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Seconda Soluzione di Eternità
Una collettiva di artisti contemporanei, che attraverso diverse tecniche e linguaggi, dagli anni ’60 ad oggi, hanno rivolto la loro attenzione alla percezione del tempo
Comunicato stampa
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Building presenta, dal 16 maggio al 14 luglio, Seconda Soluzione di Eternità, una mostra curata da Helmut Friedel e Giovanni Iovane, una collettiva di artisti contemporanei, che attraverso diverse tecniche e linguaggi, dagli anni ’60 ad oggi, hanno rivolto la loro attenzione alla percezione del tempo: tempo esistenziale, durata, “un atto di fede nell’infinito” (Lucio Fontana) e persino una ossessione.
Il titolo, ispirato al progetto espositivo di Gino De Dominicis (1947 - 1998), per la Biennale di Venezia nel 1972 (Seconda soluzione d'immortalità), mira a descrivere il senso, la mise en scène - nella vera accezione di riflessione e attuazione di un atto performativo - l’ossessione per il tempo, significato e significante, fenomeno fisico incommensurabile, difficile da immortalare, contenere e comprendere, inscenare e ripetere, da qui la tensione, ora mistica ora autoironica, in molti artisti contemporanei, per cogliere e replicare un ossimoro: un tempo senza tempo (timelessness).
Questa meditazione, già dichiarata nel manifesto spazialista di Lucio Fontana (1899 - 1968), nella sua formulazione e iterazione, in diversi esemplari di Concetto Spaziale e Attese, dialoga in mostra con gli esiti di Giovanni Anselmo (1934) e Vincenzo Agnetti (1926 - 1981), ma soprattutto di Luciano Fabro (1936 - 2007), che porge all’osservatore una visione più poetica e rarefatta dell’idea di spazio e di tempo, ad esempio nelle Impronte del 1982, o in Tre modi di mettere le lenzuola del 1968 e in Davanti dietro, destra, sinistra, cielo. Tautologia, sempre del 1967/1968.
Le meridiane o tempus mentis di Agnetti offrono invece una rappresentazione del tempo come reminiscenza architettonica e naturalistica, nell’ombra del sole, inseguita mentre scandisce le ore del giorno, strumento antico, che racchiude una sapienza inconsapevole.
I numeri sono segni, universali e univoci, tangibili e concreti, predisposti a ‘contare’ il tempo, o l’assenza del medesimo; il numero diviene cellula, monema e fonema, nel linguaggio di Roman Opalka (1931-2011): la sua voce, opera sonora, ne ritma in mostra la pratica artistica. Un’altra progressione numerica, illuminata nell’oscurità, ritorna in un’opera del 1984 di Tatsuo Miyajima (1957). Mentre Hiroshi Sugimoto (1948), con la serie dei Teatri (2014-2015) introduce all’idea dell’esposizione, durata temporale, tecnica e metaforica, nelle sue fotografie, così come avviene nella pellicola e negli scatti di Kimsooja (1957), A Laundry Woman - Yamuna River, India, 2000 e A Needle Woman-Kitakyushu, sempre del 2000, mimesi e sintesi di una pratica artistica performativa.
One million years e I Got up di On Kawara (1932 - 2014), sono ulteriore esito di questa ricerca: la scrittura e la recezione di un messaggio, la lettura, intima o ad alta voce, da cui affiora un ricordo e la conseguente aspirazione alla eternità di un segno che intende comprendere passato, presente e futuro. Nel percorso non manca un’ulteriore elaborazione, durata dieci anni (dal 2001 al 2010), eseguita su carta velina intagliata a mano, dall’artista italiana Elisabetta Di Maggio (1964).
Helmut Friedel, storico dell’arte e curatore, è stato direttore della Lenbachhaus di Monaco dal 1990 al 2013, ed è stato altresì professore presso l'Accademia di Belle Arti di Monaco.
Giovanni Iovane, critico d’arte e curatore indipendente, è professore di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Il titolo, ispirato al progetto espositivo di Gino De Dominicis (1947 - 1998), per la Biennale di Venezia nel 1972 (Seconda soluzione d'immortalità), mira a descrivere il senso, la mise en scène - nella vera accezione di riflessione e attuazione di un atto performativo - l’ossessione per il tempo, significato e significante, fenomeno fisico incommensurabile, difficile da immortalare, contenere e comprendere, inscenare e ripetere, da qui la tensione, ora mistica ora autoironica, in molti artisti contemporanei, per cogliere e replicare un ossimoro: un tempo senza tempo (timelessness).
Questa meditazione, già dichiarata nel manifesto spazialista di Lucio Fontana (1899 - 1968), nella sua formulazione e iterazione, in diversi esemplari di Concetto Spaziale e Attese, dialoga in mostra con gli esiti di Giovanni Anselmo (1934) e Vincenzo Agnetti (1926 - 1981), ma soprattutto di Luciano Fabro (1936 - 2007), che porge all’osservatore una visione più poetica e rarefatta dell’idea di spazio e di tempo, ad esempio nelle Impronte del 1982, o in Tre modi di mettere le lenzuola del 1968 e in Davanti dietro, destra, sinistra, cielo. Tautologia, sempre del 1967/1968.
Le meridiane o tempus mentis di Agnetti offrono invece una rappresentazione del tempo come reminiscenza architettonica e naturalistica, nell’ombra del sole, inseguita mentre scandisce le ore del giorno, strumento antico, che racchiude una sapienza inconsapevole.
I numeri sono segni, universali e univoci, tangibili e concreti, predisposti a ‘contare’ il tempo, o l’assenza del medesimo; il numero diviene cellula, monema e fonema, nel linguaggio di Roman Opalka (1931-2011): la sua voce, opera sonora, ne ritma in mostra la pratica artistica. Un’altra progressione numerica, illuminata nell’oscurità, ritorna in un’opera del 1984 di Tatsuo Miyajima (1957). Mentre Hiroshi Sugimoto (1948), con la serie dei Teatri (2014-2015) introduce all’idea dell’esposizione, durata temporale, tecnica e metaforica, nelle sue fotografie, così come avviene nella pellicola e negli scatti di Kimsooja (1957), A Laundry Woman - Yamuna River, India, 2000 e A Needle Woman-Kitakyushu, sempre del 2000, mimesi e sintesi di una pratica artistica performativa.
One million years e I Got up di On Kawara (1932 - 2014), sono ulteriore esito di questa ricerca: la scrittura e la recezione di un messaggio, la lettura, intima o ad alta voce, da cui affiora un ricordo e la conseguente aspirazione alla eternità di un segno che intende comprendere passato, presente e futuro. Nel percorso non manca un’ulteriore elaborazione, durata dieci anni (dal 2001 al 2010), eseguita su carta velina intagliata a mano, dall’artista italiana Elisabetta Di Maggio (1964).
Helmut Friedel, storico dell’arte e curatore, è stato direttore della Lenbachhaus di Monaco dal 1990 al 2013, ed è stato altresì professore presso l'Accademia di Belle Arti di Monaco.
Giovanni Iovane, critico d’arte e curatore indipendente, è professore di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Brera.
15
maggio 2018
Seconda Soluzione di Eternità
Dal 15 maggio al 14 luglio 2018
arte contemporanea
Location
BUILDING
Milano, Via Monte Di Pietà, 23, (Milano)
Milano, Via Monte Di Pietà, 23, (Milano)
Orario di apertura
martedì – sabato dalle 10 alle 19
Curatore