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Sancho Silva
Per questa terza personale da pinksummer Sancho Silva adotterà un approccio differente, non si concentrerà sugli elementi strutturali inviluppanti e elusivi, bensì su quello che è al centro, vale a dire gli oggetti che interagiscono direttamente con il nostro quotidiano. Semplici oggetti industriali come uno scopa o una forchetta, ma anche oggetti astratti come un numero o un’opera d’arte. Progetti che potrebbero essere definiti oggetti-specifici.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Nei precedenti progetti da pinksummer, Sancho Silva si è concentrato su quelle che potrebbero essere definite strutture della percezione, sull'artificiosità delle differenti componenti che vanno a costituire la cornice spazio-temporale dentro la quale abitiamo e che ci forma come soggetti. In "Captor" (2003) considerò la galleria come se fosse una macchina per vedere e essere visti. In "Cyclopean Eye" (2007), Silva ha considerato nello specifico la città del Cairo e in generale l'idea di città intesa come dedalo infinito di traiettorie divergenti, dal centro alla periferia. Infine in "Satellite" (2007) ha focalizzato sulla mediazione tecnologica rispetto alle nostre mappe mentali di una città. Per questa terza personale da pinksummer Sancho Silva adotterà un approccio differente, non si concentrerà sugli elementi strutturali inviluppanti e elusivi, bensì su quello che è al centro, vale a dire gli oggetti che interagiscono direttamente con il nostro quotidiano. Semplici oggetti industriali come uno scopa o una forchetta, ma anche oggetti astratti come un numero o un'opera d'arte. Progetti che potrebbero essere definiti oggetti-specifici.
Focault nella prefazione di "Le parole e le cose" ha scritto che la sua archeologia del sapere nasce da un testo di Borges che altera la nostra pratica millenaria del medesimo e dell'altro. Borges in quel testo cita una certa enciclopedia cinese che classifica gli animali in: a) appartenenti all'imperatore b) addomesticati c) maialini da latte d) sirene e) favolosi f) cani in libertà g) inclusi nella precedente classificazione h) che si agitano follemente i) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello l) et caetera m) che fanno l'amore n) che da lontano sembrano mosche.
A proposito di questa riscoperta in chiave impossibile dell'ordinario, la mostra di Sancho Silva potrebbe essere riassunta nella domanda "quali sono i criteri per affermare che una data cosa sia?". I criteri di tale conoscenza sono sempre più adatti a determinare l'identità delle cose piuttosto che la loro esistenza, giacché l'esistenza non è un predicato. Sancho Silva tende a fornire una base per determinare se una cosa sia reale o un'allucinazione, una contraffazione o una proiezione. Di fronte a domande semplici circa gli oggetti che strutturano le nostre vite talvolta infatti ci si può trovare davanti a sorprese, il ready-made rispetto al processo estetico è una di quelle. C'è comunque dell'altro: normalmente lavoriamo con oggetti tipo un tavolo, un cucchiaio, un pomodoro, ma ad esempio nella filosofia indiana, abbiamo letto, ci si può anche imbattere in un bastone che in qualsiasi momento e all'improvviso può trasformarsi in serpente. La conoscenza dunque non è solo un problema di descrizione corretta, possiamo definire tavolo ad esempio un tavolo dipinto? La ratio classica con risvolti metafisici di fatto avrebbe considerato tavolo anche la sua immagine (oggetto generico?), l'epistemologia moderna è più portata a delimitare l'oggetto attraverso una funzione trasformandolo in oggetto specifico. In questa inchiesta sulla conoscenza e le sue trappole Sancho Silva giunge a identificare l'oggetto estetico con l' oggetto generico in quanto svincolato dall' approccio di tipo strumentale e in virtù di ciò giunge sillogisticamente a assimilare l'opera d'arte all'immondizia cioè una serie di oggetti decaduti rispetto all' idea di funzionalità. Guy Ben-Ner, ad esempio, nel suo film "I give it to you" risolse il problema analitico dell'oggetto estetico generico riassemblandolo in forma funzionale: "Testa di Toro" di Picasso, una scultura di Tinguely, la “Ruota di bicicletta” di Duchamp, diventarono una bicicletta da regalare ai suoi bambini per scorazzare nella città di Munster.
Per presentare o presentificare gli oggetti Sancho Silva ha pensato a un allestimento in galleria di tipo archeologico, disposizione che di fatto non cambia la sostanza degli oggetti in sé nel senso che una scopa rimane una scopa, trasforma piuttosto il modo di offrire tali oggetti alla conoscenza. Crediamo che tutto questo abbia sfumature di carattere fortemente politico.
