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Sapere Vedere
Gli elementi di Sapere Vedere sono: un dipinto di Francesco Fracanzano una scultura di Antenato della cultura Ibo diverse sculture bifronti di altre culture africane ( Lobi, Baule, Bambara, Urhobo)
Comunicato stampa
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SAPERE VEDERE
"vi è stato pure detto che la vita è oscurità,
e nel vostro tedio ripetete a eco a ciò che è stato detto dallo svogliato.
e io dico che la vita è davvero oscurità se non c'è slancio,
e ogni slancio è cieco se non c'è conoscenza,
e ogni conoscenza è vana se non c'è attività
e ogni attività è vuota se non c'è amore;
( Kahlil Gibran, il Profeta)
Gli elementi di Sapere Vedere sono:
un dipinto di Francesco Fracanzano
una scultura di Antenato della cultura Ibo
diverse sculture bifronti di altre culture africane ( Lobi, Baule, Bambara, Urhobo)
L'opera di Fracanzano descrive un vecchio : la postura del volto, la barba, lo sguardo che si percepisce ma non si vede fanno pensare al " Profeta Cieco", soggetto tipico nella tradizione pittorica del periodo.
Sono interessanti i molteplici riferimenti alla sapienza cieca e profetica nella nostra cultura : la tradizione Ebraica e Crisitiana propongono la guarigione dalla cecità come segno rivelatore del Messia ( Isaia, 35, 5 e Giovanni 9,1-41) e una importante riflessione sulla cecità reale di chi non vuol vedere, oltre che sulla percezione dell'handicap - o meglio della diversità- come valore aggiunto .
Anche la tradizione islamica e più precisamente Sufi associa - ancor'che in modo speculare- saggezza trascendente e cecità: si veda "L'elefante nella casa buia", che si trova nel Mathnawi , e la seguente versione più antica del Maestro Rumi Hakim Sanai, che si trova nel primo libro del suo classico Sufi, il Giardino cintato della verità. Sanai morì nel 1150:
"Al di là di Ghor si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, un re arrivò da quelle parti, accompagnato dalla sua corte e da un intero esercito, e si accamparono nel deserto.
Ora, questo monarca possedeva un possente elefante, che utilizzava sia in battaglia sia per accrescere la soggezione della gente.
Il popolo era ansioso di sapere come fosse l'elefante, e alcuni dei membri di quella comunità di ciechi si precipitarono all'impazzata alla sua scoperta.
Non conoscendo né la forma né i contorni dell'elefante, cominciarono a testarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti.
Ognuno di loro credette di sapere qualcosa dell'elefante per averne toccato una parte.
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da avidi gruppi, tutti ansiosi, e a torto, di conoscere la verità per bocca di coloro che erano essi stessi in errore.
Posero delle domande sulla forma e l'apparenza dell'elefante, e ascoltarono tutto ciò che veniva detto loro al riguardo.
Alla domanda sulla natura dell'elefante, colui che ne aveva toccato l'orecchio rispose: "Si tratta di una cosa grande, ruvida, larga e lunga, come un tappeto".
Colui che aveva toccato la proboscide disse: "So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo".
Colui che ne aveva toccato una zampa disse: "E' possente e stabile come un pilastro".
Ognuno di loro aveva toccato una della tante parti dell'elefante. La percezione di ognuno era errata. Nessuno lo conosceva nella sua totalità: la conoscenza non appartiene ai ciechi. Tutti immaginavano qualcosa, e l'immagine che ne avevano era sbagliata.
La creatura non sa nulla della divinità. Le vie dell'intelletto ordinario non sono la Via della scienza divina."
Ci soffermiamo però sul mito Tiresia perchè è forse l'esempio più noto di evocazione della Sapienza Cieca.
E' evocato da Ovidio e Dante , la parola greca "prophetés" ( profeta) significa, "colui che parla in nome di", oppure "colui che parla davanti a"; pro significa davanti e non "prima" e phemì significa parlare: la parola profetica non è quindi una "magica" anticipazione di fatti ma una parola svelata per conto di una Entità Superiore, al fine di comprendere e governare di conseguenza la quotidianità.
