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Salvatore Difranco – In bianco e nero
La Galleria degli Archi di Comiso accoglierà la mostra del giovane artista comisano Salvatore Difranco. Saranno esposti 30 disegni realizzati nel 2010
Nella serata d’apertura, sarà presentato il catalogo della mostra edito dalla Salarchi Immagini.
Comunicato stampa
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Dal testo di Salvatore Schembari
IL SOLCO LASCIATO DALLA MATITA
Prima Fabio Romano e adesso Salvatore Difranco, entrambi del 1988, hanno debuttato, nel panorama artistico ibleo, molto giovani e con carattere. Cresciuti nella scuola d’arte di Comiso si sono passati il testimone, correndo in minor tempo, con l’obbiettivo di superare le ingenuità accademiche intrinseche alle loro doti naturali. Il maestro che hanno avuto, Salvo Barone, li ha sostenuti nella ricerca del proprio originale segno. Il clima del confronto, all’orizzonte tra cielo e terra, tra il mare e l’altipiano ibleo, già era proficuamente avviato, sul finire degli anni Ottanta, quando un certo gruppo d’artisti affermati sceglieva di venire a meditare tra la spiaggia di Sampieri e la campagna di Scicli e Modica. E qualcun’altro nelle vicinanze li emulava costituendo virtuali sodalizi d’arte. A Comiso, per esempio, si incontrano crescendo nel raffronto gli artisti Giovanni La Cognata e Giuseppe Cassibba, di ritorno entrambi da Milano, e Salvo Barone, proveniente dalla rossa Bologna. Nel corso del tempo si aggiungeranno Salvo Caruso, Luigi Rabbito e altri. La condizione che li teneva vicini era il tema affrontato: il paesaggio oppure il ritratto. Giovanni La Cognata, che in questo eccelle, vent’anni dopo, per ritornare ai giovani Romano e Difranco, è stato una loro spina nel fianco, un loro cruccio formale, non accettando per una sfrontata giovanile ambizione le origini da cui provengono. Oggi, ci si vuole liberare troppo in fretta dalle familiarità, dalle ascendenze estetiche, necessarie talvolta, al miglioramento del proprio cammino artistico. Il rischio è quello di percorrere, all’insegna delle mode, una strada troppo facile nell’arte contemporanea. Sarebbe più opportuno, nella ricerca di una nuova estetica o nel superare un equilibrio formale, poter dichiarare le proprie vicine radici, senza andare a ritroso, fino alla notte dei tempi. Senza temere, per questo, di poter cogliere, nel futuro dell’arte, un salutare guizzo imprevisto, donatoci da un giovane artista di periferia. Romano adesso corre più velocemente e lasciamolo correre da solo. Temo però che qualcuno voglia imbrigliarlo se gli si volesse attribuire una qualche influenza formale perfino sull’attuale ricerca del suo amico Difranco. È naturale che due coetanei si guardino negli impianti iconografici e possono influenzarsi a vicenda, specialmente se hanno avuto gli stessi punti di riferimento. Salvatore Difranco, ebbene, forse anche consapevolmente, ha scelto di esordire con dei disegni, sicuro di sbalordire per le qualità formali raggiunte. Il suo paesaggio ci appare insolito, l’astrazione grafica che prevale tra le linee di una precisa geografia ci fa vivere una sensazione di smarrimento, alla sua reale identificazione nello stesso istante viene sovrapposta una irreale quanto estranea rintracciabilità dei soggetti descritti. Qualcosa di più universale, che sottende alla singolare raffigurazione di un segno riconosciuto all’orizzonte, di un albero di carrubo, di un campo di grano, di una trazzera siciliana, si avverte, sembrano per l’appunto assottigliarsi, le sembianze univoche tra il nostro paesaggio mediterraneo e uno qualsiasi del Nord Europa. Si rimane stupiti con una sensazione di malinconica via al sublime che Difranco ci ha saputo restituire, tracciando, in punta di matita, le carte incurvate distese solo dalla gravità del segno stesso. Un gesto grafico originale, un uso prolungato della matita, che sembra ricorrere a qualcosa che assomiglia alla materia di una lastra incisa e che naturalmente sembra quasi imprimersi sul foglio, rimandando a una certa grafica sperimentata dal giovane Piero Guccione. Le figure di Salvatore Difranco compaiono al di fuori di un contesto socio-ambientale, fermati in ritratti quasi atemporali ci raccontano le anomalie, le difformità di vecchi e barboni, una pletora irregolare di umanità varia si assottiglia sempre di più fino a consegnarsi al filo di un gesto della matita, anche quando, talvolta, la corposità della materia