica portante,
il cardine della sua opera, ma la sua "ossessione", la sua "sindrome
creativa": la sindrome del crinale. Come una linea immaginaria che
unisce tutti i punti di maggior altezza di un rilievo montuoso e che
funge da spartiacque tra un versante e l'altro. Seguendo questa linea
immaginaria si prova un grande senso di vertigine e meraviglia al
tempo stesso, il piacere di arrivare a scorgere un nuovo orizzonte, di
una nuova scoperta, si riscopre la sensazione, giovanile, di correre a
perdifiato, sul bordo di un abisso incantato.
Ecco come il nodo di linee centripete, tutte arrotolate su se stesse
che formano le figure, le stanze ed i paesaggi di Ruggero, trova in
questa delicata violenza una ragion d'essere, un modo per aprirsi, la
possibilità di comunicare. Il tratto spezzato, quasi singhiozzante e
pur continuo, trae le forme dal vuoto, scava lo spazio come il piccone
la roccia e costringe le cose da quella nicchia di indeterminatezza in
cui scontrosamente stanno nascoste, le porta alla luce ed alla
coscienza. Il confronto con il bianco del foglio o della tavola
preparata, metafora senza scampo dello spazio, la sua forza, la sua
persistenza, nel momento stesso in cui pare occuparlo e modificarlo
con la sfida del suo segno. Il foglio o la superficie della tavola
come metafora dello spazio, sì, ma avrei potuto dire anche luogo della
luce, nicchia di splendore, trasposizione sensibile del biancore
accecante della neve, di un manto di purezza e di silenzio.
I colori, i gesti, gli echi si allontanano verso il grigio, verso
l'indistinto; restano la forza, l'intensità, l'indistruttibilità di
una scintilla di vita che palpita sotto la superficie bianca e la
buca, la trapassa per ritornare alla luce, per riprendere il contatto
con ciò che sta al di fuori.
Per esprimersi, perché altri comprendano la piena trabocchevole dei
suoi umori ed amori, ha scelto anche un tecnica obliqua che affida al
mistero del segno il miracolo della creazione, l'acquaforte. Una
tecnica introversa e magica che diviene per Ruggero un linguaggio
dalle infinite possibilità.
Per l'acquaforte ha scelto un segno pulito, vivo, guizzante, libero,
armonioso. Con il segno scrive la forma, le da la vita, l'esalta. Con
il segno colora i suoi bianchi e neri che assumono tutti i riflessi,
tutti i valori, tutte le plasticità delle cose. Il segno è per lui un
filo che avvolge ed imprigiona.
Colto, conoscitore ed estimatore dei classici, Ruggero Savinio ha
scritto in prosa. A volte accade che la poesia dei versi e quella
delle immagini si confondono, la scrittura passa dal foglio alla
lastra, alla tela, la grafia delle parole circonda il soggetto e lo
completa. Per questa strana alchimia una malinconia, una
conversazione, una stanza, un istmo sembrano posati su una lettera
aperta che nessuno chiede di leggere, non serve sapere che narra una
filiale devozione ritrovata sull'onda del ricordo, perché anche quelle
parole, per indicibile traslato son divenute immagine.
Istinti, sentimenti, passioni, incubi. Nuclei direi sorgivi,
primordiali di un immaginario originato da lontananze e profondità
primigenie, costituiscono le matrici metaforiche del sogno che lo
comanda per tutta la sua ricerca. Il sogno urla. Urla e comanda
Ruggero in una direzione da sorprenderlo continuamente, rapito a
ritroso nell'oscurità remota di una infanzia ancestrale, una infanzia
arcaica da dove riemerge, arcano ed irresistibile, un immaginario che
si presenta alla sua capacità creativa per venirne "ricolonizzato",
reinterpretato in "immagini nuove" da innestare sulla complessità
attonita del contemporaneo.
Tutto ha l'aria di essere sopravvissuto. Ogni suo lavoro, ogni
giornata. Ogni leggero segno di matita, ogni traccia vagante, che
potrebbe limitare un disegno, un foglio inciso, un quadro, ha questa
disponibilità. Una continua allusione: alla condanna del tempo, alla
rovina.
Considerato con sufficienza da una critica assorbita dalle muffite
avanguardie del secondo dopoguerra, ora, nel momento delle grandi
delusioni e delle ipocrisie riscoperte, Ruggero torna a far parlare di
sé, stupisce che una pittura ed un disegno così nudi e negati alla
concettualità potevano nascere ed esprimersi in un tempo che credevano
vocato a ben altre realizzazioni.
L'accettano, sia pure con una certa riserva, atteggiandosi a menti
illuminate e generose per il solo fatto di prenderla in considerazione
e magari scriverne. In realtà avvertono di essere dei poveri
naufraghi, se pure la loro barchetta di carta veleggi ancora per il
mondo in balia di tutti i venti, sostenuta da interessi che non sanno
più su cosa investire.
