Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Serafino Maiorano – L’arte digitale
“Vagabondaggi notturni per le città italiane delineano eroici paesaggi urbani tra illusione tecnologica e sovversione pittorica. Nascono immagini dal forte carattere e dal grande impatto visivo, maestose architetture e inattese prospettive si deformano e svaporano in una liquidità incontrollabile”.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
...Nel lavoro di Maiorano esistono influenze di più mezzi tecnici e la contaminazione avviene attraverso obiettivo, assemblaggio digitale e
colpi di colore. La sua sfida è ricostruire e decostruire l’immagine fotografica secondo modelli di illusione pittorica, saturandola di stereotipi
visivi e culturali. In tal modo la resa è una sotterranea trasgressione ed una sottile ribellione. Una paradossale combinazione di spazio,
quello dell’icona, e del tempo, la fissità che imprigiona un eterno presente, mescolati ad un approfondimento “manuale” che ci pone di
fronte ad una verità ipotetica...
...Esponente tra i primi dell’arte digitale Maiorano attinge alla realtà sociale che lo circonda, alla vita quotidiana, alle strutture delle città
italiane ed europee, agli interni abitati dalla collettività ed infine, ma con costanza, ai segni e alle presenze dei luoghi familiari...
... La sapienza di Maiorano sta nel frequentare di continuo il bilico della soglia, nella capacità di mettere di fronte ed amalgamare diverse
arti, fotografia e pittura, per impegnarsi in composizioni destinate ad esprimere una gamma di emozioni e movimenti che vanno ben oltre la
capacità tecnologica e manuale. Ciò che trapela è filtrato dalla luce cadenzato da bianchi e neri, da fughe prospettiche e bagliori
accecanti. La mise enscene non è reale, non esiste una preparazione scenografica o una predisposizione di set cinematografico. Esiste
un’atmosfera che Maiorano costruisce ed integra nel suo studio per ricomparire, composta ed inquietante, nel gioco illusionistico dell’opera
finale. L’effimero si propone come una rivendicazione, come un modo per far vacillare la memoria, statuto estetico incerto, all’incrocio tra
molteplici discipline, allargato nei confini dell’arte per mettere in forse la sopravvivenza stessa delle categorie tradizionali e consuete...
...Le teorie presenti nell’arte si scontrano ma, nel contemporaneo, la tendenza è coesistenza di convenzioni, memoria del luogo, delle idee
e del corpo, ricordi di gesti antichi e pratiche tecnologiche in quello che è lo sconfinato universo dell’eclettismo.
Il pensiero complesso, post-strutturalista, di Foucault e Derrida, nell’arte esprime il disordine del mondo contemporaneo e l’inconsistenza
delle azioni umane. La parola chiave è decostruzione, ovvero linee sovrapposte, azioni non convenzionali, elaborazioni computerizzate,
pratica pittorica, fotografica. In questo senso il codice linguistico di Maiorano gode di una purezza senza inganni, una lentezza misurata
raccordata a stilemi originali e pratiche collaudate che lo collocano di diritto tra gli artisti europei contemporanei dallo sguardo più ampio e
vertiginoso.
