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Scavi
la mostra raccoglie circa una quindicina di opere fra sculture, installazioni e video di cinque artisti francesi
Comunicato stampa
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Giovedì 16 settembre presso il Centre Culturel Francais di Milano inaugura la mostra collettiva dal titolo Scavi, a cura di Simone Menegoi, che raccoglie circa una quindicina di opere fra sculture, installazioni e video di cinque artisti francesi: Hubert Duprat (1957), Toni Grand (1935-2005), Ariane Michel (1973), Gyan Panchal (1973), Evariste Richer (1969).
L’esposizione costituisce il terzo appuntamento del progetto espositivo Una certa idea della Francia, ideato e promosso dal direttore del Centre Olivier Descotes, che nell’arco di due anni coinvolge artisti francesi e curatori italiani.
Iniziato lo scorso gennaio con la mostra di Raphaël Zarka, curata da Marcello Smarrelli, il ciclo è proseguito a maggio con la personale di Guillaume Leblon, curata da Alessandro Rabottini.
La scelta del titolo nasce dal desiderio di sottolineare lo sguardo dei curatori italiani sul panorama delle ultime due generazioni di artisti francesi, un modo per ribadire l’esistenza di un dialogo ininterrotto tra i due Paesi. La scelta dei curatori, invece, è operata dal direttore e si basa sulla loro attività nella promozione dell'arte emergente internazionale.
A prima vista, le opere dei cinque artisti invitati da Menegoi potrebbero sembrare una piccola collezione di reperti paleontologici e di manufatti preistorici: fossili, grandi selci scolpite a forma di teste di animali, vetrine con minerali e frammenti di mosaico. In realtà, si tratta di reperti fittizi o spuri, che denunciano subito la loro natura. Le grandi selci, ad esempio (Hubert Duprat, Les Bêtes, 1992-99), sono creazioni strettamente contemporanee: dapprima lavorate pazientemente con le tecniche paleolitiche originali, sono state poi levigate con utensili industriali, condensando così un arco enorme di storia della tecnica. Viene evocata l’idea di una archeologia di finzione, che fa rivivere tecniche arcaiche (Duprat, Toni Grand), trasforma le tracce del presente nelle testimonianze di una civiltà scomparsa (Gyan Panchal), innesca deliberati anacronismi (Evariste Richer). Il video che chiude l’esposizione (Ariane Michel, La cave, 2009) rovescia la prospettiva, accrescendo l’ambiguità dell’insieme: ciò che sembra a prima vista un’affascinante messa in scena è invece una situazione reale. Il luogo che vediamo emergere poco a poco dall’oscurità è l’insolito laboratorio di un paleontologo: una grotta in Siberia dove l’uomo esamina e conserva reperti preistorici. Fra questi, la carcassa di un mammut ritrovato sepolto fra i ghiacci, di cui l’uomo sta scongelando pazientemente, con un semplice asciugacapelli, una ciocca di peli.
Una nozione che accomuna le opere è quella della materia come deposito di memoria culturale. Nel corso della storia umana, i materiali si sono caricati di una quantità enorme di informazioni: associazioni mitologiche, competenze tecniche, conoscenze scientifiche. L’insieme di queste informazioni forma un sedimento invisibile che può essere “scolpito” a livello concettuale, così come si scolpisce fisicamente il legno o la pietra. È in questa materia impalpabile, nella stratificazione che la storia dell’uomo ha depositato sulla materia e sui gesti, che “scavano” gli artisti presenti in mostra. Un tema collegato a questo è l’idea di utensile come creazione umana essenziale. Il piccolo asciugacapelli impugnato da un paleontologo nel video di Ariane Michel sembra incongruo rispetto alla mole del mammut. Eppure, come le armi rudimentali degli uomini del Paleolitico bastavano loro per abbattere il gigantesco animale, così l’aria calda dell’asciugacapelli basta a scongelarne un campione e a renderlo disponibile per le analisi. Fragili e temibili, la lancia e l’asciugacapelli possono benissimo assurgere a simbolo del dominio dell’uomo sull’ambiente.
Infine, Scavi mette in scena un dialogo fra generazioni. A tre artisti nati intorno al 1970 (Ariane Michel, Gyan Panchal, Evariste Richer) vengono affiancati due maestri: Hubert Duprat, artista appartato e affascinante, e Toni Grand, straordinario scultore legato al gruppo Supports/Surfaces, la cui opera è scarsamente conosciuta al di fuori del suo Paese. L’accostamento si giustifica grazie ad alcune affinità fra gli artisti a livello di intuizioni, di tematiche, di tecniche; lo scopo di metterli a confronto è quello di superare la visuale ristretta della tipica mostra di giovani artisti, cercando di evidenziare parentele e legami che superano le differenze generazionali.
La scelta di esporre le opere di Toni Grand, in particolare, risponde alla predilezione del curatore per figure del passato recente marginali e inclassificabili, il cui talento, per le ragioni più diverse, non è stato ancora pienamente riconosciuto.
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Kaleidoscope, con un testo del curatore e apparati fotografici a colori. Al termine dell’intero ciclo espositivo sarà pubblicato un catalogo generale con un video di Anton Giulio Onofri.
