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Scarpette Rosse
Con il linguaggio della pittura, della scultura e della fotografia 23 artisti testimoniano e interpretano il coinvolgimento emotivo sul tema della violenza sulle donne.
Comunicato stampa
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Sabato 15 dicembre 2018, alle ore 19:00, presso la Galleria SPAZIOSEI di Monopoli sarà inaugurata la collettiva “SCARPETTE ROSSE”, a cura di Mina TARANTINO e con il patrocinio della Città di Monopoli.
La mostra raccoglie la ricerca “narrativa” condotta con il linguaggio della pittura, della scultura e della fotografia di 23 artisti di diversa provenienza e sensibilità che testimoniano e interpretano il coinvolgimento emotivo degli autori sul tema della violenza sulle donne.
«La storia delle donne è molto complessa e ovviamente fonda le sue radici nella storia dell’umanità» scrive nel testo critico Santa FIZZAROTTI SELVAGGI. «E’ oltremodo evidente che l’attribuzione di una funzione esclusivamente riproduttiva ha limitato la donna nella sua pienezza di persona, i cui compiti nella società sono molteplici, tra i quali, quello di contribuire a trasformare gli eventi della storia, a tramandare racconti, a formare le giovani generazioni. Il “genio” femminile si ravvisa, infatti, anche nella capacità di generare creatività e civiltà, oltre che di imprimere nuove forme alla mente. In tal senso, come emerse dalla Conferenza di Pechino, si istituisce l’autorevolezza della donna:la storia delle donne non è dunque una storia di vinti. Da Oggetto a Soggetto, così come liberamente ha affermato Adélaide Labille-Guiard: “Cosa importa dove mi trascina il vento, io reco in me il principio della mia felicità”. L’immagine femminile ha, in definitiva, una storia nascosta, che si rivela soltanto allo sguardo di coloro che sono in grado di guardare con altri occhi. La narrazione del grande racconto femminile è, purtroppo per molti aspetti, intessuta di sofferenza e di silenzio, di violenze e di sublimazioni. Le donne hanno sempre generato e nutrito tutti i popoli del mondo: la metafora che il mito di Hestia racconta le rende Dee del focolare che certo non è da intendersi quale luogo di emarginazione domestica, ma custodi delle tradizioni e delle leggende, della cultura quale insieme delle esperienze umane. Prometeo rubò a Zeus la scintilla del fuoco, della creatività, della luce per un nuovo intelligere le cose del mondo, Hestia però protesse questo “sacro fuoco” per far sì che potesse essere patrimonio delle generazioni future. Ma per secoli e forse per una invidia inconscia degli uomini nei confronti della possibilità generativa delle donne, queste sono state spesso costrette al silenzio rinchiuse nelle mura domestiche. In tal modo hanno introiettato forzatamente i modelli androcentrici trasmettendoli inconsapevolmente ai propri figli perpetrando la struttura di ordine patriarcale , di Padre/Padrone. In qualche modo, però, la loro voce, soprattutto in forma di poesia e di quel particolare prendersi amorevolmente cura dell’Altro, ha attraversato la storia sino a facilitare lo sviluppo di una diversa consapevolezza nel Ventesimo Secolo. Eppure avendo le donne fatto sentire la loro voce, il preumano in noi ha consentito che emergesse quel predatore mai sopito. La storia della coscienza, invero, è lunga e difficile poiché necessita di scoprire dolorosamente quella parte di verità nascosta in ciascun essere umano, sempre fragile e inerme dinanzi al mondo. Non è semplice riconoscere di essere stati consegnati in tutto e per tutto alle braccia di una donna, amata oltre misura e anche invidiata, come M. Klein insegna. E allora forse il senso più segreto degli efferati delitti ai quali assistiamo sta nel non riconoscere che in realtà si tende a sopprimere la parte femminile in noi, per negare di essere stati un tempo assolutamente dipendenti da questa. Quando le parole d’amore svaniscono si passa all’atto. Si tratta di imparare ad essere autonomi , se pur nella sofferenza dell’esistere in quanto tale. Le Muse erano di genere femminile e furono messe a tacere. La loro dolce voce ora alza il tono e canta la fiaba delle “scarpette rosse” come segno di autentica libertà mentre chiede rispetto e amore.
Ricostruire il dialogo con l’Altro da sé è fondamentale per entrambi. Non c’è, infatti, amore senza l’Alterità, senza questo incontrarsi in modo che non ci siano né vincitori né vinti, né dominio dell’uno sull’altra.
Scarpette rosse… un titolo molto emblematico per questa mostra che cita la fiaba di Andersen. Esse sono simbolo del desiderio di libertà che però, se non viene reso consapevole, può diventare uno strumento capace di imprigionare sempre di più negli stereotipi piuttosto che di rendere liberi con la possibilità di camminare nel mondo con i piedi sulla terra e lo sguardo verso il cielo.
Gli artisti Agostini, Altobelli, Arcuri, Campanelli, Cucchi, Caccucciolo, De Gregorio, D’Elia, De Scisciolo, Diaco Mayer, Di Candia, Filograno, Grasso, Maggiulli, Milano, Marasco, Martinelli, Patruno, Sansonetti, Scaringi, Semeraro, Suppa, Tarantino partecipi di questa emozionante rassegna mentre guardano dentro di sé, nella profondità della loro realtà interna, sono capaci di scoprire che siamo l’uno parte dell’altro indissolubilmente e che si cerca quell’unità che rappresenta il mondo della felicità».