potrebbe smentirlo. In verità il disegno di Salvatore in alcuni casi acuisce fittamente i tratti del nero per far filtrare una luce gelida e a tratti bianchissima, più universalmente astratta, incapace di ritornare a chi la guarda realisticamente. Ci sono momenti in cui nei disegni dei paesaggi si potrebbe intravedere quasi una metafora della luce, un’atmosfera ossimorica talmente tagliente e ovattata, nello stesso tempo, che sembra anticiparci o dirci che debba avvenire qualcosa d’irreparabile, l’arrivo imminente di un inverno morale per l’umanità. Oppure tutto è avvenuto e Difranco che porta un cognome da operaio ha saputo naturalmente sfruttare le sue doti manuali al disegno, sforzandosi solo di trovare una presunta originalità voluta dagli altri. E forse è solo una proiezione allucinata di uno stato d’animo di chi guardando alle sue straordinarie opere vuole attribuirgli una voce disperante che non gli somiglia per niente. Il carattere testardo, volitivo, pronto ad ingaggiare una lotta con la materia trattata viene smentito dalla sua sensibilità e puntigliosa delicatezza, la pazienza che lo porta sicuramente, da buon lavoratore, tutti i santi giorni, a trasformarla in forma creativa, con l’ottimismo della volontà e il pessimismo dell’intelligenza tanto cari alla classe operaia, la stessa che, tra il secolo breve e il terzo millennio, è andata in paradiso. E così Salvatore Difranco con la costanza di cui è dotato sta riservandosi un posto sicuro nell’arte sempre che riusciamo a sopravvivere alle contraddizioni ineluttabili del tempo e delle cose eterne. Per adesso godiamoci pure di quello che ci hanno restituito le mani e il cuore di un giovane artista: di un foglio di carta salvato ancora da una cornice.
Salvatore Schembari
Biografia
Salvatore Difranco nato il 17 aprile del 1988 a Comiso, dove vive e opera. Egli da subito ha manifestato una forte propensione per il disegno. Ha compiuto gli studi presso l’Istituto Statale d’Arte della sua città e attualmente sta frequentando l’Accademia di Belle Arti a Ragusa. Recentemente ha partecipato a diversi concorsi nazionali ed internazionali vincendo alcuni primi premi, tra cui il Premio Arte 2009 a cura della rivista “Arte” Mondadori e Premio Internazionale Biennale d’Arte
di Asolo.
IL SOLCO LASCIATO DALLA MATITA
Prima Fabio Romano e adesso Salvatore Difranco, entrambi del 1988, hanno debuttato, nel panorama artistico ibleo, molto giovani e con carattere. Cresciuti nella scuola d’arte di Comiso si sono passati il testimone, correndo in minor tempo, con l’obbiettivo di superare le ingenuità accademiche intrinseche alle loro doti naturali. Il maestro che hanno avuto, Salvo Barone, li ha sostenuti nella ricerca del proprio originale segno. Il clima del confronto, all’orizzonte tra cielo e terra, tra il mare e l’altipiano ibleo, già era proficuamente avviato, sul finire degli anni Ottanta, quando un certo gruppo d’artisti affermati sceglieva di venire a meditare tra la spiaggia di Sampieri e la campagna di Scicli e Modica. E qualcun’altro nelle vicinanze li emulava costituendo virtuali sodalizi d’arte. A Comiso, per esempio, si incontrano crescendo nel raffronto gli artisti Giovanni La Cognata e Giuseppe Cassibba, di ritorno entrambi da Milano, e Salvo Barone, proveniente dalla rossa Bologna. Nel corso del tempo si aggiungeranno Salvo Caruso, Luigi Rabbito e altri. La condizione che li teneva vicini era il tema affrontato: il paesaggio oppure il ritratto. Giovanni La Cognata, che in questo eccelle, vent’anni dopo, per ritornare ai giovani Romano e Difranco, è stato una loro spina nel fianco, un loro cruccio formale, non accettando per una sfrontata giovanile ambizione le origini da cui provengono. Oggi, ci si vuole liberare troppo in fretta dalle familiarità, dalle ascendenze estetiche, necessarie talvolta, al miglioramento del proprio cammino artistico. Il rischio è quello di percorrere, all’insegna delle mode, una strada troppo facile nell’arte contemporanea. Sarebbe più opportuno, nella ricerca di una nuova estetica o nel superare un equilibrio formale, poter dichiarare le proprie vicine radici, senza andare a ritroso, fino alla notte dei tempi. Senza temere, per questo, di poter cogliere, nel futuro dell’arte, un salutare guizzo imprevisto, donatoci da un giovane artista di periferia. Romano adesso corre più velocemente e lasciamolo correre da solo. Temo però che qualcuno voglia imbrigliarlo se gli si volesse attribuire una qualche