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Salvatore Zito – Pain had no Stick
La MEB Arte Studio dedica l’ultima mostra dell’anno all’artista torinese Salvatore Zito, con una personale nella quale sono raccolti gli ultimi lavori realizzati dall’artista tra il 2017 ed il 2018, e che affrontano la tematica degli Stick.
Comunicato stampa
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La MEB Arte Studio,dedica l'ultima mostra dell'anno all'artista torinese Salvatore Zito, con una personale nella quale sono raccolti gli ultimi lavori realizzati dall'artista tra il 2017 ed il 2018, e che affrontano la tematica degli Stick.
PAIN HAD NO STICK
Federica Maria Giallombardo
Scrive Keats nella sua Ode on Indolence: «Pain had no sting, and pleasure’s wreath no flower» («Non piccava il male, e la ghirlanda del piacere non aveva fiore»). È un pensiero, in profondità, portatore della passività del patire, idea fraintesa ma fondamentale alla creazione. L’indolenza per Keats consiste nell’approssimarsi all’estasi; nell’esporsi al di fuori dell’essere; nel passaggio da mondo esteriore – mondo del materiale, del visibile – a mondo interiore. Ma quest’ultimo passaggio, una volta compiuto, rende l’oggetto d’arte sortito in una realtà priva di uno spazio sensibile e concreto: le forme e le figure del mondo non esternano la realtà empirica e fisica, ma conservano – autentica spissitudo del mondo delle immagini – una «materialità immateriale». Su tale concezione letteraria si interroga Salvatore Zito (Crotone, 1960), che partendo dal concetto di indolenza del poeta inglese raggiunge un punto di sospensione tra l’esperienza e l’essenza; tra brillante ironia e ponderazione votiva; tra mimesi di ciò che l’oggetto è e di ciò che si ripete altrove.
L’apparizione del soggetto pittorico, nelle opere di Zito, è insieme grazia, ricompensa, gioco: un’elusione che cela disciplina – è sempre Keats che guida il tratto poetico del pittore, quando definisce i suoi versi «disciplina dell’Immaginazione» – e capacità naturali; una presenza che prima percepisce i potenziali evocati dei contesti più mondani e quotidiani e poi li rielabora in simboli, dettagli, ombre e colori. Poco importa se il soggetto, al primo sguardo, pare una mera serialità del significante: all’artista interessa la sublimazione; la fedeltà all’esperienza visionaria; la testimonianza di una conoscenza superiore, impossibile da assolvere senza una selezione – e sezione – del reale. Perciò le opere di Zito figurano nella ripetizione, ma comunicano nell’ordinata gerarchia di universi straordinari: la loro indolenza è, allora, un ordine simbolico su cui fare perno senza dovere di referenzialità. Non a caso la forma che domina le opere – il gelato “da passeggio”: oggetto semplice, dilettevole, replicabile nell’esperienza comune, dalla sagoma facilmente modellabile e dalla presenza apparentemente innocua – riconnette l’operatività percettiva pura a strategie psichiche di piacere e conoscenza. L’immagine è osservata, descritta e valutata all’interno di emblemi; il suo senso consiste nella modalità particolare di manifestazione di un oggetto replicabile, divisibile, ancorato alla concretezza. L’esperienza straordinaria comincia quando tale immagine tramuta in visioni ed eventi simbolici gli stati spirituali interiori: l’artista, come l’osservatore, viene per un attimo escluso dall’esperienza ordinaria, deponendo la sovranità dell’Io, lasciando fluire il soggetto all’infinito – rimane escluso cioè dal proprio compimento. Ecco perché il termine pain (“dolore”, “castigo”) prosegue all’unisono con il senso salvifico e rasserenante dell’arte: la fitta provocata dal tentativo di totalizzazione, di sintesi universale della forma, viene riversata in un unico punto, in un pensiero che teme di essere assoluto (su tela, su carta o scolpito) e che a volte lascia addirittura un’ombra dietro di sé (il doppio perturbante di cui Keats coglie l’egotismo) e si risana grazie all’umana accoglienza del contenuto che ancora non si conosce, sostenendo un incontro con l’Altro.
Il pensiero di Zito è la figura animata della critica alla totalità. È originale nella banalizzazione; crudele nella festosità. Non rinuncia a una nota di perplessità e minacciosità, come si nota dai soggetti contenuti nella sagoma del gelato che ne sfigurano l'ingenuità (spine di rose e di cactus, aculei, grattugie, dentini); ma riesce ogni volta, con sapiente tecnica e riflessione, a risolversi e a ingentilirsi. Per riassumere, è una rosa sotto teca che rivendica la sua agguerrita vanità – ovvero la vibrante tensione che solo la poesia può donare.
