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Segni del Novecento
Disegni italiani dal Secondo Futurismo agli anni Novanta
Comunicato stampa
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Sabato 18 dicembre alle ore 18,30 sarà inaugurata la mostra Segni del Novecento. Disegni italiani dal Secondo Futurismo agli anni Novanta, dedicata al disegno nella sua molteplicità di espressioni che hanno caratterizzato la scena artistica nazionale tra la stagione segnata dal secondo Futurismo, sul finire degli anni Dieci, alle generazioni comparse sulla scena espositiva nel decennio Novanta. Una mostra che se da un lato propone un repertorio di opere di alta qualità, a volte anche di vere e proprie rarità, dall’altro individua un percorso che fa affiorare la vivacità di una cultura, quella artistica italiana, saldamente fondata sull’esercizio del disegno, inteso come esperienza viva ed autonoma della pratica creativa.
La mostra, curata da Massimo Bignardi (docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università di Siena) con il coordinamento di Elena Antonacci (direttrice del Museo dell’Alto Tavoliere di San Severo), propone le opere di settantasei artisti di generazioni e ambiti artistici diversi tra loro, tracciando un percorso che, dal segno proprio delle avanguardie degli anni Dieci, giunge all’urban reality dei primi del Duemila, attraversando pagine salienti, dai dettati geometrici dell’astrattismo classico al concretismo, ai corrosivi del realismo del secondo dopoguerra, alla stagione della Nuova Figurazione, alla transavanguardia, al citazionismo degli anni Ottanta.
“L’impaginazione di questa mostra segue – scrive Bignardi -, una enucleazione per nodi e cifre stilistiche che si articolano su un asse temporale. L’aspirazione è conservare ciascun foglio all’interno di un misurato schema che riprende, anche se per sintesi, i fili del serrato dibattito che ha cifrato a lungo le vicende dell’arte italiana del XX secolo, facendo emergere, ove possibile, il sentimento, la «mano umana», che ha guidato ciascun artista unitamente al rapporto instaurato con la tecnica, vale a dire con le pratiche del disegno. Tecniche che assumono un preciso carattere soprattutto all’indomani dell’onda popartistica della metà degli anni Sessanta; sperimentazioni su supporti diversi, l’immissione del frammento non più collage, l’uso delle immagini ricavate o ricalcate, riprese con la trielina, se non proprio impronte dirette lasciate dall’oggetto, oppure indirette, ricavate dall’azione dell’aerografo. Resta forte, però, la presenza dell’inchiostro come medium idealizzato del disegno; un inchiostro che agevola il segno corsivo delle ‘scritture’ informali, o che insinua una certa ambiguità quando cede all’acquerellato, sciogliendo in toni il nucleo nero denso di profonde luminosità. Ma v’è anche da notare il ricorso ai feltri dei pennarelli il cui intento è di coniugare il tratto largo della matita grassa, quello oleoso e scheggiato del pastello a cera, quando non addirittura della matita litografica.[…]È un percorso, in sostanza, tra segni esili, a volte evanescenti, propri del dizionario simbolista oppure geometrici, meccanici, originati nel repertorio futurista, ma anche larghi e sommari, carichi di tratti esistenziali: segni che non seguono uno stile culturale, unicamente attestato sul valore evocativo della figura, tanto meno, per contrappasso, sulla geometria che ha cifrato i sentieri del nostro astrattismo, o sull’irruenza lirica della stagione informale. È una prospettiva che rinuncia, a priori, ad insistere sulla dialettica contrapposizione tra figurazione e astrazione, allargando l’orizzonte di lettura fino ad includere anche esperienze recenti e poco note al grande pubblico, nel tentativo di tessere una molteplicità di declinazioni linguistiche sparse lungo la penisola”.
“La collocazione di una mostra dedicata al Novecento in un museo archeologico – rileva Elena Antonacci – ne vuole significare le citazioni dell’arte classica che arrivano poi a contaminare e ibridare tali fonti classiche nel XX secolo, sovvertendo e non solo decantando la tradizione figurativa dell’arte greca. La scelta dei temi classici e delle figure mitologiche, soprattutto degli artisti della prima metà del Novecento, parte sì da un’iconografia indiscussa, ma ne svela una recondita sostanza che la riscatta da valenza di lingua morta. La rivisitazione di antichi miti e simboli classici si traduce nella risposta alla crisi della civiltà europea a cavallo delle due guerre mondiali e del secondo dopoguerra: la percezione visionaria, cerebrale, criptica del mondo classico da parte di grandi protagonisti dell'arte italiana del Novecento, da Giorgio De Chirico – in cui l’arte greca è ossessivamente presente -, da Mario Sironi fino ai maestri come Carrà, Guttuso, Corrado Cagli, Aligi Sassu e Morandi costituisce la risposta al classicismo attraverso le mistificazioni dell’anticlassicismo, fino ad arrivare al disegno contemporaneo di Stefano Di Stasio (1997), in cui la tranquilla sicurezza conferita da un naiskos magno-greco e, nel contempo, il legame coercitivo con il passato rappresentato simbolicamente da una colonna dorica contrastano con le paure della città moderna sullo sfondo.”
