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Salvo Seria – Melanconia del Mito
Salvo Seria si presenta con una serie di opere dedicate al Mito, realizzate con attenta tecnica pittorica e una consapevole dedizione al disegno.
Comunicato stampa
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Guardare indietro nel tempo è un istinto a cui l’uomo difficilmente si sottrae. Un modo per mantenere viva la memoria su noi stessi, nella consapevolezza che le conquiste del passato siano insegnamenti per il presente. Questo fondamento pervade la pittura di Salvo Seria, non solo per l’evidente ricorso a tecniche tradizionali, ma anche per il legame con le tematiche del Mito. Una scelta che non sorprende, se la si legge in virtù di una cultura penetrata nel DNA dell’artista fin dalla più tenera età, date le sue origini siciliane e un percorso di studio basato sull’acquisizione sistematica della più alta tradizione artistica mediterranea.
Oggi Salvo Seria si presenta con una serie di opere dedicate proprio al Mito, realizzate con attenta tecnica pittorica e una consapevole dedizione al disegno. Un modo di porsi anacronistico, sebbene la post-modernità abbia da tempo sdoganato anche questa pratica annettendo al “sistema dell’arte” alcuni autori che, programmaticamente, si sono riallacciati alla tradizione con tematiche direttamente tratte dalla classicità (nel 1984 Maurizio Calvesi presentò alla Biennale di Venezia il gruppo degli Anacronisti, fra essi alcuni nomi di spicco come Carlo Maria Mariani, Stefano Di Stasio, Omar Galliani, Paola Gandolfi) ed è in questo filone che il catanese Salvo Seria si inserisce. E non è mai troppo tardi per tornare sulla classicità, visto che la storia è ricca di questi ricorsi, quasi sempre avvenuti a fronte di momenti difficili. Per una veloce e affatto esaustiva intrusione negli esempi passati, basterà ricordare le esperienze simboliste di Arnold Böcklin, Gustave Moreau, Odilon Redon e Pierre Puvis de Chavannes, protagonisti di una stagione dove la classicità riemergeva in contrapposizione ad un presente alienante. Stesso dicasi per gli anni del “ritorno all’ordine”, il cui terreno era stato già spianato dalla Metafisica di De Chirico per poi esplodere con forza nel 1916 come reazione allo sbandamento della guerra. Un vento di recupero del passato a cui non restò indifferente nemmeno Picasso, autore nei primi anni Venti di opere dal chiaro riferimento classicistico. E non si tratta solamente dell’epoca contemporanea perché una tale attenzione all’antico, con particolare interesse al mondo pagano, si era visto con grande enfasi nel corso del Cinquecento, quale reazione alle paure di una società scopertasi quanto mai insicura dopo il crollo delle certezze cristiane.
La melanconia di cui parla Salvo Seria è quindi da leggere come nostalgica riflessione sulle nostre radici, ma senza il carico depressivo e “melancolico” che rischierebbe di distoglierci troppo dalla delicata condizione a cui l’artista vuole condurci. Non si tratta infatti di scadere nell’enfasi tormentata di una nostalgia annichilente, ma raccontare con orgoglio le radici della cultura mediterranea, con la consapevolezza che negli ultimi tre millenni l’Occidente ha di volta in volta preso come modello le vicende immaginarie dei Miti, trasferendole nella contemporaneità vigente come monito o insegnamento per le nuove generazioni.
Ecco allora Kronos, il Dio che controlla il tempo, interpretato con occhi beffardi e spietati; Medusa, la gorgone il cui sguardo pietrifica chi ha la sventura di incrociarla; Eolo, che nel dipinto intitolato Dove va a morire il vento, viene narrato in un racconto simbolico dove il genere umano è travolto e soggiogato dalla sua forza. Miti che hanno attraversato i secoli capaci, ancora oggi, di insegnarci qualcosa, come l’immortale vicenda di Ulisse a cui Seria fa indirettamente riferimento attraverso uno dei soggetti meno trattati: il ciclope. Figura mitologica di primo piano (quasi sempre ricondotta a Polifemo, figlio di Poseidone Dio del mare e Toosa Dea delle correnti marine) è stata scarsamente sfruttata dagli artisti, fatta eccezione per Redon che in più di un’occasione dedicò ad esso dei lavori, a cui si unisce oggi blasonato Damien Hirst che nella recente mostra Treasures from the Wreck of the Unbelievable, presenta alcune teste scheletriche di ciclope alludendo a un mitico passato da svelare.