PAIN HAD NO STICK
Federica Maria Giallombardo
Scrive Keats nella sua Ode on Indolence: «Pain had no sting, and pleasure’s wreath no flower» («Non piccava il male, e la ghirlanda del piacere non aveva fiore»). È un pensiero, in profondità, portatore della passività del patire, idea fraintesa ma fondamentale alla creazione. L’indolenza per Keats consiste nell’approssimarsi all’estasi; nell’esporsi al di fuori dell’essere; nel passaggio da mondo esteriore – mondo del materiale, del visibile – a mondo interiore. Ma quest’ultimo passaggio, una volta compiuto, rende l’oggetto d’arte sortito in una realtà priva di uno spazio sensibile e concreto: le forme e le figure del mondo non esternano la realtà empirica e fisica, ma conservano – autentica spissitudo del mondo delle immagini – una «materialità immateriale». Su tale concezione letteraria si interroga Salvatore Zito (Crotone, 1960), che partendo dal concetto di indolenza del poeta inglese raggiunge un punto di sospensione tra l’esperienza e l’essenza; tra brillante ironia e ponderazione votiva; tra mimesi di ciò che l’oggetto è e di ciò che si ripete altrove.
L’apparizione del soggetto pittorico, nelle opere di Zito, è insieme grazia, ricompensa, gioco: un’elusione che cela disciplina – è sempre Keats che guida il tratto poetico del pittore, quando definisce i suoi versi «disciplina dell’Immaginazione» – e capacità naturali; una presenza che prima percepisce i potenziali evocati dei contesti più mondani e quotidiani e poi li rielabora in simboli, dettagli, ombre e colori. Poco importa se il soggetto, al primo sguardo, pare una mera serialità del significante: all’artista interessa la sublimazione; la fedeltà all’esperienza visionaria; la testimonianza di una conoscenza superiore, impossibile da assolvere senza una selezione – e sezione – del reale. Perciò le opere di Zito figurano nella ripetizione, ma comunicano nell’ordinata gerarchia di universi straordinari: la loro indolenza è, allora, un ordine simbolico su cui fare perno senza dovere di referenzialità. Non a caso la forma che domina le opere – il gelato “da passeggio”: oggetto semplice, dilettevole, replicabile nell’esperienza comune, dalla sagoma facilmente modellabile e dalla presenza apparentemente innocua – riconnette l’operatività percettiva pura a strategie psichiche di piacere e conoscenza. L’immagine è osservata, descritta e valutata all’interno di emblemi; il suo senso consiste nella modalità particolare di manifestazione di un oggetto replicabile, divisibile, ancorato alla concretezza. L’esperienza straordinaria comincia quando tale immagine tramuta in visioni ed eventi simbolici gli stati spirituali interiori: l’artista, come l’osservatore, viene per un attimo escluso dall’esperienza ordinaria, deponendo la sovranità dell’Io, lasciando fluire il soggetto all’infinito – rimane escluso cioè dal proprio compimento. Ecco perché il termine pain (“dolore”, “castigo”) prosegue all’unisono con il senso salvifico e rasserenante dell’arte: la fitta provocata dal tentativo di totalizzazione, di sintesi universale della forma, viene riversata in un unico punto, in un pensiero che teme di essere assoluto (su tela, su carta o scolpito) e che a volte lascia addirittura un’ombra dietro di sé (il doppio perturbante di cui Keats coglie l’egotismo) e si risana grazie all’umana accoglienza del contenuto che ancora non si conosce, sostenendo un incontro con l’Altro.
Il pensiero di Zito è la figura animata della critica alla totalità. È originale nella banalizzazione; crudele nella festosità. Non rinuncia a una nota di perplessità e minacciosità, come si nota dai soggetti contenuti nella sagoma del gelato che ne sfigurano l'ingenuità (spine di rose e di cactus, aculei, grattugie, dentini); ma riesce ogni volta, con sapiente tecnica e riflessione, a risolversi e a ingentilirsi. Per riassumere, è una rosa sotto teca che rivendica la sua agguerrita vanità – ovvero la vibrante tensione che solo la poesia può donare.
24
novembre 2018
Salvatore Zito – Pain had no Stick
Dal 24 novembre 2018 al 12 gennaio 2019
arte contemporanea
Location
MEB ARTE STUDIO
Borgomanero, Via San Giovanni, 26, (Novara)
Borgomanero, Via San Giovanni, 26, (Novara)
Orario di apertura
sabato 10-12.30 e 15-19
Vernissage
24 Novembre 2018, h 18
Autore
Curatore