SERAFINO MAIORANO
di Danilo Eccher
Quando una fotografia svapora nella pittura, quando le dissolvenze confondono e sovrappongono i confini disciplinari, quando i linguaggi abbandonano la propria identità per indossare nuove e variopinte maschere, tutto diviene più difficile e si confonde, e si mescola, si intreccia e si perde. In tal modo, il terreno narrativo si rende più incerto, paludoso, infido e il procedere interpretativo richiede nuovi strumenti e nuove accortezze. Si delinea una generale incertezza, uno sgomento che può sfociare in ansia, paura, insicurezza, una fragilità che però può anche facilmente mutare in sottile curiosità, in oscura attrazione, in eccitante ricerca. Da quando, nella seconda metà dell’Ottocento, i pittori parigini hanno cominciato a frequentare lo studio del fotografo Nadar, il rapporto fra pittura e fotografia è andato intensificandosi, non di rado sovrapponendosi e confondendosi. All’inizio, la contaminazione avvenne su un piano squisitamente tecnico, grammaticale, ma ben presto questo mutò in un abbraccio sempre più avvolgente raggiungendo spesso, con Dada e Futurismo, un groviglio inestricabile di visioni ed emozioni, di lampi e di precipizi matrici. Sono, però, soprattutto gli ultimi tre decenni che hanno segnato una più complessa ed articolata relazione fra fotografia e pittura, una relazione che ha investito sia il piano linguistico che quello narrativo, che ha invertito gli schemi formali, che ha scomposto le strutture grammaticali, che ha confuso immagini e racconti, emozioni e ricerche, tecniche e materiali. Non vi è dubbio che fra i massimi protagonisti di questa complessa stagione artistica Gerard Richter ha recitato un ruolo fondamentale, non solo per quanto concerne gli esiti formali ma anche per alcune tracce di riflessione critica dalle quali è oggi difficile prescindere. Innanzitutto, l’artista tedesco è, ed è sempre rimasto, un pittore, nel senso che l’impianto generale del suo linguaggio è rimasto ancorato all’ambito della pittura; ne ha certamente dilatato i confini, ne ha forse deformato gli strumenti, ma il suo lavoro si è pur sempre iscritto alla pratica pittorica. Ciò che Richter, forse prima di altri, ha realizzato, è stato un cambiamento prospettico dell’intera sfera narrativa, ha cioè strutturato il racconto visivo invertendo, linguisticamente, i ruoli assegnati, attribuendo alla pittura quello decostruttivo e alla fotografia quello emozionale. Così, il cromatismo materico del colore, anche quando è ridotto alla semplice assenza di luce, risulta sospeso in un’assenza, in una funzione di scavo e di sovrapposizione che costantemente deforma e annulla l’immagine, dando vita ad un racconto frammentato ed evanescente. Allo stesso modo, il volto del ricordo si spoglia della propria rappresentatività, per affondare, con la luce di una candela o con la sagoma di una persona, nel vortice evocativo di un brivido emozionante, nel ricordo di una narrazione inafferrabile. Nello stesso orizzonte di ricerca si colloca il lavoro di Serafino Maiorano, un percorso complesso, attento e consapevole di tutte le sfumature di questo intreccio linguistico ma, soprattutto, concentrato a non lasciarsi irretire dal virtuosismo compositivo, per sostenere e proteggere la più delicata sfera concettuale. In effetti, l’aspetto formale, che in questa tipologia di ricerca riveste sempre un ruolo determinante, in Serafino Maiorano, che pure gli dedica straordinaria attenzione, non assume mai il sopravvento sul dato concettuale, su quel elemento intellettuale che si intuisce sotto i veli di una figurazione solo evocata. Si tratta di un clima narrativo che non di rado sfiora l’esoterismo del simbolo e la profondità dell’enigma, un’atmosfera che avvolge l’intero processo creativo, abbandonando frammenti e dettagli di un pensiero silenziosamente evocato. Come il linguaggio accende il brivido per un percorso svolto sul bordo delle discipline, così la narrazione fluttua nella deriva di una concettualità bulimica. Ciò emerge già nei lavori realizzati a metà degli anni Novanta dove il soggetto naturalistico, o animale, è inserito in una sussurrata struttura architettonica che, non solo distribuisce i piani prospettici, ma anche ordina la recitazione della figura e allude ad un impalpabile tracciato geometrico. Ciò che inevitabilmente colpisce in questi lavori è la suggestione dei soggetti in relazione all’impianto narrativo: da un lato il suggerimento ad una natura arcaica, rude, primitiva, dall’altro lato, l’impaginazione geometrica in cui il rigore del tratto suggerisce la complessità del pensiero. Come nell’esasperato contrasto che Boccioni evidenzia ne “La città che sale”, dove all’eredità contadina dipinta nel cavallo in primo piano è affidata la costruzione del futuro segnata con la città in lontananza, così queste opere di Serafino Maiorano scatenano il cortocircuito tra