Nell’opera di Salvo Seria il ciclope emerge dall’ombra caravaggesca di raffinati disegni a matita, come anima suadente e dai connotati indefiniti. Una poesia tradotta nella delicatezza dei volti, crudi per natura, ma qui interpretati con una tenerezza introspettiva che ne esalta il tormento di esseri emarginati. A tale proposito va ricordato che per chi è nato in Sicilia il ciclope è prima di tutto il vulcano, ed è proprio su di esso che l’artista si sofferma quando con l’opera Stromboli interpreta l’isola come l’essere mitologico. Sono i racconti dei pescatori che vedendo le sciare lucenti di lava incandescente scendere nel mare, immaginavano l’occhio piangente del gigante accecato dall’astuzia di Ulisse.
Salvo Seria ci permette di tornare a questa dimensione mitica sulla quale abbiamo fondato la nostra storia e colpisce, ad esempio, l’interpretazione che offre del Giovanni Battista, trattato non con i consueti elementi dell’iconografia cristiana ma come figura ancestrale, quasi a sembrare anch’esso – data l’assenza dell’occhio – uno dei ciclopi: il volto emaciato e con la bocca semi aperta, la pelle cadente quasi a sembrare una barba, manifesta la tragica fine della sua vicenda. Salomè ha messo in atto la propria vendetta, non è la testa di un vivente, ma quella di un cadavere idealizzato nel suo sembrare una maschera funeraria.
Proprio l’assonanza con la maschera ci conduce verso l’opera Ellenismo, che per Seria possiede un profondo significato legandosi, nel titolo, a quello che egli considera il momento della storia che più di tutti rappresenta il bello assoluto. Ma a questo elemento così severo si accosta un oggetto apparentemente senza senso, come la molletta per stendere i panni. Qui emerge l’inclinazione di Seria ad una pittura che unisce la tradizione classica alla poetica metafisica dell’automatismo surrealista. La molletta è per lui simbolo dell’ingegno e non c’è da chiedersi perché si soffermi su questo piuttosto che altri oggetti, quel che conta è la considerazione dell’ingegno come bagaglio culturale derivato dalla lunga storia dell’uomo nell’alternarsi di cadute e riprese.
Si dipana in questo modo la lunga scia di elementi simbolici inseriti nei dipinti: dalla lucertola, che per esser libera deve rinunciare a qualcosa, al filo teso ma in procinto di spezzarsi, fino all’isola, rifugio e punto d’approdo, luogo di salvezza e spesso miraggio irraggiungibile. Una lunga serie di interrogativi che l’artista inserisce nel lavoro lasciando a ognuno il compito di scoprire il senso ultimo da dargli.
Andrea Baffoni
Oggi Salvo Seria si presenta con una serie di opere dedicate proprio al Mito, realizzate con attenta tecnica pittorica e una consapevole dedizione al disegno. Un modo di porsi anacronistico, sebbene la post-modernità abbia da tempo sdoganato anche questa pratica annettendo al “sistema dell’arte” alcuni autori che, programmaticamente, si sono riallacciati alla tradizione con tematiche direttamente tratte dalla classicità (nel 1984 Maurizio Calvesi presentò alla Biennale di Venezia il gruppo degli Anacronisti, fra essi alcuni nomi di spicco come Carlo Maria Mariani, Stefano Di Stasio, Omar Galliani, Paola Gandolfi) ed è in questo filone che il catanese Salvo Seria si inserisce. E non è mai troppo tardi per tornare sulla classicità, visto che la storia è ricca di questi ricorsi, quasi sempre avvenuti a fronte di momenti difficili. Per una veloce e affatto esaustiva intrusione negli esempi passati, basterà ricordare le esperienze simboliste di Arnold Böcklin, Gustave Moreau, Odilon Redon e Pierre Puvis de Chavannes, protagonisti di una stagione dove la classicità riemergeva in contrapposizione ad un presente alienante. Stesso dicasi per gli anni del “ritorno all’ordine”, il cui terreno era stato già spianato dalla Metafisica di De Chirico per poi esplodere con forza nel 1916 come reazione allo sbandamento della guerra. Un vento di recupero del passato a cui non restò indifferente nemmeno Picasso, autore nei primi anni Venti di opere dal chiaro riferimento classicistico. E non si tratta solamente dell’epoca contemporanea perché una tale attenzione all’antico, con particolare interesse al mondo pagano, si era visto con grande enfasi nel corso del Cinquecento, quale reazione alle paure di una società scopertasi quanto mai insicura dopo il crollo delle certezze cristiane.
