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Saul. L’opera mancata. Una mostra [im]possibile
Mostra collettiva
Comunicato stampa
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La determinazione al non essere [più], o quantomeno al non essere [più] visibile, è la prerogativa dell’opera mancata. Un’opera, cioè, “venuta meno” perché trafugata dai musei e dalle collezioni private, perché distrutta da calamità naturali o di tipo doloso, perché dispersa oppure distrutta a seguito della sua rimozione, perché rimasta incompiuta a causa della morte dell’artista o conseguentemente alla sua rinuncia a procedere. L’opera può “venire a mancare” per il volere stesso dell’artista, che l’ha distrutta o che ha rinunciato – consciamente oppure accidentalmente – ad essa. L’artista non è però l’unico che può disporre a proprio piacimento dell’opera; atti di “vandalismo” possono essere perpetrati anche da collezionisti e da galleristi. Una categoria a parte spetta invece alle opere autodistruttrici…
La Storia dell’Arte annovera un’infinità di opere mancate/non fatte, basti pensare ai progetti utopici, che per loro stessa ammissione sono difficilmente realizzabili. Una particolare predisposizione al “fallimento” spetta quindi all’architettura, che ci lascia in eredità progetti e planimetrie destinati a resistere molto più sulla carta che altrove. Di contro all’utopia, esiste una realtà disillusa, ossia la mancata paternità di alcuni tesori ri-trovati: è questo il caso dei falsi d’artista. Ci sono poi i “collezionisti di frodo” che acquistano le loro opere sul mercato clandestino o commissionano furti ai danni del patrimonio artistico facendo così svanire nel nulla tanti capolavori, sia del passato che del presente. Oltre alle opere che hanno smesso di esistere, e quelle che non sono mai state create, ci sono poi opere effimere concepite per durare un giorno soltanto o giusto il tempo di una mostra. Happening, performance, eventi, installazioni, environment, wall-painting e wall-drawing, sono solo alcuni esempi di opere circoscritte nel tempo e/o nello spazio.
Disquisire sulla tipologia delle opere mancate vuol dire anche interrogarsi sul significato delle Arti “visive”, che da qualche anno a questa parte lo sono sempre meno. La condizione “relativa” dell’arte contemporanea ha infatti sempre più insistito su due fondamentali caratteri: il vuoto e il silenzio. Mentre l’arte moderna tendeva progressivamente a semplificare la sua forma per riuscire a esprimere la complessità dei minimi termini, verso la fine del Novecento i valori percettivi si sono spinti sul limine dell’azzeramento e della negazione; in pratica, oggigiorno l’opera può rifiutare la propria “evidenza” ripiegando in un vanishing point che trascina e soggioga l’occhio dello spettatore nella pura evanescenza. In questo senso l’opera risulta mancante perché (sbadatamente) non vista, oppure perché (intenzionalmente) occultata o dissimulata.
Poena damini: i detrattori, che ancora biascicano che “tutto è già stato fatto” o che “tutto è già stato visto”, devono rimpiangere il “mai più visto” dell’opera mancata, incompiuta, distrutta, dispersa, dimenticata. Goethe, che pur denunciava il già visto, aggiungeva che «ogni buona idea è già stata pensata, bisogna solo cercare di pensarla un’altra volta». Diceva altrettanto bene Munari: quando qualcuno dice questo lo so fare anch’io vuol dire che lo sa Rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima. Il Rifare implica una conoscenza visiva, ma qualora l’oggetto fosse venuto a mancare, non fosse cioè più visibile, bisogna ri-pensarlo nuovamente. Di quel modello originale/originario si finirà per farne della letteratura, lo si trasformerà in récit. E benché le arti visive siano per loro stessa natura ineffabili, talvolta non ci resta altra possibilità che raccontare l’opera, così come si faceva nelle migliori tradizioni orali, giacché di esse potrebbe non essere rimasta traccia, né potrebbe esistere alcuna loro documentazione fotografica (il ché vale soprattutto per le opere anteriori al XIX).
SAUL è solo una tra le tante mostre (quasi) im-possibili in cui annoverare le opere mancate di Ader, Bacon, Boccioni, Lee Byars, Casorati, Cintoli, Costa, Creed, De Dominicis, Edgar Degas, Duchamp, Frenhofer, La Vaccara, Leonardo, Klein, Klimt, Lüthi, Mantegna, Merisi, Modigliani, Palermo, Pascali, Plasson, Rembrandt, Salvatori, Salvo, Schwitters, Tinguely, van Gogh, Vermeer.
