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Salvatore Castaldo – Far away from the eyes
Kromìa presenta “Far away from the eyes”, personale dell’artista Salvatore Castaldo. In mostra, quindici opere fotografiche di medio formato in bianco e nero dalla più recente ricerca dell’autore.
Comunicato stampa
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Kromìa presenta “Far away from the eyes”, personale dell’artista Salvatore Castaldo.
In mostra, quindici opere fotografiche di medio formato in bianco e nero dalla più recente ricerca dell’autore.
In continui slittamenti e riconoscimenti di senso, immagini di sculture divengono entità emozionali e verità riposte, in un allestimento a griglia che potenzia arditi tagli compositivi, accostamenti illuminanti e ritmica chiaroscurale.
Dal testo critico di Diana Gianquitto (curatrice della mostra, con la direzione artistica di Donatella Saccani): «Fotosofia. Ectoplasmi di luce nell’ombra, apparizioni galleggianti dal fondo. Lucidità inaspettata, rivelatrice. Indefinitezza sommessa di sfumati, pittorici come sussurri. Il vedere fotografico di Salvatore Castaldo è conoscere. Sospeso tra brume sfocate che occultano il pedissequo dischiarando il senso emotivo, e inattesi tagli e dettagli arditi, abbacinanti come illuminazioni. (…) In particolare, per il fotografo l’obiettivo è risveglio, capacità di andare oltre la visione, oltre la mera registrazione meccanica del reale, e verso piuttosto il valore che lo stesso Valery tributava all’emergere lento dell’immagine dal negativo fotografico, che diviene quasi alter ego dell’affiorare della memoria e della coscienza, fino a tangere la funzione rivelatrice dei lati riposti del reale che il poeta francese attribuiva alla letteratura. Fotografia e letteratura. Castaldo inizia a fotografare, da scrittore, quando sente di aver bisogno di altra grammatica e dinamica espressiva. Gli sfrangiamenti di luce e di ombra, le improvvise illuminazioni, il filtro della lente che interdice eppure disvela il contatto diretto con la natura divengono il suo nuovo tessuto linguistico: ulteriore dimensione per parole che chiedono di uscire sotto forma di visioni. Semplici, ma potenti. ‘Ogni visionarietà è semplice’ (cit. S.Castaldo), scivola dalle parole degli occhi dell’artista, e trasforma ciascuna rivelazione in un’estasi, lontana da ogni onanismo. (…) Visi, sguardi, epidermidi intensamente teatrali, come quelli di marmo e bronzo nelle opere di Castaldo, per il quale in esse ‘ciò a cui si assiste è una tragedia greca’ (…). Scritture e teatri di luce e sofia fotografica, in una partitura di bianchi e neri potenziante rimbalzi e rimbombi interiori e sostenuta secondo una modulazione perpetua attorno a paradossi visivi e sensoriali, etica della bellezza ed emulsione energetica dal mondo. Far away from the eyes, sulla strada della poesia».
Di seguito, testo critico integrale di Diana Gianquitto.
(scorrere per testo critico)
Testo critico:
Lontano dagli occhi
di Diana Gianquitto
Fotosofia.
Ectoplasmi di luce nell’ombra, apparizioni galleggianti dal fondo. Lucidità inaspettata, rivelatrice. Indefinitezza sommessa di sfumati, pittorici come sussurri.
Il vedere fotografico di Salvatore Castaldo è conoscere. Sospeso tra brume sfocate che occultano il pedissequo dischiarando il senso emotivo, e inattesi tagli e dettagli arditi, abbacinanti come illuminazioni.
Memore della constatazione di Paul Valery, secondo il quale solo la fotografia era riuscita a svelare dinamiche – come il movimento – fino ad allora oscure, anche per Castaldo la camera apre un atto gnoseologico, e di sensazione corporea insieme, che ha a che fare con la conoscenza. Ma il conoscere della poesia, diretto, immediato, spontaneo, intuitivo e non cerebrale.
