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Saverio Rampin – Pensai il colore, guardai il sole
“Pensai il colore, guardai il sole” è il titolo della prima mostra che la Galleria Michela Rizzo dedica a Saverio Rampin con l’intento di illuminare il lavoro di uno dei più importanti artisti veneziani della seconda metà del novecento.
Comunicato stampa
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Pensai il colore, guardai il sole è il titolo della prima mostra che la Galleria Michela Rizzo dedica a Saverio Rampin con l’intento di illuminare il lavoro di uno dei più importanti artisti veneziani della seconda metà del novecento. E di farlo guardandolo negli interstizi, nei momenti di svolta, e attraverso un inedito accostamento di opere appartenenti a periodi diversi del suo percorso.
La mostra include una serie di opere (su tela e su carta) appartenenti agli anni Sessanta e Settanta, la stagione successiva a quella degli esordi, segnata da una poetica sospesa tra Informale e Spazialismo, un linguaggio che l’artista andò formulando attraverso il contatto quotidiano con artisti della sua generazione (Tancredi Parmeggiani ed Ennio Finzi in particolare - attratti, come lui, dalla pittura americana che approda a Venezia nella Biennale del 1948); l’influenza di maestri come Armando Pizzicato e Virgilio Guidi; la scoperta dello Spazialismo, in occasione dei suoi frequenti viaggi a Milano.
Pensai il colore, guardai il sole tiene sullo sfondo questa stagione (l’unica che può permettere una facile collocazione storica del lavoro dell’artista) e guarda al Rampin della maturità, cioè a partire da un momento di passaggio avvenuto tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, verso l’articolazione di un linguaggio completamente autonomo, segnato dall’approdo a una nozione di “colore - luce”, del colore come evento luminoso (talvolta lacerante, come quando, in alcuni dipinti, una stretta fenditura satura di colori squarcia come un lampo il bianco della tela). E da una progressiva apertura della superficie a campiture più larghe e distese (che si realizza pienamente negli anni Settanta), una composizione come dinamismo di corpi cromatici, vibratili e instabili per via dei contorni sfrangiati e dei toni delicati e poeticamente esangui, che si contaminano e si rilanciano reciprocamente.
Quella di Rampin è anche una grammatica astratta che sembra spesso derivare dall’incanto e dall’osservazione abbagliata della natura (non a caso alcuni dei lavori più emblematici di questa svolta si intitolano Momenti di natura), un’esperienza epifanica del reale senza che questo, necessariamente, si traduca nei suoi dipinti in figure.
La presenza intermittente, all’interno di una partitura di forme geometriche e spaziali, di elementi riconducibili al reale - l’orizzonte, i riflessi e il movimento dell’acqua o di cose che galleggiano sulla superficie dell’acqua, il sole (costante punto di riferimento dello sguardo dell’artista) - è infatti un altro dei possibili fili conduttori della mostra.
La mostra include una serie di opere (su tela e su carta) appartenenti agli anni Sessanta e Settanta, la stagione successiva a quella degli esordi, segnata da una poetica sospesa tra Informale e Spazialismo, un linguaggio che l’artista andò formulando attraverso il contatto quotidiano con artisti della sua generazione (Tancredi Parmeggiani ed Ennio Finzi in particolare - attratti, come lui, dalla pittura americana che approda a Venezia nella Biennale del 1948); l’influenza di maestri come Armando Pizzicato e Virgilio Guidi; la scoperta dello Spazialismo, in occasione dei suoi frequenti viaggi a Milano.
Pensai il colore, guardai il sole tiene sullo sfondo questa stagione (l’unica che può permettere una facile collocazione storica del lavoro dell’artista) e guarda al Rampin della maturità, cioè a partire da un momento di passaggio avvenuto tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, verso l’articolazione di un linguaggio completamente autonomo, segnato dall’approdo a una nozione di “colore - luce”, del colore come evento luminoso (talvolta lacerante, come quando, in alcuni dipinti, una stretta fenditura satura di colori squarcia come un lampo il bianco della tela). E da una progressiva apertura della superficie a campiture più larghe e distese (che si realizza pienamente negli anni Settanta), una composizione come dinamismo di corpi cromatici, vibratili e instabili per via dei contorni sfrangiati e dei toni delicati e poeticamente esangui, che si contaminano e si rilanciano reciprocamente.
Quella di Rampin è anche una grammatica astratta che sembra spesso derivare dall’incanto e dall’osservazione abbagliata della natura (non a caso alcuni dei lavori più emblematici di questa svolta si intitolano Momenti di natura), un’esperienza epifanica del reale senza che questo, necessariamente, si traduca nei suoi dipinti in figure.
La presenza intermittente, all’interno di una partitura di forme geometriche e spaziali, di elementi riconducibili al reale - l’orizzonte, i riflessi e il movimento dell’acqua o di cose che galleggiano sulla superficie dell’acqua, il sole (costante punto di riferimento dello sguardo dell’artista) - è infatti un altro dei possibili fili conduttori della mostra.
23
marzo 2019
Saverio Rampin – Pensai il colore, guardai il sole
Dal 23 marzo al primo maggio 2019
arte contemporanea
Location
GALLERIA MICHELA RIZZO
Venezia, Giudecca, 800Q, (Venezia)
Venezia, Giudecca, 800Q, (Venezia)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 11 - 18
Vernissage
23 Marzo 2019, ore 12 - 15
Autore
Curatore