Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Sebastiano Vilella – Il tesoro nascosto
La pittura di Sebastiano Vilella è molto “nuova”, anche quando può non sembrare. Certo, la sua pittura è pure “antica”, in quanto si impronta a un sentimento di religiosità etica oggi desueto; ma non per questo appare “vecchia”. Invece è una pittura tutt’altro che banale.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
dal catalogo:
L’EQUILIBRIO DELLA MELANCONIA
C’è una pittura nuova, contemporanea, che ricorda quella antica, della grande tradizione. Ma non perché la imiti, non necessariamente. Né perché essa si presenti figurativa, formalmente composta, cromaticamente accesa, di essenza metaforica. Non solo, almeno.
Questa pittura nuova ricorda bene quella di secoli fa, perché parla alla sostanza perenne dell’animo umano e non alle mode del momento, non alle rincorse del futuro, non al baluginio delle banconote, non agli istinti e basta.
C’è una pittura nuova che non grida, com’è uso attuale, ma sussurra, come usava meglio un tempo; che non impone, ma propone, con delicata ritrosia; che non è insicura, ma – per fortuna – neppure arrogantemente sicura di sé.
La pittura di Sebastiano Vilella è molto “nuova”, anche quando può non sembrare. Certo, la sua pittura è pure “antica”, in quanto si impronta a un sentimento di religiosità etica oggi desueto; ma non per questo appare “vecchia”. Invece è una pittura tutt’altro che banale. Ed è sorprendente, sempre: perciò è sempre nuova, anche quando appare moderna o, peggio, contemporanea.
La pittura di Sebastiano Vilella è viva, e questo ci basta. Anzi, ci inonda e ci riempie; e forse perfino, per incapacità nostra, ci avanza.
Vilella è un artista atipico, in quanto dotato di una passionalità intensamente mediterranea ma venata di un raziocinio più nordico. La sua espressività pare il frutto di un conflitto perenne tra lo slancio e il trattenersi, tra riservatezza e generosità.
Di fatto l’arte, specchio della vita, difficilmente dà risposte, più spesso si pone domande. Così, le visioni di questo pittore non sono saggi logici, ma bensì poemetti composti con la matematica del cuore; geometrie accurate, ma non euclidee; fotografie che mettono in posa mossi e sfocati tumulti interiori. Ebbene, quasi contraddizioni in termini, esse non rappresentano facili soluzioni quanto invece nuovi e accurati nodi.
Non è affatto un caso che il pittore Vilella sia bene abituato ad esprimersi anche per mezzo del fumetto. Nel corso degli anni Ottanta, quando in Italia era meno difficile trovare spazi per pubblicare storie disegnate che non fossero destinate solo a un consumo frettoloso, sulle pagine di diverse riviste consacrate al cosiddetto “fumetto d’autore” Vilella ebbe modo di raccontare i propri fantasmi col disegno e con la parola, affermandosi in breve come uno dei “giovani lupi” del fumetto italiano di fine secolo. Ma progredendo negli anni Novanta il paesaggio nazionale si fece a mano a mano più ostile per chi cercava di raccontare se stesso e il proprio mondo in piccoli film di carta, volentieri realizzati in un bianconero espressionista che bene si confaceva a racchiudere i grandi tormenti e le piccole gioie della contemporaneità, specialmente giovanile. Chi creava fumetti non banali si dovette allora distribuire su altre attività creative. Sebastiano Vilella è tornato in pianta stabile al primo amore, la pittura, ma ancora e sempre considerandola faccia complementare di un unico coeso solido espressivo: mentre con il fumetto raccontava il lato più oscuro di sé, la pittura gli dà accesso al proprio volto più sereno e consolato, e il bilanciamento del percorso che ne risulta è, a posteriori, quanto mai soddisfacente.