La mostra, curata da Massimo Bignardi (docente di Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università di Siena) con il coordinamento di Elena Antonacci (direttrice del Museo dell’Alto Tavoliere di San Severo), propone le opere di settantasei artisti di generazioni e ambiti artistici diversi tra loro, tracciando un percorso che, dal segno proprio delle avanguardie degli anni Dieci, giunge all’urban reality dei primi del Duemila, attraversando pagine salienti, dai dettati geometrici dell’astrattismo classico al concretismo, ai corrosivi del realismo del secondo dopoguerra, alla stagione della Nuova Figurazione, alla transavanguardia, al citazionismo degli anni Ottanta.
“L’impaginazione di questa mostra segue – scrive Bignardi -, una enucleazione per nodi e cifre stilistiche che si articolano su un asse temporale. L’aspirazione è conservare ciascun foglio all’interno di un misurato schema che riprende, anche se per sintesi, i fili del serrato dibattito che ha cifrato a lungo le vicende dell’arte italiana del XX secolo, facendo emergere, ove possibile, il sentimento, la «mano umana», che ha guidato ciascun artista unitamente al rapporto instaurato con la tecnica, vale a dire con le pratiche del disegno. Tecniche che assumono un preciso carattere soprattutto all’indomani dell’onda popartistica della metà degli anni Sessanta; sperimentazioni su supporti diversi, l’immissione del frammento non più collage, l’uso delle immagini ricavate o ricalcate, riprese con la trielina, se non proprio impronte dirette lasciate dall’oggetto, oppure indirette, ricavate dall’azione dell’aerografo. Resta forte, però, la presenza dell’inchiostro come medium idealizzato del disegno; un inchiostro che agevola il segno corsivo delle ‘scritture’ informali, o che insinua una certa ambiguità quando cede all’acquerellato, sciogliendo in toni il nucleo nero denso di profonde luminosità. Ma v’è anche da notare il ricorso ai feltri dei pennarelli il cui intento è di coniugare il tratto largo della matita grassa, quello oleoso e scheggiato del pastello a cera, quando non addirittura della matita litografica.[…]È un percorso, in sostanza, tra segni esili, a volte evanescenti, propri del dizionario simbolista oppure geometrici, meccanici, originati nel repertorio futurista, ma anche larghi e sommari, carichi di tratti esistenziali: segni che non seguono uno stile culturale, unicamente attestato sul valore evocativo della figura, tanto meno, per contrappasso, sulla geometria che ha cifrato i sentieri del nostro astrattismo, o sull’irruenza lirica della stagione informale. È una prospettiva che rinuncia, a priori, ad insistere sulla dialettica contrapposizione tra figurazione e astrazione, allargando l’orizzonte di lettura fino ad includere anche esperienze recenti e poco note al grande pubblico, nel tentativo di tessere una molteplicità di declinazioni linguistiche sparse lungo la penisola”.
“La collocazione di una mostra dedicata al Novecento in un museo archeologico – rileva Elena Antonacci – ne vuole significare le citazioni dell’arte classica che arrivano poi a contaminare e ibridare tali fonti classiche nel XX secolo, sovvertendo e non solo decantando la tradizione figurativa dell’arte greca. La scelta dei temi classici e delle figure mitologiche, soprattutto degli artisti della prima metà del Novecento, parte sì da un’iconografia indiscussa, ma ne svela una recondita sostanza che la riscatta da valenza di lingua morta. La rivisitazione di antichi miti e simboli classici si traduce nella risposta alla crisi della civiltà europea a cavallo delle due guerre mondiali e del secondo dopoguerra: la percezione visionaria, cerebrale, criptica del mondo classico da parte di grandi protagonisti dell'arte italiana del Novecento, da Giorgio De Chirico – in cui l’arte greca è ossessivamente presente -, da Mario Sironi fino ai maestri come Carrà, Guttuso, Corrado Cagli, Aligi Sassu e Morandi costituisce la risposta al classicismo attraverso le mistificazioni dell’anticlassicismo, fino ad arrivare al disegno contemporaneo di Stefano Di Stasio (1997), in cui la tranquilla sicurezza conferita da un naiskos magno-greco e, nel contempo, il legame coercitivo con il passato rappresentato simbolicamente da una colonna dorica contrastano con le paure della città moderna sullo sfondo.”
18
dicembre 2010
Segni del Novecento
Dal 18 dicembre 2010 al 20 febbraio 2011
disegno e grafica
Location
MAT – MUSEO DELL’ALTO TAVOLIERE
San Severo, Piazza San Francesco d'Assisi, 48, (Foggia)
San Severo, Piazza San Francesco d'Assisi, 48, (Foggia)
Orario di apertura
mar– ven: 9.00 – 13.30; 16.00 – 20.00
sab: 18.00 – 21.00
dom: 10.30 – 13.30; 18.00 – 21.00
chiusura il lunedì (ad eccezione del 20 e 27 dicembre 2010)
Le visite guidate vanno prenotate
Vernissage
18 Dicembre 2010, ore 18.30
Autore
Curatore