La Storia dell’Arte annovera un’infinità di opere mancate/non fatte, basti pensare ai progetti utopici, che per loro stessa ammissione sono difficilmente realizzabili. Una particolare predisposizione al “fallimento” spetta quindi all’architettura, che ci lascia in eredità progetti e planimetrie destinati a resistere molto più sulla carta che altrove. Di contro all’utopia, esiste una realtà disillusa, ossia la mancata paternità di alcuni tesori ri-trovati: è questo il caso dei falsi d’artista. Ci sono poi i “collezionisti di frodo” che acquistano le loro opere sul mercato clandestino o commissionano furti ai danni del patrimonio artistico facendo così svanire nel nulla tanti capolavori, sia del passato che del presente. Oltre alle opere che hanno smesso di esistere, e quelle che non sono mai state create, ci sono poi opere effimere concepite per durare un giorno soltanto o giusto il tempo di una mostra. Happening, performance, eventi, installazioni, environment, wall-painting e wall-drawing, sono solo alcuni esempi di opere circoscritte nel tempo e/o nello spazio.
Disquisire sulla tipologia delle opere mancate vuol dire anche interrogarsi sul significato delle Arti “visive”, che da qualche anno a questa parte lo sono sempre meno. La condizione “relativa” dell’arte contemporanea ha infatti sempre più insistito su due fondamentali caratteri: il vuoto e il silenzio. Mentre l’arte moderna tendeva progressivamente a semplificare la sua forma per riuscire a esprimere la complessità dei minimi termini, verso la fine del Novecento i valori percettivi si sono spinti sul limine dell’azzeramento e della negazione; in pratica, oggigiorno l’opera può rifiutare la propria “evidenza” ripiegando in un vanishing point che trascina e soggioga l’occhio dello spettatore nella pura evanescenza. In questo senso l’opera risulta mancante perché (sbadatamente) non vista, oppure perché (intenzionalmente) occultata o dissimulata.
Poena damini: i detrattori, che ancora biascicano che “tutto è già stato fatto” o che “tutto è già stato visto”, devono rimpiangere il “mai più visto” dell’opera mancata, incompiuta, distrutta, dispersa, dimenticata. Goethe, che pur denunciava il già visto, aggiungeva che «ogni buona idea è già stata pensata, bisogna solo cercare di pensarla un’altra volta». Diceva altrettanto bene Munari: quando qualcuno dice questo lo so fare anch’io vuol dire che lo sa Rifare altrimenti lo avrebbe già fatto prima. Il Rifare implica una conoscenza visiva, ma qualora l’oggetto fosse venuto a mancare, non fosse cioè più visibile, bisogna ri-pensarlo nuovamente. Di quel modello originale/originario si finirà per farne della letteratura, lo si trasformerà in récit. E benché le arti visive siano per loro stessa natura ineffabili, talvolta non ci resta altra possibilità che raccontare l’opera, così come si faceva nelle migliori tradizioni orali, giacché di esse potrebbe non essere rimasta traccia, né potrebbe esistere alcuna loro documentazione fotografica (il ché vale soprattutto per le opere anteriori al XIX).
SAUL è solo una tra le tante mostre (quasi) im-possibili in cui annoverare le opere mancate di Ader, Bacon, Boccioni, Lee Byars, Casorati, Cintoli, Costa, Creed, De Dominicis, Edgar Degas, Duchamp, Frenhofer, La Vaccara, Leonardo, Klein, Klimt, Lüthi, Mantegna, Merisi, Modigliani, Palermo, Pascali, Plasson, Rembrandt, Salvatori, Salvo, Schwitters, Tinguely, van Gogh, Vermeer.
01
aprile 2010
Saul. L’opera mancata. Una mostra [im]possibile
Dal primo al 18 aprile 2010
arte contemporanea
Location
SPAZIO LABA – LABA LIBERA ACCADEMIA DI BELLE ARTI
Brescia, Piazza Del Foro, 2, (Brescia)
Brescia, Piazza Del Foro, 2, (Brescia)
Orario di apertura
dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 22:00
Curatore