A questa introduzione di pinksummer segue il testo dell'artista.
Considerazioni su Funzioni e Oggetti
Parlare di oggetti significa sempre parlare di limiti. C’è bisogno di un criterio per decidere se due dati oggetti siano effettivamente la medesima cosa. Ma, in prima istanza, per prendere in esame un oggetto, bisogna prima delimitare, o prendere una posizione.
Gli oggetti non sono scope, mele, pianeti, ma piuttosto particolari scope, mele e pianeti. Sfuggono sempre dal loro involucro concettuale, lasciando un residuo.
Nell’industria capitalistica degli oggetti la società gerarchica che li produce brilla come un cristallo.
Il primo asservimento di un oggetto a una funzione ha origine con l’attribuzione a questo oggetto di un predicato P(). L’oggetto funziona poi come una rappresentazione di P().
Gli oggetti funzionali sono necessariamente disciplinari, ci istruiscono sempre su una coreografia gestuale.
Gli oggetti possono essere presentati ancora, o ri-presentati. Come tali essi negano lo spazio-tempo. Un oggetto a è sempre in realtà una serie di oggetti a1, a2… in differenti situazioni spazio-temporali s1, s2… Essi servono a identificare o a correlare diversi punti nello spazio-tempo e quindi stanno alla struttura della memoria e dell’orientamento. Abolire l’oggetto è in questo senso sperimentare la liberazione dello spazio-tempo, sperimentarlo crudo.
Consideriamo la costruzione F(x) dove F() denota una funzione o un concetto e x denota un oggetto arbitrario al quale la funzione viene applicata. Se lo spazio-tempo è inteso come una specie di matrice per gli oggetti che esistono al suo interno, allora potremmo descrivere lo spazio-tempo come una funzione ST() che è applicata agli oggetti all’interno del suo dominio. Iniziando con un oggetto a, per mezzo della funzione ST(), arriviamo a un nuovo oggetto trasformato b che è l’immagine di a sotto la funzione ST(). In questo modo, per esempio, all’imputato a è applicata una sentenza di reclusione J(), risultando in una nuova persona traumatizzata J(a)=b.
Tradizionalmente noi pensiamo che le funzioni rimangano le stesse mentre gli oggetti ai quali vengono applicate cambino. Ma non potrebbe essere anche il contrario? Non avrebbe più senso immaginare che, mentre vengono applicate agli oggetti, o a una serie di oggetti, anche le funzioni cambino, che gli oggetti trasformino la funzione alla stessa maniera in cui la funzione trasforma gli oggetti? Questo potrebbe significare, per esempio, che, quando usiamo un particolare straccio per pulire il pavimento non è solo il pavimento che cambia, ma anche la funzione dello straccio. O, nel caso del prigioniero, che nel corso di scontare la sua pena J(), la funzione-pena stessa cambia, risultando in una nuova funzione-galera Ja()=a(J()).
Gli oggetti abitualmente indicano funzioni: sono normalmente identificati come strumenti. Nel processo di riferimento agli oggetti spesso usiamo una funzione alla quale li associamo, per esempio, quando indichiamo un oggetto dicendo “quel cucchiaio”. Questo significa che gli oggetti sono spesso costruzioni della forma S(a), dove S(), si riferisce a una funzione che si suppone venga eseguita da un sub-oggetto a dell’oggetto originale. Spesso questo sub-oggetto può poi esso stesso essere ulteriormente analizzato in una nuova costruzione della forma a=Q(b), dove b è un sub-oggetto di a. Applicando ripetutamente questa procedura agli oggetti percepiti si arriva a quello che potremmo chiamare un oggetto estetico generico. Così, per esempio, un particolare cucchiaio di legno s può essere analizzato come un costrutto della forma
t = Spoon (Wood(…(x)…))
dove x è un oggetto estetico generico che noi rivestiamo con questi attributi.
Gli oggetti estetici generici sono entità paradossali transitorie. In quanto oggetti estetici devono avere una collocazione, una forma, una misura, un colore, eccetera. Ma ancora non possono essere considerati come rappresentazioni di nessuno di questi attributi. Essi non hanno funzioni. Questo significa che se x è un oggetto estetico generico, non possiamo creare asserzioni riguardo la forma Blu(x), o “x è Blu”, perché per quanto x possa essere benissimo inteso come blu (o essere inteso come un secchio blu per quello che importa) nel momento in cui lo assumiamo come predicato lo trasformiamo nel nuovo complesso oggetto percepito y = Blu(x).
