Scott Reeder ribalta il consueto ed accademico approccio alla storia dell’arte proponendo un percorso in cui lo stile dei maestri delle avanguardie storiche viene ripercorso mescolando antiche e nuove suggestioni. Nei suoi dipinti pacificamente convivono il vibrante accordo cromatico di Bonnard e le forme gelatinose di Guston con il gusto analitico dei maestri del cubismo. Con grande maestria, l’artista riesce tuttavia a percorrere indenne i sentieri sdrucciolevoli dell’epigonismo per approdare, con una sagacia degna d’un film di Woody Allen, ad un’appassionata indagine sul modernismo finalizzata a demistificare il mito dell’artista maudit, nato dalle atmosfere bohemiennes della Francia di fine Ottocento; un mito duro a morire e per questo ancora adatto a spiegare le nevrosi e contraddizioni dell’attuale sistema dell’arte .

I dipinti quasi tutti di piccolo-medio formato, tessono il loro racconto giocoso e mordace con una pittura ora dai contorni volutamente indeterminati, dai colori liquidi e impastati, ora condotta invece con precisione e nettezza in contorni larghi e puntuali, in uno spazio che si dà come superficie.
Sempre tuttavia, la trama pittorica fatta di accordi e dissonanze lascia trasparire profondità, strati o veli più interni: evocate dall’insistenza delle linee e dei colori, appaiono le figure, le cose, sospese od immerse nella sostanza rarefatta delle velature colorate. E per quanto sia chiaro il disegno e vivido il colore, l’immagine rimane sempre come atomizzata nell’ambiente.

“ Come un interrogatorio di polizia tra due amici, il lavoro è complicato, contraddittorio, multi-sfaccettato; oscilla tra speranza e sospetto, negazione e fede”.