In particolare, per il fotografo l’obiettivo è risveglio, capacità di andare oltre la visione, oltre la mera registrazione meccanica del reale, e verso piuttosto il valore che lo stesso Valery tributava all’emergere lento dell’immagine dal negativo fotografico, che diviene quasi alter ego dell’affiorare della memoria e della coscienza, fino a tangere la funzione rivelatrice dei lati riposti del reale che il poeta francese attribuiva alla letteratura.
Fotografia e letteratura. Castaldo inizia a fotografare, da scrittore, quando sente di aver bisogno di altra grammatica e dinamica espressiva.
Gli sfrangiamenti di luce e di ombra, le improvvise illuminazioni, il filtro della lente che interdice eppure disvela il contatto diretto con la natura divengono il suo nuovo tessuto linguistico: ulteriore dimensione per parole che chiedono di uscire sotto forma di visioni. Semplici, ma potenti. «Ogni visionarietà è semplice» , scivola dalle parole degli occhi dell’artista, e trasforma ciascuna rivelazione in un’estasi, lontana da ogni onanismo.
«Non faccio fotografie, ma faccio “Della fotografia”». E ancora, «il mio lavoro non è uniforme, ma multi-forme»: come nelle parole dell’autore, il suo atto fotografico è un inseguimento, al di là della contingenza dello scatto, del senso stesso del medium e dell’essenza, seppur fugace, oltre il vedere superficiale indotto dall’odierna sovresposizione alle immagini.
Un’esperienza di intensità e profondità visiva catturata come radiazione luministica così pulsante che, non a caso, nella fruizione dell’arte di Castaldo si è inevitabilmente irretiti dal tessuto di ritmico cadenzamento di ombre liquide e improvvisi abbagliamenti di luce che sembrano imprimersi direttamente dall’energia del soggetto. E di nuovo si torna al Valery ricordato da Vittorio Magrelli: «il privilegio della fotografia risiede infatti in un’immediata aderenza ai dati dell’oggetto ritratto: calco della luce, emulsione diretta dell’oggetto. (…) La sua superficie riproduce il reale come quella liquida riflette Narciso». Ma anche, negli improvvisi raggrumamenti e vortici di pathos emergenti dal fondale oscuro, ai volti drammaticamente affioranti dal buio caravaggesco delle Sette opere di misericordia, inevitabile sedimentazione nella memoria partenopea dell’autore.
Visi, sguardi, epidermidi intensamente teatrali, come quelli di marmo e bronzo nelle opere di Castaldo, per il quale in esse «ciò a cui si assiste è una tragedia greca», ricordando con Roland Barthes che «non è attraverso la Pittura che la fotografia perviene all’arte, bensì attraverso il teatro». Ed ecco che le pietrificazioni narrative ed emotive di altri artisti del passato divengono nodi d’azione e pause sceniche di distensione, gesti, attimi, un punctum emozionale e filosofico tanto più vero quanto momentaneo ed evanescente, e quindi permanentemente autentico nel suo respirante vibrare e mutare.
E infatti, anche la griglia in cui Salvatore Castaldo formalizza le sue immagini è contrappunto ricco di pathos, appunto, caravaggesco e teatrale, un’architettura e stesura di note visive che ricerca direttrici compositive ampie e non globulari, secondo acute e audaci tensioni diagonali e concentrazioni drammatiche agli angoli, intervallate da panneggi barocchi di bianchi, depurate in intervalli di più classiche suggestioni, ed equilibrate al centro da assialità egittizzanti.
Scritture e teatri di luce e sofia fotografica, in una partitura di bianchi e neri potenziante rimbalzi e rimbombi interiori e sostenuta secondo una modulazione perpetua attorno a paradossi visivi e sensoriali, etica della bellezza ed emulsione energetica dal mondo. Far away from the eyes, sulla strada della poesia.
In mostra, quindici opere fotografiche di medio formato in bianco e nero dalla più recente ricerca dell’autore.