L’esposizione costituisce il terzo appuntamento del progetto espositivo Una certa idea della Francia, ideato e promosso dal direttore del Centre Olivier Descotes, che nell’arco di due anni coinvolge artisti francesi e curatori italiani.
Iniziato lo scorso gennaio con la mostra di Raphaël Zarka, curata da Marcello Smarrelli, il ciclo è proseguito a maggio con la personale di Guillaume Leblon, curata da Alessandro Rabottini.
La scelta del titolo nasce dal desiderio di sottolineare lo sguardo dei curatori italiani sul panorama delle ultime due generazioni di artisti francesi, un modo per ribadire l’esistenza di un dialogo ininterrotto tra i due Paesi. La scelta dei curatori, invece, è operata dal direttore e si basa sulla loro attività nella promozione dell'arte emergente internazionale.
A prima vista, le opere dei cinque artisti invitati da Menegoi potrebbero sembrare una piccola collezione di reperti paleontologici e di manufatti preistorici: fossili, grandi selci scolpite a forma di teste di animali, vetrine con minerali e frammenti di mosaico. In realtà, si tratta di reperti fittizi o spuri, che denunciano subito la loro natura. Le grandi selci, ad esempio (Hubert Duprat, Les Bêtes, 1992-99), sono creazioni strettamente contemporanee: dapprima lavorate pazientemente con le tecniche paleolitiche originali, sono state poi levigate con utensili industriali, condensando così un arco enorme di storia della tecnica. Viene evocata l’idea di una archeologia di finzione, che fa rivivere tecniche arcaiche (Duprat, Toni Grand), trasforma le tracce del presente nelle testimonianze di una civiltà scomparsa (Gyan Panchal), innesca deliberati anacronismi (Evariste Richer). Il video che chiude l’esposizione (Ariane Michel, La cave, 2009) rovescia la prospettiva, accrescendo l’ambiguità dell’insieme: ciò che sembra a prima vista un’affascinante messa in scena è invece una situazione reale. Il luogo che vediamo emergere poco a poco dall’oscurità è l’insolito laboratorio di un paleontologo: una grotta in Siberia dove l’uomo esamina e conserva reperti preistorici. Fra questi, la carcassa di un mammut ritrovato sepolto fra i ghiacci, di cui l’uomo sta scongelando pazientemente, con un semplice asciugacapelli, una ciocca di peli.
Una nozione che accomuna le opere è quella della materia come deposito di memoria culturale. Nel corso della storia umana, i materiali si sono caricati di una quantità enorme di informazioni: associazioni mitologiche, competenze tecniche, conoscenze scientifiche. L’insieme di queste informazioni forma un sedimento invisibile che può essere “scolpito” a livello concettuale, così come si scolpisce fisicamente il legno o la pietra. È in questa materia impalpabile, nella stratificazione che la storia dell’uomo ha depositato sulla materia e sui gesti, che “scavano” gli artisti presenti in mostra. Un tema collegato a questo è l’idea di utensile come creazione umana essenziale. Il piccolo asciugacapelli impugnato da un paleontologo nel video di Ariane Michel sembra incongruo rispetto alla mole del mammut. Eppure, come le armi rudimentali degli uomini del Paleolitico bastavano loro per abbattere il gigantesco animale, così l’aria calda dell’asciugacapelli basta a scongelarne un campione e a renderlo disponibile per le analisi. Fragili e temibili, la lancia e l’asciugacapelli possono benissimo assurgere a simbolo del dominio dell’uomo sull’ambiente.
Infine, Scavi mette in scena un dialogo fra generazioni. A tre artisti nati intorno al 1970 (Ariane Michel, Gyan Panchal, Evariste Richer) vengono affiancati due maestri: Hubert Duprat, artista appartato e affascinante, e Toni Grand, straordinario scultore legato al gruppo Supports/Surfaces, la cui opera è scarsamente conosciuta al di fuori del suo Paese. L’accostamento si giustifica grazie ad alcune affinità fra gli artisti a livello di intuizioni, di tematiche, di tecniche; lo scopo di metterli a confronto è quello di superare la visuale ristretta della tipica mostra di giovani artisti, cercando di evidenziare parentele e legami che superano le differenze generazionali.
La scelta di esporre le opere di Toni Grand, in particolare, risponde alla predilezione del curatore per figure del passato recente marginali e inclassificabili, il cui talento, per le ragioni più diverse, non è stato ancora pienamente riconosciuto.
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Kaleidoscope, con un testo del curatore e apparati fotografici a colori. Al termine dell’intero ciclo espositivo sarà pubblicato un catalogo generale con un video di Anton Giulio Onofri.
16
settembre 2010
Scavi
Dal 16 settembre al 12 novembre 2010
arte contemporanea
Location
CENTRE CULTUREL FRANÇAIS
Milano, Corso Magenta, 63, (Milano)
Milano, Corso Magenta, 63, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato 15 - 19 (lun./dom. chiuso)
Vernissage
16 Settembre 2010, ore 18.30
Autore
Curatore