Definiamo ora la funzione estetica centrale A() come la funzione che, se applicata ad un oggetto percepito k = F1(… Fn(x)…), risulta nel suo oggetto estetico generico x:
A(k) = A(F1(…Fn(x)…)) = x
I musei applicano la funzione estetica centrale sugli oggetti che espongono al loro interno, spostando in questo modo i componenti funzionali di questi oggetti sullo sfondo. Questo spostamento è tuttavia solo temporaneo, perchè i musei fanno presto a coprire gli indecenti oggetti esposti con la loro veste ufficiale di classe, valore e significato. I musei sono luoghi di rappresentazione e gli oggetti esposti al loro interno sono sempre usati funzionalmente per rappresentare una scuola, un concetto, una trascendenza…
L’oggetto estetico generico non può essere delimitato dal “retinale”. In esso siamo di fronte alla sospensione dell’approccio strumentale. Al di là di esso si raggiunge il magma indifferenziato della percezione. L’oggetto estetico generico vive nel punto di incontro tra questo magma e la memoria. Sul suo volto si sperimenta l’ansietà della dimenticanza.
Spostando un oggetto si indebolisce la sua funzionalità. Gli oggetti fuori posto catturano l’occhio. La loro modalità di relazione è il puzzle.
Tagliando un oggetto come un geologo si scoprono i suoi strati. Come le prugne, gli oggetti hanno semi, ossa e scheletri, ma non sostanza. Raggiungendo il livello astratto dello scheletro si ottiene un calcolo di possibilità.
I frammenti di oggetti industriali buttati via testimoniamo la decomposizione dell’approccio strumentale. Sporchi, deformati, i pezzi di rifiuti frantumati non possiedono più la dignità o la capacità di rappresentare granché. Nel decadimento dell’immondizia in una sostanza amorfa, si intravedono le ombre degli oggetti estetici generici. Implicita nella funzione-immondizia giace la funzione estetica centrale.
La mostra sarà visitabile fino al 10 Dicembre 2009, dal martedì al sabato, 15.00-19.30.
Pinksummer
Palazzo Ducale-Cortile Maggiore
Piazza Matteotti 28R
16123 Genova
T/F +39.010.2543762
www.pinksummer.com
info@pinksummer.com
SANCHO SILVA
Opening Friday October 23, 2009 6.30 pm
Press Release
In his previous projects at pinksummer, Sancho Silva focused on what can be generally called the constructed structures of perception, of the artificiality of different components of the space-time framework that we inhabit and that constructs us as subjects. In “Captor” (2003), he focused on the gallery as a machine of seeing and being seen. In “Cyclopean Eye” (2007) he focused on the city as a maze of infinite divergent trajectories, from the center to the outer limits. And, in “Satellite” (2007), he focused on the technological mediation of our mental maps of a city as a consistent whole. In this third solo show, Sancho Silva will adopt a different approach, rather than focus on elements that are structural and therefore enveloping and elusive, he will focus on what lies right at the center: objects we interact with in our daily lives, simple industrial objects like a broom and a fork, but also abstract objects like a number and perhaps also an art object. Projects that could be perhaps called object-specific.
Foucalt, in his introduction to “The Order of Things” wrote that his archaeology of knowledge comes from a text written by Borges that alters our millenary practice of the same an the other. Borges, in that text, mentions a certain Chinese encyclopaedia that classifies animals in: a) belonging to the Emperor b) domesticated c) sucking pigs d) sirens e) fabulous d) free dogs g) included in the previous classification h) that madly agitate themselves i) drawn with a very fine brush of camel bristles l) et cetera m) that make love n) that look like flies from far away.
Regarding this rediscovery of the ordinary seen under an impossible key, the show of Sancho Silva could be summarized in the question “which are the rules to affirm that a given object is?”.
The rules of this knowledge are always more suitable to determine the identity of things rather than their existence, since existence is not a predicate. Sancho Silva tends to give a basis to determine whether a thing is real or a hallucination, a fake or an image. In front of simple questions about the objects that structure our lives, sometimes we face surprises; ready-made, as to aesthetic process, is one of those. But there is something worse: usually we work with objects like a table, a spoon, a tomato, but, for example in Indian philosophy, we read, you can encounter a stick that suddenly, in every moment, can become a snake. Knowledge is then not only a question of right description, can we for example define a table a painted table? Classic ratio with metaphysical implications would for sure consider to be a table also its image (generic object?), modern epistemology tends instead to define an object through a function, transforming it into a specific object. In this survey about knowledge and its traps, Sancho Silva comes to identify the aesthetic object with the generic object because free from any instrumental approach, and, thus, he syllogistically assimilates the artwork with garbage, so with a series of objects where the idea of functionality is deceased. Guy Ben-Ner, for example, in his video “I’d give it to you”, solved the analytical problem of the unqualified aesthetic object reassembling it into a functional form: “Bull Head” by Picasso, a sculpture by Tinguely, Duchamp’s “Bicycle Wheel”, became a bike he gave his children to bike around the city of Munster.