La melanconia di cui parla Salvo Seria è quindi da leggere come nostalgica riflessione sulle nostre radici, ma senza il carico depressivo e “melancolico” che rischierebbe di distoglierci troppo dalla delicata condizione a cui l’artista vuole condurci. Non si tratta infatti di scadere nell’enfasi tormentata di una nostalgia annichilente, ma raccontare con orgoglio le radici della cultura mediterranea, con la consapevolezza che negli ultimi tre millenni l’Occidente ha di volta in volta preso come modello le vicende immaginarie dei Miti, trasferendole nella contemporaneità vigente come monito o insegnamento per le nuove generazioni.
Ecco allora Kronos, il Dio che controlla il tempo, interpretato con occhi beffardi e spietati; Medusa, la gorgone il cui sguardo pietrifica chi ha la sventura di incrociarla; Eolo, che nel dipinto intitolato Dove va a morire il vento, viene narrato in un racconto simbolico dove il genere umano è travolto e soggiogato dalla sua forza. Miti che hanno attraversato i secoli capaci, ancora oggi, di insegnarci qualcosa, come l’immortale vicenda di Ulisse a cui Seria fa indirettamente riferimento attraverso uno dei soggetti meno trattati: il ciclope. Figura mitologica di primo piano (quasi sempre ricondotta a Polifemo, figlio di Poseidone Dio del mare e Toosa Dea delle correnti marine) è stata scarsamente sfruttata dagli artisti, fatta eccezione per Redon che in più di un’occasione dedicò ad esso dei lavori, a cui si unisce oggi blasonato Damien Hirst che nella recente mostra Treasures from the Wreck of the Unbelievable, presenta alcune teste scheletriche di ciclope alludendo a un mitico passato da svelare.
Nell’opera di Salvo Seria il ciclope emerge dall’ombra caravaggesca di raffinati disegni a matita, come anima suadente e dai connotati indefiniti. Una poesia tradotta nella delicatezza dei volti, crudi per natura, ma qui interpretati con una tenerezza introspettiva che ne esalta il tormento di esseri emarginati. A tale proposito va ricordato che per chi è nato in Sicilia il ciclope è prima di tutto il vulcano, ed è proprio su di esso che l’artista si sofferma quando con l’opera Stromboli interpreta l’isola come l’essere mitologico. Sono i racconti dei pescatori che vedendo le sciare lucenti di lava incandescente scendere nel mare, immaginavano l’occhio piangente del gigante accecato dall’astuzia di Ulisse.
Salvo Seria ci permette di tornare a questa dimensione mitica sulla quale abbiamo fondato la nostra storia e colpisce, ad esempio, l’interpretazione che offre del Giovanni Battista, trattato non con i consueti elementi dell’iconografia cristiana ma come figura ancestrale, quasi a sembrare anch’esso – data l’assenza dell’occhio – uno dei ciclopi: il volto emaciato e con la bocca semi aperta, la pelle cadente quasi a sembrare una barba, manifesta la tragica fine della sua vicenda. Salomè ha messo in atto la propria vendetta, non è la testa di un vivente, ma quella di un cadavere idealizzato nel suo sembrare una maschera funeraria.
Proprio l’assonanza con la maschera ci conduce verso l’opera Ellenismo, che per Seria possiede un profondo significato legandosi, nel titolo, a quello che egli considera il momento della storia che più di tutti rappresenta il bello assoluto. Ma a questo elemento così severo si accosta un oggetto apparentemente senza senso, come la molletta per stendere i panni. Qui emerge l’inclinazione di Seria ad una pittura che unisce la tradizione classica alla poetica metafisica dell’automatismo surrealista. La molletta è per lui simbolo dell’ingegno e non c’è da chiedersi perché si soffermi su questo piuttosto che altri oggetti, quel che conta è la considerazione dell’ingegno come bagaglio culturale derivato dalla lunga storia dell’uomo nell’alternarsi di cadute e riprese.
Si dipana in questo modo la lunga scia di elementi simbolici inseriti nei dipinti: dalla lucertola, che per esser libera deve rinunciare a qualcosa, al filo teso ma in procinto di spezzarsi, fino all’isola, rifugio e punto d’approdo, luogo di salvezza e spesso miraggio irraggiungibile. Una lunga serie di interrogativi che l’artista inserisce nel lavoro lasciando a ognuno il compito di scoprire il senso ultimo da dargli.
Andrea Baffoni
03
giugno 2017
Salvo Seria – Melanconia del Mito
Dal 03 al 15 giugno 2017
arte contemporanea
Location
SPAZIO 121
Perugia, Via Armando Fedeli, 121, (Perugia)
Perugia, Via Armando Fedeli, 121, (Perugia)
Orario di apertura
da martedì a venerdì ore 15 - 19 e per appuntamento
Vernissage
3 Giugno 2017, h 18,00
Autore
Curatore