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Se son fiori…moriranno?
E’ la seconda volta che Spazio 55 invita gli artisti ad esprimersi sul tema “rifiuti”. Anche in questa occasione non è accaduto che la mostra e gli eventi nei quali si articola siano stati preceduti o accompagnati da grandi discussioni di merito, da sussiegosi riferimenti ideologici, tipici di un’arte “a programma”. La scintilla che muove il gruppo è sempre un’idea, un gesto creativo, una sintesi simbolica, un emblema poetico, una metafora visiva.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Guido Pensato - Gaetano Cristino
Se son fiori…moriranno?
Gli artisti – inguaribili apocalittici e, nel contempo, presuntuosi ottimisti – sono disposti a tutto, pur di esserci, di essere visibili e utili, indispensabili o ineluttabilmente futili, superflui. Anche a prendere su di sé il compito di vaticinare la imminente, incombente fine del mondo (per poi proporre la propria opera, per proporsi – con graffiante ironia, con cupa consapevolezza o con gioiosa e delirante leggerezza - come l’estrema speranza, la salvezza). E lo fanno, scrutando la sorte e il destino collettivi anche tra i rifiuti: da più tempo di quanto si creda. Raramente con l’intenzione diretta di travalicare la dimensione estetica, creativa, poetica. Eppure sempre, quando è accaduto e accade, una sottolineatura, una designazione capovolta – critica e politica - un approccio provocatoriamente ribaltato è sotteso, più o meno esplicito e dichiarato o addirittura proclamato. Ad additare, per esempio, i disastri dell’alienazione consumistica, la compulsiva, anoressica voracità da suicidi. Ma anche a segnalare l’intrinseca, recondita bellezza delle cose rifiutate. Una bellezza recuperata e svelata attraverso la pittura, il collage, l’assemblaggio o la semplice designazione dell’oggetto “trovato”, “raccolto” ed “esposto”. Una “bellezza” non pacificata, che esplora la terribile quotidianità scendendo nell’abisso della società, scrutando “le sue fondamenta, le sue fogne, i suoi aspetti più terribili e impresentabili” (Remo Bodei), le sue “discariche”. Un rovesciamento dei canoni tradizionali dell’arte analizzato già da Karl Rosenkranz (L’estetica del brutto,1853) e perseguito, paradossalmente, tra momenti lirici e drammatici, lungo un arco che allinea l’esperienza di Vincent Van Gogh in visita al “posto dove gli spazzini ammucchiano i rifiuti […] vero paradiso per l’artista, per quanto brutto possa essere”, per trovarvi oggetti da ammirare e utilizzare come modelli; che coglie i rituali apocalittici Dada assorbiti dal Futurismo; che esprime la Grande Opera, il Merzbau di Schwitters e il ready made duchampiano; per finire ai combines di Bob Rauschenberg, che si aggira per New York, “consapevole di vivere in un ambiente intasato dai rifiuti, in un paesaggio di oggetti scartati e di messaggi effimeri”, che egli recupera nella loro attualità, per esplorare, confezionare e proporre un “nuovo realismo”.
Ma recuperare scarti, rifiuti e detriti; ricomporli, esporli, inscatolarli, dar loro un senso, anche estetico, non è forse il tentativo di ricomporre (ri-ciclare) nella provocazione anche i frammenti della nostra esistenza, sempre più vituperata, maltrattata, martoriata, rifiutata?
Una lezione, un ammaestramento? Questo, per esempio: impariamo a vedere il brutto dove è davvero. Scopriremo anche dove è il suo opposto (e il giusto). E viceversa. Un esercizio salutare (soprattutto di questi tempi): di stile, di etica, di civile indignazione, di ironico distacco: da artisti, apocalittici e presuntuosi, si è detto, ma a disposizione anche di quanti, semplicemente, decidono di farsi consapevoli (e) protagonisti.
E’ la seconda volta che Spazio 55 invita gli artisti ad esprimersi sul tema “rifiuti”. Anche in questa occasione non è accaduto che la mostra e gli eventi nei quali si articola siano stati preceduti o accompagnati da grandi discussioni di merito, da sussiegosi riferimenti ideologici, tipici di un’arte “a programma”. La scintilla che muove il gruppo è sempre un’idea, un gesto creativo, una sintesi simbolica, un emblema poetico, una metafora visiva.