To present or make objects present, Sancho Silva has thought of an archaeological setting inside the gallery, an arrangement that doesn’t change the substance of the objects themselves, so that a broom remains a broom, but rather transforms the way these objects are offered to knowledge. We believe all this has strong political hints.
After this introduction by pinksummer is the text written by the artist.
Remarks on Functions and Objects
To talk about objects is always to talk about limits. One needs criteria to decide when two given
objects are actually the same. But to be given an object in the first place one needs to have already
drawn a line or taken up a position.
Objects are not brooms, apples, planets but rather specific brooms, apples and planets. They always
escape their conceptual wrappings, leaving a remainder.
In industrial capitalist objects the hierarchical society that produced them shines like a crystal.
The first subjugation of an object to a function occurs with the attribution to that object of a
predicate P( ). The object then functions as a representation of P( ).
Functional objects are necessarily disciplinary, they always instruct us on a choreography of
gestures.
Objects can be presented again, or re-presented. As such they deny space-time. One object a is
always actually a series of objects a1, a2,... at different space-time situations s1, s2, ... . They serve to
identify or correlate different points of space-time and thus are at the structure of memory and
orientation. To abolish the object is thus to experience to liberate space-time, to experience it raw.
Consider the construction F(x) where F( ) denotes a function or concept and x denotes an arbitrary
object to which the function is applied. If space-time is understood as a kind of mould for the
objects that exist within it, then we could describe space-time as a function ST( ) that is applied to
the objects in its domain. Starting with an object a, By means of the function ST( ), we arrive at a
new transformed object b that is the image of a under the function ST( ). Thus, for example, to the
convict a is applied a jail sentence J( ), resulting in a new traumatized person J(a)=b.
Traditionally we assume the functions remain the same while the objects they are applied to change.
But does not the converse also hold? Would it not make more sense to assume that, in the process of
being applied to objects, or a series of objects, the functions themselves also change, that the objects
transform the function just as much as the function the objects? This would mean, for example, that
when using a particular mop to clean the floor, it is not only the floor itself that changes but the
mopping-function also. Or, in the case of the prisoner, that in the process of serving his jail sentence
J( ), the jail-function itself changes, resulting in a new jail-function Ja( ) = a(J( )).
Objects usually indicate functions: they are usually taken for tools. In the process of referring to
objects we frequently use a function that we associate with them, for example, when when we point
at an object saying "that spoon." This means that objects are often constructs of the form S(a),
where S( ), refers to a function that is supposed to be performed by a sub-object a of the original
object. Often this sub-object may then itself be further analyzed into a new construct of the form a
= Q(b), where b is a sub-object of a. If we repeatedly apply this procedure to perceptual object we
will arrive at what we shall call an unqualified aesthetic object. Thus, for example, a particular
wooden spoon s could be analyzed as a construct of the form
t = Spoon(Wood(...(x)...)))
where x is an unqualified aesthetic object that we envelop with these attributes.
Unqualified aesthetic objects are fleeting paradoxical entities. As aesthetic objects they must have a
location, a shape, a size, a colour, etc. But yet they cannot be taken as representations of any of
these attributes. They have no functions. What this means is that if x is an unqualified aesthetic
object we cannot form statements of the form Blue(x), or “x is Blue,” for even though x might very
well be taken as blue (or be taken as a blue bucket for that matter) the moment we take it to be this
predicate we transform it into the new complex perceptual object y = Blue(x).
Let us define the core aesthetic function A( ) as the function that, when applied to a perceptual
object k = F1(...Fn(x)...), results in its unqualified aesthetic object x:
A(k) = A(F1(...Fn(x)...)) = x
Museums operate the core aesthetic function on the objects displayed inside them in that they
displace the functional components of these objects to the background. This displacement is only
temporary, however, for museums are quick to cover the indecently exposed object with its official
clothes of class, value and meaning. Museums are places of representation and the objects displayed
inside them are always used functionally to represent a school, a concept, a transcendence ...
The unqualified aesthetic object is not encompassed by the “retinal.” In it we witness the suspension
of the instrumental approach. Beyond it one reaches the undifferentiated magma of perception. The
unqualified aesthetic object exists at the intersection of this magma and memory. In the face of it
one experiences the anxiety of forgetting.
By misplacing an object one weakens its functionality. Misplaced objects grab the eye. Their mode
of presentation is the puzzle.
