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Samuele Menin / Marta Pierobon – Il giorno chiaro del primo mese dell’estate dell’anno del cavallo d’acqua del terzo ciclo
La mostra, progetto a quattro mani di Samuele Menin e Marta Pierobon, a cura di Francesca Referza, è frutto di una serie di suggestioni legate alla Mongolia e alla leggendaria figura di Gengis Khan evocata dal titolo wertmulleriano della mostra, giorno della nascita dell’imperatore mongolo.
Comunicato stampa
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Il progetto a quattro mani presentato da Samuele Menin (Castellanza, Varese, 1978) e Marta Pierobon (Brescia, 1979) alla Warehouse di Teramo è frutto di una serie di suggestioni legate alla Mongolia ed alla figura mitica di Gengis Khan tanto che lo stesso titolo wertmulleriano fa riferimento al sovrano mongolo. Il giorno chiaro del primo mese dell'estate dell'anno del cavallo d'acqua del terzo ciclo è infatti la definizione evocativa della data di nascita di Gengis Khan. Gengis Khan è stato il fondatore dell’Impero mongolo (1167 ca – 1227). Alla morte del padre, visse in estrema miseria sotto la protezione della madre, sposatosi a 17 anni, intraprese la sua opera di unificazione delle popolazioni della Mongolia. Grazie al suo talento militare Gengis Khan riuscì a creare un immenso impero che alla sua morte si estendeva dal Caspio al Mar Cinese, dalla Persia alla Siberia meridionale. Ad aumentare il magnetismo che la sua figura esercita ancora oggi, contribuisce la leggenda che Gengis Khan sia stato sepolto in un luogo tuttora sconosciuto.
Per parlare del fascino stratificato della cultura nomade della Mongolia i due artisti sono partiti dalla yurta, la tipica tenda asiatica, ovvero la casa di molti popoli che, ancora oggi, nonostante l’urbanizzazione del XX secolo, la abitano da generazioni. La yurta ha una struttura circolare a forma di cupola, coperta da teli di feltro e con un lucernario nella parte superiore. Tuttavia, proprio come Il giorno chiaro del primo mese dell'estate dell'anno del cavallo d'acqua del terzo ciclo, è un titolo volutamente evocativo e non immediatamente riconducibile alla figura di Gengis Khan, così la tenda immaginata da Samuele Menin e da Marta Pierobon non è esattamente una yurta. La forma della struttura della tenda progettata dai due artisti è infatti derivata dalla decorazione di un tappeto mongolo. La pianta della tenda, a forma di diamante, inoltre, sembra suggerire il contenuto allo stesso tempo prezioso e luminescente dell’interno. Sulla superficie della tenda e sulle strutture collocate nell’ambiente semibuio, gli artisti proiettano diapositive con immagini che, come Fantasma mongolo (2010) di Samuele Menin, hanno l’aspetto di simulacri gelatinosi. All’interno della tenda – spiegano gli artisti – sono stati inseriti diversi oggetti, sia bidimensionali che tridimensionali mentre, all’esterno della tenda, su una parete della galleria abbiamo immaginato una serie di lavori bidimensionali realizzati a quattro mani. Tra le installazioni più scultoree di questo ambiente irreale c’è il Monumento Funebre di Gengis khan (2010) di Marta Pierobon, realizzato in legno e terra cruda dipinti a spray. Su una struttura di colore nero aperta dinamicamente nello spazio, l’artista ha collocato delle sculture in terra cruda dipinta d’oro. Pur non avendo una forma definita, queste sculture contengono dettagli riconoscibili come squame, piccole protuberanze e cavità organiche. Si tratta di enigmatici oggetti, la cui preziosità consiste nell’energia che promana dalla struttura funeraria nel suo complesso.
Durante la permanenza nell’ambiente buio e protetto della yurta la sensazione è che campi magnetici colleghino un oggetto all’altro, un’immagine all’altra, in una sorta di costellazione astrale, fatta di ombre tremolanti, che parlano di Gengis Khan ma anche di tante altre figure del passato personale e collettivo che appaiono in filigrana nella penombra di questa archeologia per immagini. L’unico presupposto - spiegano gli artisti - è la possibilità di aprirsi all’esperienza di questo ambiente mentale. L’atmosfera qui è quella di una ritualità antica, sepolcrale, resa viva dallo scambio generato dal dialogo confidente tra i due artisti.