Da cinquant'anni ormai la pittura, il disegno e l'acquaforte di
Ruggero Savinio esistono con una forza distinta e sicura che gli
garantiscono dei posti preminenti nella storia dell'arte moderna
italiana: da quando cioè dopo aver affermato la sua assoluta libertà
con una vita indipendente, espose per la prima volta nel 1956 a Roma
presentato da Giuseppe Ungaretti. Eppure di tutto questo lungo ed
illustre lavoro molti ancora sembrano non aver misurato né la profonda
struttura né l'alto significato lirico.
Il mondo poetico di Ruggero si delinea e si esprime con classica
compostezza di forme. Sensibilità ed intelligenza si integrano
nell'interpretazione dell'atmosfera e del carattere delle cose, cui
egli partecipa con un interesse umano, che è abbandono dell'anima,
amore, confidenza, fiducia, entusiasmo, e mai commento ironico,
parodia, raffinato funambolismo.
Certo è che la pittura dell'artista non fa spicco tra le ambiziose
esibizioni barocche o le fantastiche evasioni dalla realtà o gli
astratti cerebralismi degli artisti contemporanei.
Ma è altrettanto certo che in una storia dell'arte, tendenziosa
falsificazione della realtà, si dovrà tener conto nella giusta
prospettiva storica ed estetica, della pittura di Ruggero, e per il
suo contenuto poetico e per i valori pittorici ritrovati e rivelati in
un tempo "troppo vecchio" per riconoscerli.
Una parola ancora per i disegni: i disegni di Ruggero si possono
definire classici, nel senso hegeliano del termine, il più esatto e
vicino alla realtà. Disegno dunque costruttivo ed essenziale, ma senza
la rigidezza che viene dal preconcetto dell'imitazione obiettiva, anzi
mosso, vario, sensibile, tanto da sentirci dentro l'anima mesta,
sognatrice e poetica dell'artista. La linea non è fine a se stessa,
indipendente dalla personalità: Ruggero non ama le astrazioni. Le più
profonde ispirazioni gli vengono dalla natura – grande parola che ha
perduto, per l'uso che se ne fa, la forza del significato primitivo -:
in ogni aspetto del mondo egli sa ritrovare instanti di bellezza, che
matureranno poi a lungo nel suo spirito contemplativo, fino ad
assumere forma duratura nelle conservazioni della linea e del
chiaroscuro. Non si può immaginare l'ansioso tormento di Ruggero di
fronte ad un soggetto che abbia avuto il potere di commuoverlo: alla
notazione rapida del momento visto o sognato, succede la lenta
elaborazione goduta o sofferta dal solitario, che, conoscendo il
valore del tempo, non ha fretta, e quasi si distacca con dolore
dell'immagine creata, quando è costretto a realizzarla sul foglio di
carta.
Forse anche più della pittura, il disegno e l'acquaforte mostrano in
modo perentorio il rifiuto di ogni virtuosismo, di ogni calligrafia,
di ogni compiacenza ornamentale. Al loro posto, una nudità di
linguaggio che accompagna ogni ricerca formale, ogni sperimentazione.
Primari strumenti d'indagine estetica e linguistica, il disegno e
l'acquaforte di Ruggero ci mostrano il processo segreto di
trasposizione fra mondo esterno e spirito dell'artista, fra
percezione, coscienza e giudizio.
Alla fine occorre far vedere agli altri quanto si è visto da soli.
E molto spesso il disegno è un'improvvisazione ben lontana da quel che
è l'idea: una geniale scrittura che descrive in sintesi e associa
immagini di cose, di luoghi e di ore diverse, appunto perché la
memoria non è una lastra fotografica e la realtà vi resta idealizzata
o deformata, diminuita o ingrandita e mai conforme ai dati
dell'esperienza comune. Se i più, della natura, rappresenteranno il
superfluo, Ruggero, come ogni classico, sa vedere l'essenziale, e in
più l'elemento indefinibile: la poesia, l'anima stessa delle cose.
Roberto Savi
08
agosto 2008
Ruggero Savinio – Disegni e incisioni
Dall'otto agosto al 26 settembre 2008
arte contemporanea
disegno e grafica
disegno e grafica
Location
PALAZZO BELLARMINO
Montepulciano, Via Di San Donato Nel Corso, 12, (Siena)
Montepulciano, Via Di San Donato Nel Corso, 12, (Siena)
Orario di apertura
Dal LUN. al SAB. 9,30 – 13,00 / 15,00 – 18,00; DOM. su appuntamento
Vernissage
8 Agosto 2008, ore 18,00
Sito web
www.thesaneturan.it
Editore
THESAN&TURAN
Autore
Curatore