One cuts through an object like a geologist to disclose its layers. Like plums, objects have seeds,
bones and skeletons but no essences. Reaching to the abstract level of the skeleton one obtains a
calculus of possibilities.
In discarded fragments of industrial objects we witness the decomposition of the instrumental
approach. Dirty, deformed, shattered pieces of refuse no longer have the dignity or capability to
represent much. In the decay of garbage into amorphous matter we glimpse the shadows of
unqualified aesthetic objects. Implicit in the garbage-function lies a core aesthetic function.
The exhibition will be on until December 10, 2009, Tuesday to Saturday, 3.00 pm-7.30 pm.
Focault nella prefazione di "Le parole e le cose" ha scritto che la sua archeologia del sapere nasce da un testo di Borges che altera la nostra pratica millenaria del medesimo e dell'altro. Borges in quel testo cita una certa enciclopedia cinese che classifica gli animali in: a) appartenenti all'imperatore b) addomesticati c) maialini da latte d) sirene e) favolosi f) cani in libertà g) inclusi nella precedente classificazione h) che si agitano follemente i) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello l) et caetera m) che fanno l'amore n) che da lontano sembrano mosche.
A proposito di questa riscoperta in chiave impossibile dell'ordinario, la mostra di Sancho Silva potrebbe essere riassunta nella domanda "quali sono i criteri per affermare che una data cosa sia?". I criteri di tale conoscenza sono sempre più adatti a determinare l'identità delle cose piuttosto che la loro esistenza, giacché l'esistenza non è un predicato. Sancho Silva tende a fornire una base per determinare se una cosa sia reale o un'allucinazione, una contraffazione o una proiezione. Di fronte a domande semplici circa gli oggetti che strutturano le nostre vite talvolta infatti ci si può trovare davanti a sorprese, il ready-made rispetto al processo estetico è una di quelle. C'è comunque dell'altro: normalmente lavoriamo con oggetti tipo un tavolo, un cucchiaio, un pomodoro, ma ad esempio nella filosofia indiana, abbiamo letto, ci si può anche imbattere in un bastone che in qualsiasi momento e all'improvviso può trasformarsi in serpente. La conoscenza dunque non è solo un problema di descrizione corretta, possiamo definire tavolo ad esempio un tavolo dipinto? La ratio classica con risvolti metafisici di fatto avrebbe considerato tavolo anche la sua immagine (oggetto generico?), l'epistemologia moderna è più portata a delimitare l'oggetto attraverso una funzione trasformandolo in oggetto specifico. In questa inchiesta sulla conoscenza e le sue trappole Sancho Silva giunge a identificare l'oggetto estetico con l' oggetto generico in quanto svincolato dall' approccio di tipo strumentale e in virtù di ciò giunge sillogisticamente a assimilare l'opera d'arte all'immondizia cioè una serie di oggetti decaduti rispetto all' idea di funzionalità. Guy Ben-Ner, ad esempio, nel suo film "I give it to you" risolse il problema analitico dell'oggetto estetico generico riassemblandolo in forma funzionale: "Testa di Toro" di Picasso, una scultura di Tinguely, la “Ruota di bicicletta” di Duchamp, diventarono una bicicletta da regalare ai suoi bambini per scorazzare nella città di Munster.
Per presentare o presentificare gli oggetti Sancho Silva ha pensato a un allestimento in galleria di tipo archeologico, disposizione che di fatto non cambia la sostanza degli oggetti in sé nel senso che una scopa rimane una scopa, trasforma piuttosto il modo di offrire tali oggetti alla conoscenza. Crediamo che tutto questo abbia sfumature di carattere fortemente politico.
A questa introduzione di pinksummer segue il testo dell'artista.
Considerazioni su Funzioni e Oggetti
Parlare di oggetti significa sempre parlare di limiti. C’è bisogno di un criterio per decidere se due dati oggetti siano effettivamente la medesima cosa. Ma, in prima istanza, per prendere in esame un oggetto, bisogna prima delimitare, o prendere una posizione.
Gli oggetti non sono scope, mele, pianeti, ma piuttosto particolari scope, mele e pianeti. Sfuggono sempre dal loro involucro concettuale, lasciando un residuo.
Nell’industria capitalistica degli oggetti la società gerarchica che li produce brilla come un cristallo.
Il primo asservimento di un oggetto a una funzione ha origine con l’attribuzione a questo oggetto di un predicato P(). L’oggetto funziona poi come una rappresentazione di P().
Gli oggetti funzionali sono necessariamente disciplinari, ci istruiscono sempre su una coreografia gestuale.