Pur non avendo mai lavorato insieme prima, Samuele Menin e Marta Pierobon hanno stabilito un’intesa perfetta in cui il temperamento artistico dell’uno è stato mitigato da quello dell’altro e viceversa, come accade nell’incontro di acque di temperature diverse. Il risultato è intrigante nella misura in cui la collaborazione tra i due artisti è stata spontanea ed ha prodotto lavori caratterizzati dalla stratificazione. Una stratificazione sia materiale che semantica, che è il vero punto di contatto tra la pratica artistica di entrambi e il punto di forza di una mostra dagli esiti tanto insoliti quanto sorprendenti.
Samuele Menin (Castellanza, Varese, 1978) vive e lavora a Milano
Marta Pierobon (Brescia, 1979) vive e lavora tra Brescia e New York
Per parlare del fascino stratificato della cultura nomade della Mongolia i due artisti sono partiti dalla yurta, la tipica tenda asiatica, ovvero la casa di molti popoli che, ancora oggi, nonostante l’urbanizzazione del XX secolo, la abitano da generazioni. La yurta ha una struttura circolare a forma di cupola, coperta da teli di feltro e con un lucernario nella parte superiore. Tuttavia, proprio come Il giorno chiaro del primo mese dell'estate dell'anno del cavallo d'acqua del terzo ciclo, è un titolo volutamente evocativo e non immediatamente riconducibile alla figura di Gengis Khan, così la tenda immaginata da Samuele Menin e da Marta Pierobon non è esattamente una yurta. La forma della struttura della tenda progettata dai due artisti è infatti derivata dalla decorazione di un tappeto mongolo. La pianta della tenda, a forma di diamante, inoltre, sembra suggerire il contenuto allo stesso tempo prezioso e luminescente dell’interno. Sulla superficie della tenda e sulle strutture collocate nell’ambiente semibuio, gli artisti proiettano diapositive con immagini che, come Fantasma mongolo (2010) di Samuele Menin, hanno l’aspetto di simulacri gelatinosi. All’interno della tenda – spiegano gli artisti – sono stati inseriti diversi oggetti, sia bidimensionali che tridimensionali mentre, all’esterno della tenda, su una parete della galleria abbiamo immaginato una serie di lavori bidimensionali realizzati a quattro mani. Tra le installazioni più scultoree di questo ambiente irreale c’è il Monumento Funebre di Gengis khan (2010) di Marta Pierobon, realizzato in legno e terra cruda dipinti a spray. Su una struttura di colore nero aperta dinamicamente nello spazio, l’artista ha collocato delle sculture in terra cruda dipinta d’oro. Pur non avendo una forma definita, queste sculture contengono dettagli riconoscibili come squame, piccole protuberanze e cavità organiche. Si tratta di enigmatici oggetti, la cui preziosità consiste nell’energia che promana dalla struttura funeraria nel suo complesso.
Durante la permanenza nell’ambiente buio e protetto della yurta la sensazione è che campi magnetici colleghino un oggetto all’altro, un’immagine all’altra, in una sorta di costellazione astrale, fatta di ombre tremolanti, che parlano di Gengis Khan ma anche di tante altre figure del passato personale e collettivo che appaiono in filigrana nella penombra di questa archeologia per immagini. L’unico presupposto - spiegano gli artisti - è la possibilità di aprirsi all’esperienza di questo ambiente mentale. L’atmosfera qui è quella di una ritualità antica, sepolcrale, resa viva dallo scambio generato dal dialogo confidente tra i due artisti.
Pur non avendo mai lavorato insieme prima, Samuele Menin e Marta Pierobon hanno stabilito un’intesa perfetta in cui il temperamento artistico dell’uno è stato mitigato da quello dell’altro e viceversa, come accade nell’incontro di acque di temperature diverse. Il risultato è intrigante nella misura in cui la collaborazione tra i due artisti è stata spontanea ed ha prodotto lavori caratterizzati dalla stratificazione. Una stratificazione sia materiale che semantica, che è il vero punto di contatto tra la pratica artistica di entrambi e il punto di forza di una mostra dagli esiti tanto insoliti quanto sorprendenti.
Samuele Menin (Castellanza, Varese, 1978) vive e lavora a Milano
Marta Pierobon (Brescia, 1979) vive e lavora tra Brescia e New York
15
ottobre 2010
Samuele Menin / Marta Pierobon – Il giorno chiaro del primo mese dell’estate dell’anno del cavallo d’acqua del terzo ciclo
Dal 15 ottobre al 27 novembre 2010
arte contemporanea
Location
WAREHOUSE CONTEMPORARY ART
Teramo, Via Giulio C. Canzanese, 51, (Teramo)
Teramo, Via Giulio C. Canzanese, 51, (Teramo)
Orario di apertura
martedì e mercoledì ore 15.30-19.30
giovedì, venerdì e sabato ore 10.30-13.30 e 15.30-19.30
Vernissage
15 Ottobre 2010, ore 19
Autore
Curatore