La mostra raccoglie la ricerca “narrativa” condotta con il linguaggio della pittura, della scultura e della fotografia di 23 artisti di diversa provenienza e sensibilità che testimoniano e interpretano il coinvolgimento emotivo degli autori sul tema della violenza sulle donne.
«La storia delle donne è molto complessa e ovviamente fonda le sue radici nella storia dell’umanità» scrive nel testo critico Santa FIZZAROTTI SELVAGGI. «E’ oltremodo evidente che l’attribuzione di una funzione esclusivamente riproduttiva ha limitato la donna nella sua pienezza di persona, i cui compiti nella società sono molteplici, tra i quali, quello di contribuire a trasformare gli eventi della storia, a tramandare racconti, a formare le giovani generazioni. Il “genio” femminile si ravvisa, infatti, anche nella capacità di generare creatività e civiltà, oltre che di imprimere nuove forme alla mente. In tal senso, come emerse dalla Conferenza di Pechino, si istituisce l’autorevolezza della donna:la storia delle donne non è dunque una storia di vinti. Da Oggetto a Soggetto, così come liberamente ha affermato Adélaide Labille-Guiard: “Cosa importa dove mi trascina il vento, io reco in me il principio della mia felicità”. L’immagine femminile ha, in definitiva, una storia nascosta, che si rivela soltanto allo sguardo di coloro che sono in grado di guardare con altri occhi. La narrazione del grande racconto femminile è, purtroppo per molti aspetti, intessuta di sofferenza e di silenzio, di violenze e di sublimazioni. Le donne hanno sempre generato e nutrito tutti i popoli del mondo: la metafora che il mito di Hestia racconta le rende Dee del focolare che certo non è da intendersi quale luogo di emarginazione domestica, ma custodi delle tradizioni e delle leggende, della cultura quale insieme delle esperienze umane. Prometeo rubò a Zeus la scintilla del fuoco, della creatività, della luce per un nuovo intelligere le cose del mondo, Hestia però protesse questo “sacro fuoco” per far sì che potesse essere patrimonio delle generazioni future. Ma per secoli e forse per una invidia inconscia degli uomini nei confronti della possibilità generativa delle donne, queste sono state spesso costrette al silenzio rinchiuse nelle mura domestiche. In tal modo hanno introiettato forzatamente i modelli androcentrici trasmettendoli inconsapevolmente ai propri figli perpetrando la struttura di ordine patriarcale , di Padre/Padrone. In qualche modo, però, la loro voce, soprattutto in forma di poesia e di quel particolare prendersi amorevolmente cura dell’Altro, ha attraversato la storia sino a facilitare lo sviluppo di una diversa consapevolezza nel Ventesimo Secolo. Eppure avendo le donne fatto sentire la loro voce, il preumano in noi ha consentito che emergesse quel predatore mai sopito. La storia della coscienza, invero, è lunga e difficile poiché necessita di scoprire dolorosamente quella parte di verità nascosta in ciascun essere umano, sempre fragile e inerme dinanzi al mondo. Non è semplice riconoscere di essere stati consegnati in tutto e per tutto alle braccia di una donna, amata oltre misura e anche invidiata, come M. Klein insegna. E allora forse il senso più segreto degli efferati delitti ai quali assistiamo sta nel non riconoscere che in realtà si tende a sopprimere la parte femminile in noi, per negare di essere stati un tempo assolutamente dipendenti da questa. Quando le parole d’amore svaniscono si passa all’atto. Si tratta di imparare ad essere autonomi , se pur nella sofferenza dell’esistere in quanto tale. Le Muse erano di genere femminile e furono messe a tacere. La loro dolce voce ora alza il tono e canta la fiaba delle “scarpette rosse” come segno di autentica libertà mentre chiede rispetto e amore.
Ricostruire il dialogo con l’Altro da sé è fondamentale per entrambi. Non c’è, infatti, amore senza l’Alterità, senza questo incontrarsi in modo che non ci siano né vincitori né vinti, né dominio dell’uno sull’altra.
Scarpette rosse… un titolo molto emblematico per questa mostra che cita la fiaba di Andersen. Esse sono simbolo del desiderio di libertà che però, se non viene reso consapevole, può diventare uno strumento capace di imprigionare sempre di più negli stereotipi piuttosto che di rendere liberi con la possibilità di camminare nel mondo con i piedi sulla terra e lo sguardo verso il cielo.
Gli artisti Agostini, Altobelli, Arcuri, Campanelli, Cucchi, Caccucciolo, De Gregorio, D’Elia, De Scisciolo, Diaco Mayer, Di Candia, Filograno, Grasso, Maggiulli, Milano, Marasco, Martinelli, Patruno, Sansonetti, Scaringi, Semeraro, Suppa, Tarantino partecipi di questa emozionante rassegna mentre guardano dentro di sé, nella profondità della loro realtà interna, sono capaci di scoprire che siamo l’uno parte dell’altro indissolubilmente e che si cerca quell’unità che rappresenta il mondo della felicità».
15
dicembre 2018
Scarpette Rosse
Dal 15 dicembre 2018 al 12 gennaio 2019
arte contemporanea
Location
GALLERIA SPAZIOSEI
Monopoli, Via Sant'anna, 6, (Bari)
Monopoli, Via Sant'anna, 6, (Bari)
Orario di apertura
da martedì a sabato ore 17.30 - 20.30
Vernissage
15 Dicembre 2018, ore 19.00
Autore
Curatore