Con T.R.A.S.H. (febbraio-marzo 2008) fu la “bolla ecologica”, un mappamondo-pianeta-spazzatura, centinaia di shoppers di plastica, a sintetizzare il “messaggio” e ad accompagnare le singole opere (anch’esse in plastica riutilizzata e “nobilitata”) e a sottolineare spazi ed eventi della città. Questa mostra-evento, “Se son fiori…moriranno?”, nasce invece da una testardamente gioiosa invenzione di Antonio Di Michele: l’“albero trash”, frutto di un “recupero di secondo livello” delle buste di plastica della “bolla”. Un’idea che ha fatto germinare, a sua volta, quella di Katia Berlantini: un recinto-espositore in plastica trasparente, che contiene “rifiuti non rifiutati” e “avvisi ai rifiutanti” di ogni risma e di ogni (in-)consapevolezza; gli uni e gli altri “conferiti” da tutti gli artisti presenti nella mostra “al chiuso”. Nella quale la stessa Katia Berlantini gioca con l’effimero della quotidianità più ordinaria (sei piatti in plastica trasparente) e quello di una ricorrenza (il Natale) smarrita nei rituali del consumo. Il tutto per confezionare un bagliore-lampada-votiva tanto precario quanto ironico. Anche Michele Carmellino ricorre a strumenti della pratica alimentare, bicchieri di plastica che trasforma in piccole urne-ostensori, destinate a conservare non si sa bene se banali particelle di giorni banali o frammenti del nostro tempo e del nostro destino. Piero Cimino si scosta dal dualismo “dentro-fuori” proposto dall’evento e allude, con il suo volo di uccelli in leggera plastica colorata, a una sorta di “ineluttabilità della poesia”. Così come Rosy Daniello non sembra voler rinunciare alla centralità di una natura vitale e (perchè) generatrice, anche se addensata in relitto simbolico (un melograno avvizzito), per di più prigioniero di una rete fatta di altri relitti di vissuto (grucce in fil di ferro). La stessa “ri.vista non s.foglia.bile” di Antonio Di Michele incorpora e esibisce (anche attraverso la disarticolazione della parola e dell’impaginato) una “gestualità assente” e mai più rinnovabile, se non nella nuova veste di reperto-opera. E assente è il rituale del dono, normalmente realizzato attraverso i fiori e che nella sua opera, viceversa, Nicola Liberatore enuncia in tutta la sua vacuità, mostrando le semplici spoglie calcinate dal tempo e il degrado della cura del “confezionare” al rango di azioni preparatorie della morte. Poesia e disegno, versi e colori utilizza Matteo Manduzio per risolvere in positivo il dubbio che l’evento e la mostra propongono: il tutto nel segno dell’accudimento e dell’amore, l’uno e l’altro totali, esclusivi. Una ardua, quasi impossibile pulsione all’accudimento attraverso l’arte, un amore sovrumano devono animare chi, come Nelli Maffia, prende su di sé il compito di trasformare in accogliente nido una delle grandi spazzole di una macchina pulitrice. Relitti sono quelli “citati” – dopo essere stati “trovati” – ed esibiti da Guido Pensato; brandelli di storia dell’arte (tra collage dada, ready made e poverismo), assenblati in un “memento” muto e allusivamente loquace. Di un “gesto artistico” si occupa Enzo Ruggiero: compiuto, dimenticato, ma per fortuna impresso in una tavoletta di legno. Anch’essa cercata e trovata circa vent’anni fa, messa da parte, ma arricchita di simboli e dell’impronta di mani, che ne certificano possesso e coscienza e che tornano vive e “utili” oggi, nell’occasione di questa mostra.
Le iniziative e gli eventi espositivi di Spazio 55 si sono sempre caratterizzati per una cifra composita, fatta di creatività esuberante e ironia, di passione e gioia dell’invenzione. Un’atmosfera insolita sembra, viceversa, attraversare questa mostra: al di là dei segni, dei sensi e dei significati di ogni singola opera. Una dolente consapevolezza, ora sotterranea ora esplicita, dello spirito dei tempi presenti? Forse. Nei confronti del quale i rifiuti sembrano svolgere il ruolo di simboli maleodoranti e invadenti e il rifiuto quello di opportunità sempre rinviata e sempre, comunque, inadeguata. Eppure, insieme: albero trash, installazione-recinto-espositore e mostra; opere, materiali riciclati e riutilizzati, concorrono a fornire suggestioni (insolite, stravaganti, pensose) e a proporsi, ad assurgere, complessivamente, a silenzioso manifesto collettivo dell’uno e degli altri.