Gli oggetti possono essere presentati ancora, o ri-presentati. Come tali essi negano lo spazio-tempo. Un oggetto a è sempre in realtà una serie di oggetti a1, a2… in differenti situazioni spazio-temporali s1, s2… Essi servono a identificare o a correlare diversi punti nello spazio-tempo e quindi stanno alla struttura della memoria e dell’orientamento. Abolire l’oggetto è in questo senso sperimentare la liberazione dello spazio-tempo, sperimentarlo crudo.
Consideriamo la costruzione F(x) dove F() denota una funzione o un concetto e x denota un oggetto arbitrario al quale la funzione viene applicata. Se lo spazio-tempo è inteso come una specie di matrice per gli oggetti che esistono al suo interno, allora potremmo descrivere lo spazio-tempo come una funzione ST() che è applicata agli oggetti all’interno del suo dominio. Iniziando con un oggetto a, per mezzo della funzione ST(), arriviamo a un nuovo oggetto trasformato b che è l’immagine di a sotto la funzione ST(). In questo modo, per esempio, all’imputato a è applicata una sentenza di reclusione J(), risultando in una nuova persona traumatizzata J(a)=b.
Tradizionalmente noi pensiamo che le funzioni rimangano le stesse mentre gli oggetti ai quali vengono applicate cambino. Ma non potrebbe essere anche il contrario? Non avrebbe più senso immaginare che, mentre vengono applicate agli oggetti, o a una serie di oggetti, anche le funzioni cambino, che gli oggetti trasformino la funzione alla stessa maniera in cui la funzione trasforma gli oggetti? Questo potrebbe significare, per esempio, che, quando usiamo un particolare straccio per pulire il pavimento non è solo il pavimento che cambia, ma anche la funzione dello straccio. O, nel caso del prigioniero, che nel corso di scontare la sua pena J(), la funzione-pena stessa cambia, risultando in una nuova funzione-galera Ja()=a(J()).
Gli oggetti abitualmente indicano funzioni: sono normalmente identificati come strumenti. Nel processo di riferimento agli oggetti spesso usiamo una funzione alla quale li associamo, per esempio, quando indichiamo un oggetto dicendo “quel cucchiaio”. Questo significa che gli oggetti sono spesso costruzioni della forma S(a), dove S(), si riferisce a una funzione che si suppone venga eseguita da un sub-oggetto a dell’oggetto originale. Spesso questo sub-oggetto può poi esso stesso essere ulteriormente analizzato in una nuova costruzione della forma a=Q(b), dove b è un sub-oggetto di a. Applicando ripetutamente questa procedura agli oggetti percepiti si arriva a quello che potremmo chiamare un oggetto estetico generico. Così, per esempio, un particolare cucchiaio di legno s può essere analizzato come un costrutto della forma
t = Spoon (Wood(…(x)…))
dove x è un oggetto estetico generico che noi rivestiamo con questi attributi.
Gli oggetti estetici generici sono entità paradossali transitorie. In quanto oggetti estetici devono avere una collocazione, una forma, una misura, un colore, eccetera. Ma ancora non possono essere considerati come rappresentazioni di nessuno di questi attributi. Essi non hanno funzioni. Questo significa che se x è un oggetto estetico generico, non possiamo creare asserzioni riguardo la forma Blu(x), o “x è Blu”, perché per quanto x possa essere benissimo inteso come blu (o essere inteso come un secchio blu per quello che importa) nel momento in cui lo assumiamo come predicato lo trasformiamo nel nuovo complesso oggetto percepito y = Blu(x).
Definiamo ora la funzione estetica centrale A() come la funzione che, se applicata ad un oggetto percepito k = F1(… Fn(x)…), risulta nel suo oggetto estetico generico x:
A(k) = A(F1(…Fn(x)…)) = x
I musei applicano la funzione estetica centrale sugli oggetti che espongono al loro interno, spostando in questo modo i componenti funzionali di questi oggetti sullo sfondo. Questo spostamento è tuttavia solo temporaneo, perchè i musei fanno presto a coprire gli indecenti oggetti esposti con la loro veste ufficiale di classe, valore e significato. I musei sono luoghi di rappresentazione e gli oggetti esposti al loro interno sono sempre usati funzionalmente per rappresentare una scuola, un concetto, una trascendenza…
L’oggetto estetico generico non può essere delimitato dal “retinale”. In esso siamo di fronte alla sospensione dell’approccio strumentale. Al di là di esso si raggiunge il magma indifferenziato della percezione. L’oggetto estetico generico vive nel punto di incontro tra questo magma e la memoria. Sul suo volto si sperimenta l’ansietà della dimenticanza.