Inoltre il mito di Tiresia , almeno nella versione che ne danno Ovidio nelle Metamofosi ( libro terzo, 316/338) e Stazio nelle Tiberiadi, rimanda alla esperienza della transessualità connessa all'esperienza della conoscenza più che a quella erotica: ecco Ovidio
Liber III vv. 316/ 338
Dumque ea per terras fatali lege geruntur
tutaque bis geniti sunt incunabula Bacchi,
forte Iovem memorant diffusum nectare curas
seposuisse graves vacuaque agitasse remissos
cum Iunone iocos et «Maior vestra profecto est
quam, quae contingit maribus» dixisse «voluptas».
Illa negat; placuit quae sit sententia docti
quaerere Tiresiae: venus huic erat utraque nota.
Nam duo magnorum viridi coeuntia silva
corpora serpentum baculi violaverat ictu
deque viro factus, mirabile, femina septem
egerat autumnos; octavo rursus eosdem
vidit et «Est vestrae si tanta potentia plagae»,
dixit «ut auctoris sortem in contraria mutet,
nunc quoque vos feriam». Percussis anguibus isdem
forma prior rediit genetivaque venit imago.
Arbiter hIc Igitur sumptus de lite focosa
dicta Iovis firmat; gravius Saturnia iusto
nec pro materia fertur doluisse suique
iudicis aeterna damnavit lumina nocte.
At pater omnipotens (neque enim licet inrita cuiquam
facta dei fecisse deo) pro lumine adempto
scire futura dedit poenamque levavit honore.
LIBRO III VV 316-340
Mentre ciò avviene in terra per legge del fato,
e Bacco, due volte generato, passava un'infanzia tranquilla,
dicono che Giove depose, bevendo nettare,
le preoccupazioni e si mise a scherzare con Giunone, anche lei
spensierata, e le disse: «Il vostro piacere è senz' altro piu grande
di quello che tocca ai maschi». Lei nega.
Decidono liedere qual è 1'opinione
del dotto Tiresia, che conosceva entrambi gli amori.
Infatti con un colpo di bastone aveva violato i corpi di due grandi serpenti uniti nel bosco e, diventato per un prodigio da uomo donna,
era rimasto donna per sette anni; all' ottavo
rivide gli stessi e disse: «Se darvi un colpo
ha tanto potere da cambiare la sorte di chi vi colpisce, tornerò a colpirvi» e, percossi gli stessi serpenti,
gli tornò la prima forma, e la figura nativa.
Preso dunque per arbitro di quella lite giocosa,
confermò le parole di Giove, e Giunone, si dice,
si addolorò piu del giusto, in modo sproporzionato,
e condannò gli occhi del giudice all'eterno buio.
Ma il padre onnipotente, in cambio degli occhi perduti
- giacché nessun dio pouò annullare quello che ha fatto un altro dio -
gli concesse di sapere il futuro e alleviò con l'onore la pena.
Consideriamo a questo punto le opere delle culture africane.
E' noto che l'arte africana è sempre funzionale al governo di un mistero: nell'opera trova vita una figura mitica il cui aiuto può servire a risolvere un problema. Ogni dettaglio che non serva ad identificare il popolo di appartenenza - la postura degli arti, la presenza di segni o di colore- è finalizzato a questa funzione.
La scultura Ibo qui esposta rappresenta un Antenato: è interessante notare la forte presenza materica del colore sugli occhi evidentemente destinata ad enfatizzarne la funzione.
Le altre sculture africane scelte hanno in comune una raffigurazione bifronte.
Si ricordi che nella cultura latina Giano è la divinità più antica, apparentemente non presente nella tradizione greca, ma al pari di Zeus: è la divinità delle soglie, dell'inizio e della fine, ma ha una identità maschile.
Nelle culture africane il "doppio" invece rimanda alla energia paritaria degli antenati maschili e femminili, e al loro agire comune sulla vita degli uomini che li evocano: rappresentarli uniti in un'unica scultura ne amplifica l'efficacia.
Ascoltando il dialogo tra queste opere, per cercare di Sapere Vedere preferiamo però tornare a Tiresia, nella versione contemporanea dei Genesis ( the Cinema Show, 1973)
I have crossed between the poles,
for me there's no mystery.
Once a man, like the sea I raged,
Once a woman, like the earth I gave.
There is in fact more earth than sea.
Sono stato ovunque,
per me non c’è mistero.
Quando ero uomo, come il mare mi infuriavo,
Quando ero donna, come la terra donavo.
In realtà c’è più terra che mare.