In continui slittamenti e riconoscimenti di senso, immagini di sculture divengono entità emozionali e verità riposte, in un allestimento a griglia che potenzia arditi tagli compositivi, accostamenti illuminanti e ritmica chiaroscurale.
Dal testo critico di Diana Gianquitto (curatrice della mostra, con la direzione artistica di Donatella Saccani): «Fotosofia. Ectoplasmi di luce nell’ombra, apparizioni galleggianti dal fondo. Lucidità inaspettata, rivelatrice. Indefinitezza sommessa di sfumati, pittorici come sussurri. Il vedere fotografico di Salvatore Castaldo è conoscere. Sospeso tra brume sfocate che occultano il pedissequo dischiarando il senso emotivo, e inattesi tagli e dettagli arditi, abbacinanti come illuminazioni. (…) In particolare, per il fotografo l’obiettivo è risveglio, capacità di andare oltre la visione, oltre la mera registrazione meccanica del reale, e verso piuttosto il valore che lo stesso Valery tributava all’emergere lento dell’immagine dal negativo fotografico, che diviene quasi alter ego dell’affiorare della memoria e della coscienza, fino a tangere la funzione rivelatrice dei lati riposti del reale che il poeta francese attribuiva alla letteratura. Fotografia e letteratura. Castaldo inizia a fotografare, da scrittore, quando sente di aver bisogno di altra grammatica e dinamica espressiva. Gli sfrangiamenti di luce e di ombra, le improvvise illuminazioni, il filtro della lente che interdice eppure disvela il contatto diretto con la natura divengono il suo nuovo tessuto linguistico: ulteriore dimensione per parole che chiedono di uscire sotto forma di visioni. Semplici, ma potenti. ‘Ogni visionarietà è semplice’ (cit. S.Castaldo), scivola dalle parole degli occhi dell’artista, e trasforma ciascuna rivelazione in un’estasi, lontana da ogni onanismo. (…) Visi, sguardi, epidermidi intensamente teatrali, come quelli di marmo e bronzo nelle opere di Castaldo, per il quale in esse ‘ciò a cui si assiste è una tragedia greca’ (…). Scritture e teatri di luce e sofia fotografica, in una partitura di bianchi e neri potenziante rimbalzi e rimbombi interiori e sostenuta secondo una modulazione perpetua attorno a paradossi visivi e sensoriali, etica della bellezza ed emulsione energetica dal mondo. Far away from the eyes, sulla strada della poesia».
Di seguito, testo critico integrale di Diana Gianquitto.
(scorrere per testo critico)
Testo critico:
Lontano dagli occhi
di Diana Gianquitto
Fotosofia.
Ectoplasmi di luce nell’ombra, apparizioni galleggianti dal fondo. Lucidità inaspettata, rivelatrice. Indefinitezza sommessa di sfumati, pittorici come sussurri.
Il vedere fotografico di Salvatore Castaldo è conoscere. Sospeso tra brume sfocate che occultano il pedissequo dischiarando il senso emotivo, e inattesi tagli e dettagli arditi, abbacinanti come illuminazioni.
Memore della constatazione di Paul Valery, secondo il quale solo la fotografia era riuscita a svelare dinamiche – come il movimento – fino ad allora oscure, anche per Castaldo la camera apre un atto gnoseologico, e di sensazione corporea insieme, che ha a che fare con la conoscenza. Ma il conoscere della poesia, diretto, immediato, spontaneo, intuitivo e non cerebrale.
In particolare, per il fotografo l’obiettivo è risveglio, capacità di andare oltre la visione, oltre la mera registrazione meccanica del reale, e verso piuttosto il valore che lo stesso Valery tributava all’emergere lento dell’immagine dal negativo fotografico, che diviene quasi alter ego dell’affiorare della memoria e della coscienza, fino a tangere la funzione rivelatrice dei lati riposti del reale che il poeta francese attribuiva alla letteratura.