Tanto il fumetto è veloce e diretto nell’approccio e nella fruizione, tanto i dipinti vengono affrontati con tecnica più delicata e impegnativa e vanno contemplati con più sospesa intensità emotiva. Eppure, a chi conosce entrambi i momenti della poetica espressiva vilelliana risulta chiarissimo come in sostanza le tematiche affrontate restino le stesse, e come ognuna delle due attività completi reciprocamente le istanze avanzate nell’altra. La ricerca è sempre la medesima: di qualcosa di molto prezioso, che nelle pieghe della realtà si nasconde, e che da solo è in grado di dare un senso alla realtà tutta.
La rivelazione sta in attesa al di là dell’apparenza; ma questa non vela quella in modo irrimediabilmente oscuro, bisogna avere solo la melanconica pazienza di chi sa di essere partito ma non sa quando arriverà… Il pittore Vilella affronta il mistero ancora in modo ambivalente, con un senso di religiosità laica che lo apparenta da un lato al paganesimo più colto, quello cristallino neoplatonico, e dall’altro al cristianesimo più dolce, quello spolverato degli ori della leggenda. Tutt’altro che casuali appaiono così i ritorni al soggetto della “visita di Gabriele”: l’Annunciazione angelica è un episodio da favola che evoca atmosfere atemporali, una melodia cantata a voce bassa ma limpida, una metafora aggraziata di candore infantile, una nudità pura e luminosa senz’ombra di malizia.
Gli stessi corpi nudi dei dipinti vilelliani sono sovente idealizzazioni, archetipi slanciati e implumi di bellezza eterea in grado di suscitare sentimenti erotici più platonici (appunto) che sensuali. I tersi paesaggi rinascimentali di sfondo, i bianchi gigli e i fiori vari tra le erbe e nel vento, i giocattoli colorati sparsi sui pavimenti e sui tappeti d’erba, le morbide poltrone e i divani che accolgono quelle membra lisce e giovani, i tomi aperti e i fogli svolazzanti nell’aria mossa, tutti gli studiati particolari di tali composizioni altamente suggestive sottolineano il nitido sentimento simbolista dell’artista. Quel suo limbo è il Mondo delle Idee primigenio, dove le pagine dei libri devono ancora essere scritte.
Ma anche lì, persino lì, qualche inquietudine sta in agguato. Gli sguardi silenziosi non riescono a nascondere vaghe domande senza risposta. Le stesse conoscenze acquisite paiono illusorie. I cieli accumulano ranghi di nuvole in parata sbieca, vertiginosa. Le brezze sono tiepide ma scompigliatrici. Il paesaggio è ideale, ordinato, eppure freme sotto pelle. L’equilibrio regna sovrano, ma c’è il sospetto che basti un nonnulla a sbalestrarlo e a rimettere tutto in gioco. È che la bellezza vera è sempre sbigottente, talvolta annichilente. Non siamo abituati all’idea di un Eden vivibile; non sopportiamo il peso della perfezione; ogni rito misterico ora ci attrae e ora ci respinge; siamo uomini, imperfetti, non infiniti dèi, e forse neppure vogliamo esserlo.
Certo, la pittura di Sebastiano Vilella si snoda e lentamente si riannoda all’insegna del mistero. È opera di un animo contemplativo che tuttavia della contemplazione passiva non si accontenta, ma si pone interrogativi profondi. Nella sua ricerca, esistenziale prima ancora che espressiva, fa devoto ricorso a strumenti tradizionali, antichi, per intima adesione all’essenza dell’umanità intera, quella unica e indivisibile che vive in un tempo senza tempo, dilatato tra un giovane passato e un vecchio futuro. Nel suo percorso, esistenziale prima ancora che espressivo, Vilella ha scelto di fare anzitutto “buona pittura”, per produrre immagini emozionali che risultino emozionanti, silenti situazioni simboliche che suscitino tumultuosi interrogativi metafisici. Ci invita nel luogo della sua anima, educatamente; e noi vi entriamo in punta di piedi, un poco timorosi di disturbare.