Se son fiori…moriranno?
Gli artisti – inguaribili apocalittici e, nel contempo, presuntuosi ottimisti – sono disposti a tutto, pur di esserci, di essere visibili e utili, indispensabili o ineluttabilmente futili, superflui. Anche a prendere su di sé il compito di vaticinare la imminente, incombente fine del mondo (per poi proporre la propria opera, per proporsi – con graffiante ironia, con cupa consapevolezza o con gioiosa e delirante leggerezza - come l’estrema speranza, la salvezza). E lo fanno, scrutando la sorte e il destino collettivi anche tra i rifiuti: da più tempo di quanto si creda. Raramente con l’intenzione diretta di travalicare la dimensione estetica, creativa, poetica. Eppure sempre, quando è accaduto e accade, una sottolineatura, una designazione capovolta – critica e politica - un approccio provocatoriamente ribaltato è sotteso, più o meno esplicito e dichiarato o addirittura proclamato. Ad additare, per esempio, i disastri dell’alienazione consumistica, la compulsiva, anoressica voracità da suicidi. Ma anche a segnalare l’intrinseca, recondita bellezza delle cose rifiutate. Una bellezza recuperata e svelata attraverso la pittura, il collage, l’assemblaggio o la semplice designazione dell’oggetto “trovato”, “raccolto” ed “esposto”. Una “bellezza” non pacificata, che esplora la terribile quotidianità scendendo nell’abisso della società, scrutando “le sue fondamenta, le sue fogne, i suoi aspetti più terribili e impresentabili” (Remo Bodei), le sue “discariche”. Un rovesciamento dei canoni tradizionali dell’arte analizzato già da Karl Rosenkranz (L’estetica del brutto,1853) e perseguito, paradossalmente, tra momenti lirici e drammatici, lungo un arco che allinea l’esperienza di Vincent Van Gogh in visita al “posto dove gli spazzini ammucchiano i rifiuti […] vero paradiso per l’artista, per quanto brutto possa essere”, per trovarvi oggetti da ammirare e utilizzare come modelli; che coglie i rituali apocalittici Dada assorbiti dal Futurismo; che esprime la Grande Opera, il Merzbau di Schwitters e il ready made duchampiano; per finire ai combines di Bob Rauschenberg, che si aggira per New York, “consapevole di vivere in un ambiente intasato dai rifiuti, in un paesaggio di oggetti scartati e di messaggi effimeri”, che egli recupera nella loro attualità, per esplorare, confezionare e proporre un “nuovo realismo”.
Ma recuperare scarti, rifiuti e detriti; ricomporli, esporli, inscatolarli, dar loro un senso, anche estetico, non è forse il tentativo di ricomporre (ri-ciclare) nella provocazione anche i frammenti della nostra esistenza, sempre più vituperata, maltrattata, martoriata, rifiutata?
Una lezione, un ammaestramento? Questo, per esempio: impariamo a vedere il brutto dove è davvero. Scopriremo anche dove è il suo opposto (e il giusto). E viceversa. Un esercizio salutare (soprattutto di questi tempi): di stile, di etica, di civile indignazione, di ironico distacco: da artisti, apocalittici e presuntuosi, si è detto, ma a disposizione anche di quanti, semplicemente, decidono di farsi consapevoli (e) protagonisti.
E’ la seconda volta che Spazio 55 invita gli artisti ad esprimersi sul tema “rifiuti”. Anche in questa occasione non è accaduto che la mostra e gli eventi nei quali si articola siano stati preceduti o accompagnati da grandi discussioni di merito, da sussiegosi riferimenti ideologici, tipici di un’arte “a programma”. La scintilla che muove il gruppo è sempre un’idea, un gesto creativo, una sintesi simbolica, un emblema poetico, una metafora visiva.
