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Sabrina Ortolani – Concrete
Sabrina Ortolani indaga spazi e realtà marginali del territorio urbano, scoprendone il fascino ed una nascosta umanità. Con un astratto avvincente analizza, destruttura e ristruttura quelle forme, è così che grandi macchinari diventano il pretesto per mostrare la forza della meccanica e delle capacità umane.
Comunicato stampa
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Quando ci capita di osservare qualcuno dei tanti manufatti a tecnologia rigida che tuttora fanno da sfondo alla nostra esistenza, non secondo la logica con cui è stato realizzato, ma in un’ottica puramente formale, quasi fosse un’ immagine d’arte che chiede solo di essere giudicata per la sua valenza estetica, i riferimenti che possono imporsi alla nostra attenzione sono essenzialmente due: la decorazione diffusa e la libera composizione di parti separate. Due riferimenti che ovviamente fanno capo a due diversi tipi di organizzazione percettiva: il pattern regolare in cui l’elemento iterato tende a sottomettersi all’insieme producendo un’effetto “texture” anche laddove si accampi saldamente nella terza dimensione, e il bilanciamento empirico tra volumi dotati ciascuno di un proprio carattere ma disposti a trovare un punto d’incontro nella comune relazione con lo spazio destinato a contenerli.
Nel primo caso siamo portati a trascurare il godimento estetico che potremmo ricavare dalla nostra operazione, in quanto troppo banale, troppo vicino al semplice piacere, quasi fisico, della ripetizione, nel secondo, invece, può accaderci facilmente di provare meraviglia per come considerazioni meramente funzionali siano state capaci di portare ad una pregnanza di risultati plastici che anche il più scaltro degli scultori avrebbe stentato a raggiungere.
Non so se tutto questo accada perché dinnanzi al tipo di oggetti presi in considerazione sia ancora la cultura del Moderno a prevalere, confermandoci tutti figli di Adolf Loos e Le Corbusier, sono però certo, e il lavoro di Sabrina Ortolani me ne da la più convincen a conferma, che basti poco per uscire dalla partita a senso unico appena descritta senza dover ricorrere a troppo sofisticate argomentazioni di matrice postmoderna. Basta poco, basta rifare l’esperimento affidandosi non alla logica del disegno inteso come anodino atto mentale ma a quella della pittura intesa come disciplina autonoma e consapevole dei propri mezzi.
Deve trattarsi naturalmente di una pittura che non forzi la mano, che non ci impomga un sentire già orientato, ma ci faccia scoprire ciò che l’artista ha scoperto rifacendo in proprio il suo percorso. Sabrina Ortolani, sa bene che la pittura è essenzialmente selezione, selezione di piani di luce, di toni, di di linee, di accordi, di contrasti e via dicendo e sa anche, di consguenza, che l’oggettività in pittura non potrà mai essere raggiunta, ma solo suggerita, evocata, corteggiata. Sa. infine, che se corteggiato questo ideale improprio ricambia il suo corteggiatore con i doni più belli, doni tra i quali il più prezioso di tutti è la condivisione, la complicità con chi guarda.
Certamente una pittura capace di farci vedere in modo diverso, soggetti che di regola vengono considerati impoetici per il gradiiente tecnologico che li abita e li sostiene, senza caricarli di valenze espressionistiche o surreali, ma insistendo su una distillazione di caratteri distintivi il cui equilibrio corteggia appunto la pulsione all’oggettività è stata già tentata più volte, basti pensare al “Precisionismo” di Charles Sheeler, ai ritratti di macchinari di Konrad Klaphek, o a certi sfondi urbani di Titina Maselli ) ma ogni volta ci ha poi rivelato un tipo di tensione diversa legato ai tempi e alla cultura dell’autore, ragion per cui converrà subito chiedersi qual’è il tipo di cultura della Ortolani e quale la visione dell’attuale contsto storico che a lei interessa mettere a fuoco.
Rispondiamo partendo dalla sua scoperta più interessante: affidandosi alla tutela non solo della pittura che corteggia l’oggettività senza idolatrarla, ma anche della grande tradizione astratto costruttiva del XX secolo, è possibile annullare la polarità decorazione-composizione da cui qbbiamo preso le mosse e conquistarsi una nuova fermezza d’immagine immune dalla corrosione del piacere o del dispiacere, della frustrazione e dell’angoscia. Comincia ad apparire così sotto i nostri occhi una realtà urbana liberata dalla retorica della decadenza e ricondotta alla scommessa della transizione, una realtà in cui una bella architettura resta tale anche in pittura, uno strumento di lavoro mantiene la sua sobrietà e dignità anche sul piano della plasticità, una grande struttura ingegneristica non è un mostro sopravvissuto a se stesso, ma solo un’organismo non più adeguato al suo ambienfe, un rifiuto non è proliferazione incontrollata, ma forma ricombinabile che può confortare simbolicamente la progettazione del riclo. Naturalmente è inutile sottolineare che nella poetica di Sabrina Ortolani non c’è nessun invito all’ottimismo ma solo il desiderio concreto di metterci in guardia da ogni tipo di fuga. L’arte non può salvarci, ma la bellezza è il segnale più certo che siamo sulla strada giusta. Il compito che Sabrina si è data è quello di cercare la bellezza all’interno del mutamento dimostrando che esso non comporta di necessitò la sconfitta della forma.
Paolo Balmas
15
gennaio 2010
Sabrina Ortolani – Concrete
Dal 15 gennaio al 19 febbraio 2010
arte contemporanea
Location
ENDEMICA ARTE CONTEMPORANEA
Roma, Via Mantova, 14, (Roma)
Roma, Via Mantova, 14, (Roma)
Vernissage
15 Gennaio 2010, ore 18
Autore
Curatore