Ferruccio Giromini
L’EQUILIBRIO DELLA MELANCONIA
C’è una pittura nuova, contemporanea, che ricorda quella antica, della grande tradizione. Ma non perché la imiti, non necessariamente. Né perché essa si presenti figurativa, formalmente composta, cromaticamente accesa, di essenza metaforica. Non solo, almeno.
Questa pittura nuova ricorda bene quella di secoli fa, perché parla alla sostanza perenne dell’animo umano e non alle mode del momento, non alle rincorse del futuro, non al baluginio delle banconote, non agli istinti e basta.
C’è una pittura nuova che non grida, com’è uso attuale, ma sussurra, come usava meglio un tempo; che non impone, ma propone, con delicata ritrosia; che non è insicura, ma – per fortuna – neppure arrogantemente sicura di sé.
La pittura di Sebastiano Vilella è molto “nuova”, anche quando può non sembrare. Certo, la sua pittura è pure “antica”, in quanto si impronta a un sentimento di religiosità etica oggi desueto; ma non per questo appare “vecchia”. Invece è una pittura tutt’altro che banale. Ed è sorprendente, sempre: perciò è sempre nuova, anche quando appare moderna o, peggio, contemporanea.
La pittura di Sebastiano Vilella è viva, e questo ci basta. Anzi, ci inonda e ci riempie; e forse perfino, per incapacità nostra, ci avanza.
Vilella è un artista atipico, in quanto dotato di una passionalità intensamente mediterranea ma venata di un raziocinio più nordico. La sua espressività pare il frutto di un conflitto perenne tra lo slancio e il trattenersi, tra riservatezza e generosità.
Di fatto l’arte, specchio della vita, difficilmente dà risposte, più spesso si pone domande. Così, le visioni di questo pittore non sono saggi logici, ma bensì poemetti composti con la matematica del cuore; geometrie accurate, ma non euclidee; fotografie che mettono in posa mossi e sfocati tumulti interiori. Ebbene, quasi contraddizioni in termini, esse non rappresentano facili soluzioni quanto invece nuovi e accurati nodi.
Non è affatto un caso che il pittore Vilella sia bene abituato ad esprimersi anche per mezzo del fumetto. Nel corso degli anni Ottanta, quando in Italia era meno difficile trovare spazi per pubblicare storie disegnate che non fossero destinate solo a un consumo frettoloso, sulle pagine di diverse riviste consacrate al cosiddetto “fumetto d’autore” Vilella ebbe modo di raccontare i propri fantasmi col disegno e con la parola, affermandosi in breve come uno dei “giovani lupi” del fumetto italiano di fine secolo. Ma progredendo negli anni Novanta il paesaggio nazionale si fece a mano a mano più ostile per chi cercava di raccontare se stesso e il proprio mondo in piccoli film di carta, volentieri realizzati in un bianconero espressionista che bene si confaceva a racchiudere i grandi tormenti e le piccole gioie della contemporaneità, specialmente giovanile. Chi creava fumetti non banali si dovette allora distribuire su altre attività creative. Sebastiano Vilella è tornato in pianta stabile al primo amore, la pittura, ma ancora e sempre considerandola faccia complementare di un unico coeso solido espressivo: mentre con il fumetto raccontava il lato più oscuro di sé, la pittura gli dà accesso al proprio volto più sereno e consolato, e il bilanciamento del percorso che ne risulta è, a posteriori, quanto mai soddisfacente.
Tanto il fumetto è veloce e diretto nell’approccio e nella fruizione, tanto i dipinti vengono affrontati con tecnica più delicata e impegnativa e vanno contemplati con più sospesa intensità emotiva. Eppure, a chi conosce entrambi i momenti della poetica espressiva vilelliana risulta chiarissimo come in sostanza le tematiche affrontate restino le stesse, e come ognuna delle due attività completi reciprocamente le istanze avanzate nell’altra. La ricerca è sempre la medesima: di qualcosa di molto prezioso, che nelle pieghe della realtà si nasconde, e che da solo è in grado di dare un senso alla realtà tutta.