Con T.R.A.S.H. (febbraio-marzo 2008) fu la “bolla ecologica”, un mappamondo-pianeta-spazzatura, centinaia di shoppers di plastica, a sintetizzare il “messaggio” e ad accompagnare le singole opere (anch’esse in plastica riutilizzata e “nobilitata”) e a sottolineare spazi ed eventi della città. Questa mostra-evento, “Se son fiori…moriranno?”, nasce invece da una testardamente gioiosa invenzione di Antonio Di Michele: l’“albero trash”, frutto di un “recupero di secondo livello” delle buste di plastica della “bolla”. Un’idea che ha fatto germinare, a sua volta, quella di Katia Berlantini: un recinto-espositore in plastica trasparente, che contiene “rifiuti non rifiutati” e “avvisi ai rifiutanti” di ogni risma e di ogni (in-)consapevolezza; gli uni e gli altri “conferiti” da tutti gli artisti presenti nella mostra “al chiuso”. Nella quale la stessa Katia Berlantini gioca con l’effimero della quotidianità più ordinaria (sei piatti in plastica trasparente) e quello di una ricorrenza (il Natale) smarrita nei rituali del consumo. Il tutto per confezionare un bagliore-lampada-votiva tanto precario quanto ironico. Anche Michele Carmellino ricorre a strumenti della pratica alimentare, bicchieri di plastica che trasforma in piccole urne-ostensori, destinate a conservare non si sa bene se banali particelle di giorni banali o frammenti del nostro tempo e del nostro destino. Piero Cimino si scosta dal dualismo “dentro-fuori” proposto dall’evento e allude, con il suo volo di uccelli in leggera plastica colorata, a una sorta di “ineluttabilità della poesia”. Così come Rosy Daniello non sembra voler rinunciare alla centralità di una natura vitale e (perchè) generatrice, anche se addensata in relitto simbolico (un melograno avvizzito), per di più prigioniero di una rete fatta di altri relitti di vissuto (grucce in fil di ferro). La stessa “ri.vista non s.foglia.bile” di Antonio Di Michele incorpora e esibisce (anche attraverso la disarticolazione della parola e dell’impaginato) una “gestualità assente” e mai più rinnovabile, se non nella nuova veste di reperto-opera. E assente è il rituale del dono, normalmente realizzato attraverso i fiori e che nella sua opera, viceversa, Nicola Liberatore enuncia in tutta la sua vacuità, mostrando le semplici spoglie calcinate dal tempo e il degrado della cura del “confezionare” al rango di azioni preparatorie della morte. Poesia e disegno, versi e colori utilizza Matteo Manduzio per risolvere in positivo il dubbio che l’evento e la mostra propongono: il tutto nel segno dell’accudimento e dell’amore, l’uno e l’altro totali, esclusivi. Una ardua, quasi impossibile pulsione all’accudimento attraverso l’arte, un amore sovrumano devono animare chi, come Nelli Maffia, prende su di sé il compito di trasformare in accogliente nido una delle grandi spazzole di una macchina pulitrice. Relitti sono quelli “citati” – dopo essere stati “trovati” – ed esibiti da Guido Pensato; brandelli di storia dell’arte (tra collage dada, ready made e poverismo), assenblati in un “memento” muto e allusivamente loquace. Di un “gesto artistico” si occupa Enzo Ruggiero: compiuto, dimenticato, ma per fortuna impresso in una tavoletta di legno. Anch’essa cercata e trovata circa vent’anni fa, messa da parte, ma arricchita di simboli e dell’impronta di mani, che ne certificano possesso e coscienza e che tornano vive e “utili” oggi, nell’occasione di questa mostra.
Le iniziative e gli eventi espositivi di Spazio 55 si sono sempre caratterizzati per una cifra composita, fatta di creatività esuberante e ironia, di passione e gioia dell’invenzione. Un’atmosfera insolita sembra, viceversa, attraversare questa mostra: al di là dei segni, dei sensi e dei significati di ogni singola opera. Una dolente consapevolezza, ora sotterranea ora esplicita, dello spirito dei tempi presenti? Forse. Nei confronti del quale i rifiuti sembrano svolgere il ruolo di simboli maleodoranti e invadenti e il rifiuto quello di opportunità sempre rinviata e sempre, comunque, inadeguata. Eppure, insieme: albero trash, installazione-recinto-espositore e mostra; opere, materiali riciclati e riutilizzati, concorrono a fornire suggestioni (insolite, stravaganti, pensose) e a proporsi, ad assurgere, complessivamente, a silenzioso manifesto collettivo dell’uno e degli altri.
08
marzo 2009
Se son fiori…moriranno?
Dall'otto al 31 marzo 2009
arte contemporanea
Location
SPAZIO 55 ARTE CONTEMPORANEA
Foggia, Via Enzo Fioritto, 55, (Foggia)
Foggia, Via Enzo Fioritto, 55, (Foggia)
Orario di apertura
giorni feriali per appuntamento (dalle18,30 alle 20,00). giorni festivi: chiuso.
Vernissage
8 Marzo 2009, ore 10.30 installazione collettiva e ore 18.30 mostra di opere singole
Autore
Curatore