Fotografia e letteratura. Castaldo inizia a fotografare, da scrittore, quando sente di aver bisogno di altra grammatica e dinamica espressiva.
Gli sfrangiamenti di luce e di ombra, le improvvise illuminazioni, il filtro della lente che interdice eppure disvela il contatto diretto con la natura divengono il suo nuovo tessuto linguistico: ulteriore dimensione per parole che chiedono di uscire sotto forma di visioni. Semplici, ma potenti. «Ogni visionarietà è semplice» , scivola dalle parole degli occhi dell’artista, e trasforma ciascuna rivelazione in un’estasi, lontana da ogni onanismo.
«Non faccio fotografie, ma faccio “Della fotografia”». E ancora, «il mio lavoro non è uniforme, ma multi-forme»: come nelle parole dell’autore, il suo atto fotografico è un inseguimento, al di là della contingenza dello scatto, del senso stesso del medium e dell’essenza, seppur fugace, oltre il vedere superficiale indotto dall’odierna sovresposizione alle immagini.
Un’esperienza di intensità e profondità visiva catturata come radiazione luministica così pulsante che, non a caso, nella fruizione dell’arte di Castaldo si è inevitabilmente irretiti dal tessuto di ritmico cadenzamento di ombre liquide e improvvisi abbagliamenti di luce che sembrano imprimersi direttamente dall’energia del soggetto. E di nuovo si torna al Valery ricordato da Vittorio Magrelli: «il privilegio della fotografia risiede infatti in un’immediata aderenza ai dati dell’oggetto ritratto: calco della luce, emulsione diretta dell’oggetto. (…) La sua superficie riproduce il reale come quella liquida riflette Narciso». Ma anche, negli improvvisi raggrumamenti e vortici di pathos emergenti dal fondale oscuro, ai volti drammaticamente affioranti dal buio caravaggesco delle Sette opere di misericordia, inevitabile sedimentazione nella memoria partenopea dell’autore.
Visi, sguardi, epidermidi intensamente teatrali, come quelli di marmo e bronzo nelle opere di Castaldo, per il quale in esse «ciò a cui si assiste è una tragedia greca», ricordando con Roland Barthes che «non è attraverso la Pittura che la fotografia perviene all’arte, bensì attraverso il teatro». Ed ecco che le pietrificazioni narrative ed emotive di altri artisti del passato divengono nodi d’azione e pause sceniche di distensione, gesti, attimi, un punctum emozionale e filosofico tanto più vero quanto momentaneo ed evanescente, e quindi permanentemente autentico nel suo respirante vibrare e mutare.
E infatti, anche la griglia in cui Salvatore Castaldo formalizza le sue immagini è contrappunto ricco di pathos, appunto, caravaggesco e teatrale, un’architettura e stesura di note visive che ricerca direttrici compositive ampie e non globulari, secondo acute e audaci tensioni diagonali e concentrazioni drammatiche agli angoli, intervallate da panneggi barocchi di bianchi, depurate in intervalli di più classiche suggestioni, ed equilibrate al centro da assialità egittizzanti.
Scritture e teatri di luce e sofia fotografica, in una partitura di bianchi e neri potenziante rimbalzi e rimbombi interiori e sostenuta secondo una modulazione perpetua attorno a paradossi visivi e sensoriali, etica della bellezza ed emulsione energetica dal mondo. Far away from the eyes, sulla strada della poesia.
02
dicembre 2017
Salvatore Castaldo – Far away from the eyes
Dal 02 dicembre 2017 al 02 febbraio 2018
fotografia
Location
SPAZIO KROMÌA
Napoli, Via Diodato Lioy, 11, (Napoli)
Napoli, Via Diodato Lioy, 11, (Napoli)
Orario di apertura
(verificare via telefono)
lunedì, mercoledì, venerdì: ore 10.30-13.30 e 16.30-19.30; martedì, giovedì, sabato: ore 10.30-13.30
Vernissage
2 Dicembre 2017, h 19.00
Autore
Curatore