La rivelazione sta in attesa al di là dell’apparenza; ma questa non vela quella in modo irrimediabilmente oscuro, bisogna avere solo la melanconica pazienza di chi sa di essere partito ma non sa quando arriverà… Il pittore Vilella affronta il mistero ancora in modo ambivalente, con un senso di religiosità laica che lo apparenta da un lato al paganesimo più colto, quello cristallino neoplatonico, e dall’altro al cristianesimo più dolce, quello spolverato degli ori della leggenda. Tutt’altro che casuali appaiono così i ritorni al soggetto della “visita di Gabriele”: l’Annunciazione angelica è un episodio da favola che evoca atmosfere atemporali, una melodia cantata a voce bassa ma limpida, una metafora aggraziata di candore infantile, una nudità pura e luminosa senz’ombra di malizia.
Gli stessi corpi nudi dei dipinti vilelliani sono sovente idealizzazioni, archetipi slanciati e implumi di bellezza eterea in grado di suscitare sentimenti erotici più platonici (appunto) che sensuali. I tersi paesaggi rinascimentali di sfondo, i bianchi gigli e i fiori vari tra le erbe e nel vento, i giocattoli colorati sparsi sui pavimenti e sui tappeti d’erba, le morbide poltrone e i divani che accolgono quelle membra lisce e giovani, i tomi aperti e i fogli svolazzanti nell’aria mossa, tutti gli studiati particolari di tali composizioni altamente suggestive sottolineano il nitido sentimento simbolista dell’artista. Quel suo limbo è il Mondo delle Idee primigenio, dove le pagine dei libri devono ancora essere scritte.
Ma anche lì, persino lì, qualche inquietudine sta in agguato. Gli sguardi silenziosi non riescono a nascondere vaghe domande senza risposta. Le stesse conoscenze acquisite paiono illusorie. I cieli accumulano ranghi di nuvole in parata sbieca, vertiginosa. Le brezze sono tiepide ma scompigliatrici. Il paesaggio è ideale, ordinato, eppure freme sotto pelle. L’equilibrio regna sovrano, ma c’è il sospetto che basti un nonnulla a sbalestrarlo e a rimettere tutto in gioco. È che la bellezza vera è sempre sbigottente, talvolta annichilente. Non siamo abituati all’idea di un Eden vivibile; non sopportiamo il peso della perfezione; ogni rito misterico ora ci attrae e ora ci respinge; siamo uomini, imperfetti, non infiniti dèi, e forse neppure vogliamo esserlo.
Certo, la pittura di Sebastiano Vilella si snoda e lentamente si riannoda all’insegna del mistero. È opera di un animo contemplativo che tuttavia della contemplazione passiva non si accontenta, ma si pone interrogativi profondi. Nella sua ricerca, esistenziale prima ancora che espressiva, fa devoto ricorso a strumenti tradizionali, antichi, per intima adesione all’essenza dell’umanità intera, quella unica e indivisibile che vive in un tempo senza tempo, dilatato tra un giovane passato e un vecchio futuro. Nel suo percorso, esistenziale prima ancora che espressivo, Vilella ha scelto di fare anzitutto “buona pittura”, per produrre immagini emozionali che risultino emozionanti, silenti situazioni simboliche che suscitino tumultuosi interrogativi metafisici. Ci invita nel luogo della sua anima, educatamente; e noi vi entriamo in punta di piedi, un poco timorosi di disturbare.
Ferruccio Giromini
10
aprile 2004
Sebastiano Vilella – Il tesoro nascosto
Dal 10 al 28 aprile 2004
arte contemporanea
Location
VERNICE ART – PALAZZO DIANA
Bari, Piazza Giuseppe Massari, 6, (Bari)
Bari, Piazza Giuseppe Massari, 6, (Bari)
Orario di apertura
lunedì-sabato 10.00-13.00, 17.30-20.00 - domenica 10.00-13.00
Vernissage
10 Aprile 2004, ore 18.30