"vi è stato pure detto che la vita è oscurità,
e nel vostro tedio ripetete a eco a ciò che è stato detto dallo svogliato.
e io dico che la vita è davvero oscurità se non c'è slancio,
e ogni slancio è cieco se non c'è conoscenza,
e ogni conoscenza è vana se non c'è attività
e ogni attività è vuota se non c'è amore;
( Kahlil Gibran, il Profeta)
Gli elementi di Sapere Vedere sono:
un dipinto di Francesco Fracanzano
una scultura di Antenato della cultura Ibo
diverse sculture bifronti di altre culture africane ( Lobi, Baule, Bambara, Urhobo)
L'opera di Fracanzano descrive un vecchio : la postura del volto, la barba, lo sguardo che si percepisce ma non si vede fanno pensare al " Profeta Cieco", soggetto tipico nella tradizione pittorica del periodo.
Sono interessanti i molteplici riferimenti alla sapienza cieca e profetica nella nostra cultura : la tradizione Ebraica e Crisitiana propongono la guarigione dalla cecità come segno rivelatore del Messia ( Isaia, 35, 5 e Giovanni 9,1-41) e una importante riflessione sulla cecità reale di chi non vuol vedere, oltre che sulla percezione dell'handicap - o meglio della diversità- come valore aggiunto .
Anche la tradizione islamica e più precisamente Sufi associa - ancor'che in modo speculare- saggezza trascendente e cecità: si veda "L'elefante nella casa buia", che si trova nel Mathnawi , e la seguente versione più antica del Maestro Rumi Hakim Sanai, che si trova nel primo libro del suo classico Sufi, il Giardino cintato della verità. Sanai morì nel 1150:
"Al di là di Ghor si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, un re arrivò da quelle parti, accompagnato dalla sua corte e da un intero esercito, e si accamparono nel deserto.
Ora, questo monarca possedeva un possente elefante, che utilizzava sia in battaglia sia per accrescere la soggezione della gente.
Il popolo era ansioso di sapere come fosse l'elefante, e alcuni dei membri di quella comunità di ciechi si precipitarono all'impazzata alla sua scoperta.
Non conoscendo né la forma né i contorni dell'elefante, cominciarono a testarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti.
Ognuno di loro credette di sapere qualcosa dell'elefante per averne toccato una parte.
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da avidi gruppi, tutti ansiosi, e a torto, di conoscere la verità per bocca di coloro che erano essi stessi in errore.
Posero delle domande sulla forma e l'apparenza dell'elefante, e ascoltarono tutto ciò che veniva detto loro al riguardo.
Alla domanda sulla natura dell'elefante, colui che ne aveva toccato l'orecchio rispose: "Si tratta di una cosa grande, ruvida, larga e lunga, come un tappeto".
Colui che aveva toccato la proboscide disse: "So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto, orribile e distruttivo".
Colui che ne aveva toccato una zampa disse: "E' possente e stabile come un pilastro".
Ognuno di loro aveva toccato una della tante parti dell'elefante. La percezione di ognuno era errata. Nessuno lo conosceva nella sua totalità: la conoscenza non appartiene ai ciechi. Tutti immaginavano qualcosa, e l'immagine che ne avevano era sbagliata.
La creatura non sa nulla della divinità. Le vie dell'intelletto ordinario non sono la Via della scienza divina."
Ci soffermiamo però sul mito Tiresia perchè è forse l'esempio più noto di evocazione della Sapienza Cieca.
E' evocato da Ovidio e Dante , la parola greca "prophetés" ( profeta) significa, "colui che parla in nome di", oppure "colui che parla davanti a"; pro significa davanti e non "prima" e phemì significa parlare: la parola profetica non è quindi una "magica" anticipazione di fatti ma una parola svelata per conto di una Entità Superiore, al fine di comprendere e governare di conseguenza la quotidianità.
Inoltre il mito di Tiresia , almeno nella versione che ne danno Ovidio nelle Metamofosi ( libro terzo, 316/338) e Stazio nelle Tiberiadi, rimanda alla esperienza della transessualità connessa all'esperienza della conoscenza più che a quella erotica: ecco Ovidio
Liber III vv. 316/ 338
Dumque ea per terras fatali lege geruntur
tutaque bis geniti sunt incunabula Bacchi,
forte Iovem memorant diffusum nectare curas
seposuisse graves vacuaque agitasse remissos
cum Iunone iocos et «Maior vestra profecto est
quam, quae contingit maribus» dixisse «voluptas».