influenza formale perfino sull’attuale ricerca del suo amico Difranco. È naturale che due coetanei si guardino negli impianti iconografici e possono influenzarsi a vicenda, specialmente se hanno avuto gli stessi punti di riferimento. Salvatore Difranco, ebbene, forse anche consapevolmente, ha scelto di esordire con dei disegni, sicuro di sbalordire per le qualità formali raggiunte. Il suo paesaggio ci appare insolito, l’astrazione grafica che prevale tra le linee di una precisa geografia ci fa vivere una sensazione di smarrimento, alla sua reale identificazione nello stesso istante viene sovrapposta una irreale quanto estranea rintracciabilità dei soggetti descritti. Qualcosa di più universale, che sottende alla singolare raffigurazione di un segno riconosciuto all’orizzonte, di un albero di carrubo, di un campo di grano, di una trazzera siciliana, si avverte, sembrano per l’appunto assottigliarsi, le sembianze univoche tra il nostro paesaggio mediterraneo e uno qualsiasi del Nord Europa. Si rimane stupiti con una sensazione di malinconica via al sublime che Difranco ci ha saputo restituire, tracciando, in punta di matita, le carte incurvate distese solo dalla gravità del segno stesso. Un gesto grafico originale, un uso prolungato della matita, che sembra ricorrere a qualcosa che assomiglia alla materia di una lastra incisa e che naturalmente sembra quasi imprimersi sul foglio, rimandando a una certa grafica sperimentata dal giovane Piero Guccione. Le figure di Salvatore Difranco compaiono al di fuori di un contesto socio-ambientale, fermati in ritratti quasi atemporali ci raccontano le anomalie, le difformità di vecchi e barboni, una pletora irregolare di umanità varia si assottiglia sempre di più fino a consegnarsi al filo di un gesto della matita, anche quando, talvolta, la corposità della materia potrebbe smentirlo. In verità il disegno di Salvatore in alcuni casi acuisce fittamente i tratti del nero per far filtrare una luce gelida e a tratti bianchissima, più universalmente astratta, incapace di ritornare a chi la guarda realisticamente. Ci sono momenti in cui nei disegni dei paesaggi si potrebbe intravedere quasi una metafora della luce, un’atmosfera ossimorica talmente tagliente e ovattata, nello stesso tempo, che sembra anticiparci o dirci che debba avvenire qualcosa d’irreparabile, l’arrivo imminente di un inverno morale per l’umanità. Oppure tutto è avvenuto e Difranco che porta un cognome da operaio ha saputo naturalmente sfruttare le sue doti manuali al disegno, sforzandosi solo di trovare una presunta originalità voluta dagli altri. E forse è solo una proiezione allucinata di uno stato d’animo di chi guardando alle sue straordinarie opere vuole attribuirgli una voce disperante che non gli somiglia per niente. Il carattere testardo, volitivo, pronto ad ingaggiare una lotta con la materia trattata viene smentito dalla sua sensibilità e puntigliosa delicatezza, la pazienza che lo porta sicuramente, da buon lavoratore, tutti i santi giorni, a trasformarla in forma creativa, con l’ottimismo della volontà e il pessimismo dell’intelligenza tanto cari alla classe operaia, la stessa che, tra il secolo breve e il terzo millennio, è andata in paradiso. E così Salvatore Difranco con la costanza di cui è dotato sta riservandosi un posto sicuro nell’arte sempre che riusciamo a sopravvivere alle contraddizioni ineluttabili del tempo e delle cose eterne. Per adesso godiamoci pure di quello che ci hanno restituito le mani e il cuore di un giovane artista: di un foglio di carta salvato ancora da una cornice.
Salvatore Schembari
Biografia
Salvatore Difranco nato il 17 aprile del 1988 a Comiso, dove vive e opera. Egli da subito ha manifestato una forte propensione per il disegno. Ha compiuto gli studi presso l’Istituto Statale d’Arte della sua città e attualmente sta frequentando l’Accademia di Belle Arti a Ragusa. Recentemente ha partecipato a diversi concorsi nazionali ed internazionali vincendo alcuni primi premi, tra cui il Premio Arte 2009 a cura della rivista “Arte” Mondadori e Premio Internazionale Biennale d’Arte
di Asolo.
20
novembre 2010
Salvatore Difranco – In bianco e nero
Dal 20 novembre all'otto dicembre 2010
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEGLI ARCHI
Comiso, Via E. Calogero, 22, (Ragusa)
Comiso, Via E. Calogero, 22, (Ragusa)
Orario di apertura
da martedi a domenica 17-21.Fuori orario su appuntamento.
Vernissage
20 Novembre 2010, ore 20,00
Autore
Curatore