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Salvatore Chessari – Il colore dei sogni
mostra personale
Comunicato stampa
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Si inaugura sabato 2 ottobre, alle ore 18.00, presso le scuderie del Castello di Donnafugata, la mostra di Salvatore Chessari “Il colore dei sogni”, catalogo e organizzazione del Centro Studi Feliciano Rossitto, a cura di Andrea Guastella. Dal testo critico di Andrea Guastella: “Spazio, visione: di un paesaggio enorme, privo di confini, dall’estensione inversamente proporzionale alla profondità. Sono questi gli elementi primari della pittura di Salvatore Chessari; una pittura che, a dispetto di un realismo di facciata, muove da un netto rifiuto dell’oggettività del nostro sguardo.
L’apparenza, sembra dirci l’artista, non coincide con il vero; c’è sempre una cortina che ne cela l’essenza. E tuttavia, di questo velo, noi comuni mortali non possiamo fare a meno.
È dalla sua sostanza a volte scabra, a volte rugosa come la fronte di un vecchio, che comincia il nostro viaggio nel reale. Un viaggio che, per molti, finisce prima ancora dell’inizio. In tanti si scoraggiano infatti per la durezza della scorza; altri rimangono bloccati dal suo fascino; altri ancora non hanno fretta di capire e trascorrono l’esistenza in vani giri.
Chi però accetta il confronto con l’esterno, la superficie delle cose, si accorge subito che il colore di Chessari è molto più profondo di quanto agli occhi appaia; né potrebbe essere altrimenti, essendo egli un maestro nella stesura a velature.
Detto in parole piane, l’artista impiega sempre molti strati di vernice nei quali una piccola quantità di pigmento è mescolata con olio e sostanze leganti e trasparenti. Dopo essersi sedimentate in applicazioni successive, le patine pittoriche, chiamate appunto velature, costituiscono uno spessore ottico attraverso il quale la luce penetra ai diversi livelli prima di venire riflessa.
Il modo in cui la trasparenza e il colore si fondono in questa struttura, sottile ma complessa, spiega le rifrazioni che producono tinte di sorprendente intensità.
Ma la profondità di Chessari va oltre i virtuosismi della sua mano felice. È la profondità umana di chi vive ogni giorno come fosse l’ultimo e il primo; di chi lavora non per adempiere a un obbligo ma con senso di missione; di chi sa che la pittura non è soltanto un hobby, un gioco con l’essenza, ma il doppio oscuro e luminoso della vita.
Quando dipinge il paesaggio ibleo come una landa desolata, senza i segni dell’agire dell’uomo, non della natura si sta occupando – per accorgersene, basta un giro per le nostre campagne, troppo spesso ricolme di rifiuti e brutture da antropizzazione selvaggia – ma di noi, della nostra incapacità di riconoscerci parte di un ambiente, di riannodarci alle radici.
E quando, in un epoca in cui tutte le icone sono tristemente uguali, nasconde le sagome della Pietà di Michelangelo, della Decollazione del Battista e della Deposizione di Caravaggio con un manto di colore, lo fa per dimostrare che i capolavori dello spirito conservano la loro aura e continuano a emettere energia anche sotto una fitta coltre di vernice.
Solipsismi, autoflagellazioni, vuote esaltazioni cui ci ha purtroppo abituato tanta arte contemporanea nella pittura di Chessari non hanno ne avranno mai cittadinanza; vi è, al contrario, un senso eroico della vita, un titanismo che lo induce a realizzare opere monumentali.
Se solo potesse, egli non si limiterebbe a dipingere il mondo; lo ricreerebbe più grande e più bello, come lui solo può vederlo: “Vedo il fondo del mare sul quale / nessuno ha camminato, cosparso di alghe / verdi e di porpora; e scorgo le onde che battono / lungo le rive, ed è come una luce dissolta / in uno scroscio continuo di stelle. Rimango / solo seduto sulla sabbia, – e lo splendore del mare meridiano / sfolgora attorno a me mentre si leva un canto / dal suo movimento ritmato”.
Non sembrano scritti, questi versi di Shelly, pensando ai fondali immortalati da Chessari negli ultimi decenni?
Shelley componeva le sue stanze a Napoli “in un momento di sconforto”, e sin qui nulla di strano: non è infrequente che l’arte nasca da uno stato di sofferenza, se non di disperazione.
A colpire è, piuttosto, l’allusione a una luce notturna disciolta in un medium liquido che potrebbe benissimo essere il colore: non un colore fisico (il fondale dove non batte il sole non ne possiede, essendo il colore un’invenzione della luce), bensì spirituale, un colore in grado di rendere il palpito del cuore non appena il silenzio della completa solitudine consente di distinguerne ogni singolo moto.
È proprio agitando flussi di un colore siffatto, metafisico e assoluto, che Salvatore Chessari imita l’armonia di un mondo sul quale nessuno, tranne lui stesso, “ha camminato”: il mondo del sogno, dell’immaginazione.