Illa negat; placuit quae sit sententia docti
quaerere Tiresiae: venus huic erat utraque nota.
Nam duo magnorum viridi coeuntia silva
corpora serpentum baculi violaverat ictu
deque viro factus, mirabile, femina septem
egerat autumnos; octavo rursus eosdem
vidit et «Est vestrae si tanta potentia plagae»,
dixit «ut auctoris sortem in contraria mutet,
nunc quoque vos feriam». Percussis anguibus isdem
forma prior rediit genetivaque venit imago.
Arbiter hIc Igitur sumptus de lite focosa
dicta Iovis firmat; gravius Saturnia iusto
nec pro materia fertur doluisse suique
iudicis aeterna damnavit lumina nocte.
At pater omnipotens (neque enim licet inrita cuiquam
facta dei fecisse deo) pro lumine adempto
scire futura dedit poenamque levavit honore.
LIBRO III VV 316-340
Mentre ciò avviene in terra per legge del fato,
e Bacco, due volte generato, passava un'infanzia tranquilla,
dicono che Giove depose, bevendo nettare,
le preoccupazioni e si mise a scherzare con Giunone, anche lei
spensierata, e le disse: «Il vostro piacere è senz' altro piu grande
di quello che tocca ai maschi». Lei nega.
Decidono liedere qual è 1'opinione
del dotto Tiresia, che conosceva entrambi gli amori.
Infatti con un colpo di bastone aveva violato i corpi di due grandi serpenti uniti nel bosco e, diventato per un prodigio da uomo donna,
era rimasto donna per sette anni; all' ottavo
rivide gli stessi e disse: «Se darvi un colpo
ha tanto potere da cambiare la sorte di chi vi colpisce, tornerò a colpirvi» e, percossi gli stessi serpenti,
gli tornò la prima forma, e la figura nativa.
Preso dunque per arbitro di quella lite giocosa,
confermò le parole di Giove, e Giunone, si dice,
si addolorò piu del giusto, in modo sproporzionato,
e condannò gli occhi del giudice all'eterno buio.
Ma il padre onnipotente, in cambio degli occhi perduti
- giacché nessun dio pouò annullare quello che ha fatto un altro dio -
gli concesse di sapere il futuro e alleviò con l'onore la pena.
Consideriamo a questo punto le opere delle culture africane.
E' noto che l'arte africana è sempre funzionale al governo di un mistero: nell'opera trova vita una figura mitica il cui aiuto può servire a risolvere un problema. Ogni dettaglio che non serva ad identificare il popolo di appartenenza - la postura degli arti, la presenza di segni o di colore- è finalizzato a questa funzione.
La scultura Ibo qui esposta rappresenta un Antenato: è interessante notare la forte presenza materica del colore sugli occhi evidentemente destinata ad enfatizzarne la funzione.
Le altre sculture africane scelte hanno in comune una raffigurazione bifronte.
Si ricordi che nella cultura latina Giano è la divinità più antica, apparentemente non presente nella tradizione greca, ma al pari di Zeus: è la divinità delle soglie, dell'inizio e della fine, ma ha una identità maschile.
Nelle culture africane il "doppio" invece rimanda alla energia paritaria degli antenati maschili e femminili, e al loro agire comune sulla vita degli uomini che li evocano: rappresentarli uniti in un'unica scultura ne amplifica l'efficacia.
Ascoltando il dialogo tra queste opere, per cercare di Sapere Vedere preferiamo però tornare a Tiresia, nella versione contemporanea dei Genesis ( the Cinema Show, 1973)
I have crossed between the poles,
for me there's no mystery.
Once a man, like the sea I raged,
Once a woman, like the earth I gave.
There is in fact more earth than sea.
Sono stato ovunque,
per me non c’è mistero.
Quando ero uomo, come il mare mi infuriavo,
Quando ero donna, come la terra donavo.
In realtà c’è più terra che mare.
25
gennaio 2011
Sapere Vedere
Dal 25 gennaio al 28 febbraio 2011
arte antica
Location
MAP – MUSEO DI ARTI PRIMARIE – IL MERCATO DELLE IDEE
Savona, Corso Giuseppe Mazzini, (Savona)
Savona, Corso Giuseppe Mazzini, (Savona)
Orario di apertura
su appuntamento
Vernissage
25 Gennaio 2011, ore 18.00
Autore
Curatore