Spostando un oggetto si indebolisce la sua funzionalità. Gli oggetti fuori posto catturano l’occhio. La loro modalità di relazione è il puzzle.
Tagliando un oggetto come un geologo si scoprono i suoi strati. Come le prugne, gli oggetti hanno semi, ossa e scheletri, ma non sostanza. Raggiungendo il livello astratto dello scheletro si ottiene un calcolo di possibilità.
I frammenti di oggetti industriali buttati via testimoniamo la decomposizione dell’approccio strumentale. Sporchi, deformati, i pezzi di rifiuti frantumati non possiedono più la dignità o la capacità di rappresentare granché. Nel decadimento dell’immondizia in una sostanza amorfa, si intravedono le ombre degli oggetti estetici generici. Implicita nella funzione-immondizia giace la funzione estetica centrale.
La mostra sarà visitabile fino al 10 Dicembre 2009, dal martedì al sabato, 15.00-19.30.
Pinksummer
Palazzo Ducale-Cortile Maggiore
Piazza Matteotti 28R
16123 Genova
T/F +39.010.2543762
www.pinksummer.com
info@pinksummer.com
SANCHO SILVA
Opening Friday October 23, 2009 6.30 pm
Press Release
In his previous projects at pinksummer, Sancho Silva focused on what can be generally called the constructed structures of perception, of the artificiality of different components of the space-time framework that we inhabit and that constructs us as subjects. In “Captor” (2003), he focused on the gallery as a machine of seeing and being seen. In “Cyclopean Eye” (2007) he focused on the city as a maze of infinite divergent trajectories, from the center to the outer limits. And, in “Satellite” (2007), he focused on the technological mediation of our mental maps of a city as a consistent whole. In this third solo show, Sancho Silva will adopt a different approach, rather than focus on elements that are structural and therefore enveloping and elusive, he will focus on what lies right at the center: objects we interact with in our daily lives, simple industrial objects like a broom and a fork, but also abstract objects like a number and perhaps also an art object. Projects that could be perhaps called object-specific.
Foucalt, in his introduction to “The Order of Things” wrote that his archaeology of knowledge comes from a text written by Borges that alters our millenary practice of the same an the other. Borges, in that text, mentions a certain Chinese encyclopaedia that classifies animals in: a) belonging to the Emperor b) domesticated c) sucking pigs d) sirens e) fabulous d) free dogs g) included in the previous classification h) that madly agitate themselves i) drawn with a very fine brush of camel bristles l) et cetera m) that make love n) that look like flies from far away.
Regarding this rediscovery of the ordinary seen under an impossible key, the show of Sancho Silva could be summarized in the question “which are the rules to affirm that a given object is?”.
The rules of this knowledge are always more suitable to determine the identity of things rather than their existence, since existence is not a predicate. Sancho Silva tends to give a basis to determine whether a thing is real or a hallucination, a fake or an image. In front of simple questions about the objects that structure our lives, sometimes we face surprises; ready-made, as to aesthetic process, is one of those. But there is something worse: usually we work with objects like a table, a spoon, a tomato, but, for example in Indian philosophy, we read, you can encounter a stick that suddenly, in every moment, can become a snake. Knowledge is then not only a question of right description, can we for example define a table a painted table? Classic ratio with metaphysical implications would for sure consider to be a table also its image (generic object?), modern epistemology tends instead to define an object through a function, transforming it into a specific object. In this survey about knowledge and its traps, Sancho Silva comes to identify the aesthetic object with the generic object because free from any instrumental approach, and, thus, he syllogistically assimilates the artwork with garbage, so with a series of objects where the idea of functionality is deceased. Guy Ben-Ner, for example, in his video “I’d give it to you”, solved the analytical problem of the unqualified aesthetic object reassembling it into a functional form: “Bull Head” by Picasso, a sculpture by Tinguely, Duchamp’s “Bicycle Wheel”, became a bike he gave his children to bike around the city of Munster.
To present or make objects present, Sancho Silva has thought of an archaeological setting inside the gallery, an arrangement that doesn’t change the substance of the objects themselves, so that a broom remains a broom, but rather transforms the way these objects are offered to knowledge. We believe all this has strong political hints.
After this introduction by pinksummer is the text written by the artist.
Remarks on Functions and Objects
To talk about objects is always to talk about limits. One needs criteria to decide when two given
objects are actually the same. But to be given an object in the first place one needs to have already
drawn a line or taken up a position.
Objects are not brooms, apples, planets but rather specific brooms, apples and planets. They always
escape their conceptual wrappings, leaving a remainder.
In industrial capitalist objects the hierarchical society that produced them shines like a crystal.