Che è poi, “nello splendore del mare meridiano”, il nostro stesso mondo, come solo appare a chi sa intenderne il canto di sirena”.
L’apparenza, sembra dirci l’artista, non coincide con il vero; c’è sempre una cortina che ne cela l’essenza. E tuttavia, di questo velo, noi comuni mortali non possiamo fare a meno.
È dalla sua sostanza a volte scabra, a volte rugosa come la fronte di un vecchio, che comincia il nostro viaggio nel reale. Un viaggio che, per molti, finisce prima ancora dell’inizio. In tanti si scoraggiano infatti per la durezza della scorza; altri rimangono bloccati dal suo fascino; altri ancora non hanno fretta di capire e trascorrono l’esistenza in vani giri.
Chi però accetta il confronto con l’esterno, la superficie delle cose, si accorge subito che il colore di Chessari è molto più profondo di quanto agli occhi appaia; né potrebbe essere altrimenti, essendo egli un maestro nella stesura a velature.
Detto in parole piane, l’artista impiega sempre molti strati di vernice nei quali una piccola quantità di pigmento è mescolata con olio e sostanze leganti e trasparenti. Dopo essersi sedimentate in applicazioni successive, le patine pittoriche, chiamate appunto velature, costituiscono uno spessore ottico attraverso il quale la luce penetra ai diversi livelli prima di venire riflessa.
Il modo in cui la trasparenza e il colore si fondono in questa struttura, sottile ma complessa, spiega le rifrazioni che producono tinte di sorprendente intensità.
Ma la profondità di Chessari va oltre i virtuosismi della sua mano felice. È la profondità umana di chi vive ogni giorno come fosse l’ultimo e il primo; di chi lavora non per adempiere a un obbligo ma con senso di missione; di chi sa che la pittura non è soltanto un hobby, un gioco con l’essenza, ma il doppio oscuro e luminoso della vita.
Quando dipinge il paesaggio ibleo come una landa desolata, senza i segni dell’agire dell’uomo, non della natura si sta occupando – per accorgersene, basta un giro per le nostre campagne, troppo spesso ricolme di rifiuti e brutture da antropizzazione selvaggia – ma di noi, della nostra incapacità di riconoscerci parte di un ambiente, di riannodarci alle radici.
E quando, in un epoca in cui tutte le icone sono tristemente uguali, nasconde le sagome della Pietà di Michelangelo, della Decollazione del Battista e della Deposizione di Caravaggio con un manto di colore, lo fa per dimostrare che i capolavori dello spirito conservano la loro aura e continuano a emettere energia anche sotto una fitta coltre di vernice.
Solipsismi, autoflagellazioni, vuote esaltazioni cui ci ha purtroppo abituato tanta arte contemporanea nella pittura di Chessari non hanno ne avranno mai cittadinanza; vi è, al contrario, un senso eroico della vita, un titanismo che lo induce a realizzare opere monumentali.
Se solo potesse, egli non si limiterebbe a dipingere il mondo; lo ricreerebbe più grande e più bello, come lui solo può vederlo: “Vedo il fondo del mare sul quale / nessuno ha camminato, cosparso di alghe / verdi e di porpora; e scorgo le onde che battono / lungo le rive, ed è come una luce dissolta / in uno scroscio continuo di stelle. Rimango / solo seduto sulla sabbia, – e lo splendore del mare meridiano / sfolgora attorno a me mentre si leva un canto / dal suo movimento ritmato”.
Non sembrano scritti, questi versi di Shelly, pensando ai fondali immortalati da Chessari negli ultimi decenni?
Shelley componeva le sue stanze a Napoli “in un momento di sconforto”, e sin qui nulla di strano: non è infrequente che l’arte nasca da uno stato di sofferenza, se non di disperazione.
A colpire è, piuttosto, l’allusione a una luce notturna disciolta in un medium liquido che potrebbe benissimo essere il colore: non un colore fisico (il fondale dove non batte il sole non ne possiede, essendo il colore un’invenzione della luce), bensì spirituale, un colore in grado di rendere il palpito del cuore non appena il silenzio della completa solitudine consente di distinguerne ogni singolo moto.
È proprio agitando flussi di un colore siffatto, metafisico e assoluto, che Salvatore Chessari imita l’armonia di un mondo sul quale nessuno, tranne lui stesso, “ha camminato”: il mondo del sogno, dell’immaginazione.
Che è poi, “nello splendore del mare meridiano”, il nostro stesso mondo, come solo appare a chi sa intenderne il canto di sirena”.
02
ottobre 2010
Salvatore Chessari – Il colore dei sogni
Dal 02 al 30 ottobre 2010
arte contemporanea
Location
CASTELLO DI DONNAFUGATA
Ragusa, Contrada Donnafugata, (Ragusa)
Ragusa, Contrada Donnafugata, (Ragusa)
Orario di apertura
da martedì a domenica, ore 9.00 -13.00; martedì, giovedì e domenica ore 15.30 - 17.30; lunedì chiuso
Vernissage
2 Ottobre 2010, ore 18
Autore
Curatore