The first subjugation of an object to a function occurs with the attribution to that object of a
predicate P( ). The object then functions as a representation of P( ).
Functional objects are necessarily disciplinary, they always instruct us on a choreography of
gestures.
Objects can be presented again, or re-presented. As such they deny space-time. One object a is
always actually a series of objects a1, a2,... at different space-time situations s1, s2, ... . They serve to
identify or correlate different points of space-time and thus are at the structure of memory and
orientation. To abolish the object is thus to experience to liberate space-time, to experience it raw.
Consider the construction F(x) where F( ) denotes a function or concept and x denotes an arbitrary
object to which the function is applied. If space-time is understood as a kind of mould for the
objects that exist within it, then we could describe space-time as a function ST( ) that is applied to
the objects in its domain. Starting with an object a, By means of the function ST( ), we arrive at a
new transformed object b that is the image of a under the function ST( ). Thus, for example, to the
convict a is applied a jail sentence J( ), resulting in a new traumatized person J(a)=b.
Traditionally we assume the functions remain the same while the objects they are applied to change.
But does not the converse also hold? Would it not make more sense to assume that, in the process of
being applied to objects, or a series of objects, the functions themselves also change, that the objects
transform the function just as much as the function the objects? This would mean, for example, that
when using a particular mop to clean the floor, it is not only the floor itself that changes but the
mopping-function also. Or, in the case of the prisoner, that in the process of serving his jail sentence
J( ), the jail-function itself changes, resulting in a new jail-function Ja( ) = a(J( )).
Objects usually indicate functions: they are usually taken for tools. In the process of referring to
objects we frequently use a function that we associate with them, for example, when when we point
at an object saying "that spoon." This means that objects are often constructs of the form S(a),
where S( ), refers to a function that is supposed to be performed by a sub-object a of the original
object. Often this sub-object may then itself be further analyzed into a new construct of the form a
= Q(b), where b is a sub-object of a. If we repeatedly apply this procedure to perceptual object we
will arrive at what we shall call an unqualified aesthetic object. Thus, for example, a particular
wooden spoon s could be analyzed as a construct of the form
t = Spoon(Wood(...(x)...)))
where x is an unqualified aesthetic object that we envelop with these attributes.
Unqualified aesthetic objects are fleeting paradoxical entities. As aesthetic objects they must have a
location, a shape, a size, a colour, etc. But yet they cannot be taken as representations of any of
these attributes. They have no functions. What this means is that if x is an unqualified aesthetic
object we cannot form statements of the form Blue(x), or “x is Blue,” for even though x might very
well be taken as blue (or be taken as a blue bucket for that matter) the moment we take it to be this
predicate we transform it into the new complex perceptual object y = Blue(x).
Let us define the core aesthetic function A( ) as the function that, when applied to a perceptual
object k = F1(...Fn(x)...), results in its unqualified aesthetic object x:
A(k) = A(F1(...Fn(x)...)) = x
Museums operate the core aesthetic function on the objects displayed inside them in that they
displace the functional components of these objects to the background. This displacement is only
temporary, however, for museums are quick to cover the indecently exposed object with its official
clothes of class, value and meaning. Museums are places of representation and the objects displayed
inside them are always used functionally to represent a school, a concept, a transcendence ...
The unqualified aesthetic object is not encompassed by the “retinal.” In it we witness the suspension
of the instrumental approach. Beyond it one reaches the undifferentiated magma of perception. The
unqualified aesthetic object exists at the intersection of this magma and memory. In the face of it
one experiences the anxiety of forgetting.
By misplacing an object one weakens its functionality. Misplaced objects grab the eye. Their mode
of presentation is the puzzle.
One cuts through an object like a geologist to disclose its layers. Like plums, objects have seeds,
bones and skeletons but no essences. Reaching to the abstract level of the skeleton one obtains a
calculus of possibilities.
In discarded fragments of industrial objects we witness the decomposition of the instrumental
approach. Dirty, deformed, shattered pieces of refuse no longer have the dignity or capability to
represent much. In the decay of garbage into amorphous matter we glimpse the shadows of
unqualified aesthetic objects. Implicit in the garbage-function lies a core aesthetic function.
The exhibition will be on until December 10, 2009, Tuesday to Saturday, 3.00 pm-7.30 pm.
23
ottobre 2009
Sancho Silva
Dal 23 ottobre al 10 dicembre 2009
arte contemporanea
Location
PINKSUMMER – PALAZZO DUCALE
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 28r, (Genova)
Genova, Piazza Giacomo Matteotti, 28r, (Genova)
Orario di apertura
dal martedì al sabato, 15.00-19.30
Vernissage
23 Ottobre 2009, ore 18.30
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