un’apparente insistenza naturalistica e una più sottile attrazione matematica, tra un’immagine emozionale e una percezione concettuale, tra istinto e intelletto. Tale dinamica è sostenuta e confermata da un procedere linguistico che, non solo danza sul baratro dell’incertezza d’identità, ma accentua la sua inquietudine attraverso un cromatismo acido e corrosivo. Il racconto si compone per spezzoni, frammenti di visione, bagliori di figure che si rincorrono e si disperdono, lo spazio scenico è ordinato secondo griglie prestabilite, piani compositivi che, come nelle ripartizioni di Mondrian, distribuiscono pesi e ruoli, determinano vuoti e concentrazioni. Eppure, già in queste opere, e poi in modo ancora più evidente in quelle successive, nemmeno la struttura architettonica, che rappresenta una costante nelle opere di Serafino Maiorano, riesce a garantire un ordine certo, un orizzonte affidabile e sicuro entro cui svolgere la narrazione. Mano a mano che tali strutture si dispongono nello spazio appare sempre più incerta e fragile la loro disciplina, lentamente impallidisce l’ordine matematico per affiorare un più misterioso ‘ordine cabalistico’, una sorta di misteriosa figura geometrica, come quella presente nella ‘Melancolìa’ del Duerer, ripresa oggi da Kiefer, dove appare anche il tema del quadrato magico, che getta il racconto nello sconcerto e alimenta l’inquietudine dello sguardo. Si definisce così, in questa ricerca, la presenza dell’enigma, un ingorgo del pensiero che assorbe lo scorrere della visione, che arresta le immagini, che impone un lento e scrupoloso ritmo interpretativo. Sembra quasi che una sottile trasparenza metafisica si depositi sulla tela, obbligando lo sguardo a distogliersi dalla compiacenza spettacolare del racconto, per riconoscere i segreti di un’immagine più intima e appartata. Forse, proprio questo indebolimento della grammatica architettonica per una geometria più poetica, ha convinto, fra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila, Serafino Maiorano a irrobustire la composizione, concentrandosi su soggetti urbani: sui grandi cartelloni pubblicitari, sulle impalcature degli edifici, su porzioni dei palazzi. Anche in questo caso, malgrado un’imponente solidità apparente, non si tratta di soggetti certi, architetture affidabile, geometrie sicure, bensì elementi provvisori, instabili, evanescenti, la cui struttura è scenografica, posticcia, il cui corpo è molle. Eppure, sono ottime strutture di supporto allo scorrere delle immagini, giganteschi schermi televisivi, quinte teatrali per una visionarietà urbana che si fa frenetica, vorace, ossessiva. Più l’artista si concentra nella stesura di un racconto organizzato, nell’elaborazione di una grammatica data, nella definizione di un impianto formale solido, più affiora il segreto della sua anima poetica, più emerge l’esoterismo della sua inquietudine, più appare il silenzio della sua intima emozione. Certamente la consapevolezza di questa profonda dialettica, ha spinto Serafino Maiorano ad esasperare l’elemento linguistico, caricando di suggestioni i deboli elementi pittorici e raffreddando la spettacolarità dell’immagine. L’esito, che si è andato consolidando a partire dai primi anni del Duemila, è quello di una pittura insistente, puntigliosa, capace di inserirsi nelle ferite della figura, sottolinearne un’ombra, accenderne un movimento, suggerire un’espressione. Una pittura elegante, sostenuta da un sofisticato cromatismo capace di accendersi in mille bagliori o quietarsi nel susseguirsi di gradazioni. Grazie a questi minuscoli protagonisti pittorici, alla loro vitalità cromatica, alla loro discrezione, Maiorano può liberare il suo incanto, può allontanarsi dai rigori del concettualismo e ripararsi dalla insidie dell’esoterismo. Può, in definitiva, acquisire maggiore leggerezza, può, quindi, dispiegare il suo racconto con una gioia nuova, con una nuova curiosità fantastica, con un nuovo sguardo di sorpresa. A tutto ciò ha contribuito la sempre più solida capacità tecnica nell’utilizzo dell’immagine digitale, attraverso la quale Maiorano compie i propri azzardi, affronta le proprie avventure e si arrampica in una visionarietà stupefacente. Non vi è alcuna esibizione di virtuosismo tecnico e nemmeno la morbosa ricerca di immagini sconvolgenti o provocanti, non vi è insomma l’alfabeto ricorrente di troppa arte digitale contemporanea ma solo la volontà di manipolare una realtà apparente e transitoria, piegarla al proprio sguardo e liberarla dalla propria superficialità. Nascono così immagini dal forte carattere e dal grande impatto visivo, maestose architetture, eroici paesaggi urbani, inattese prospettive che si deformano e svaporano in una liquidità incontrollabile. Volte e colonne che si dilatano, ambienti ripiegati su se stessi, navate e cupole di cattedrali impossibili, scaloni e vetrate che si confondono senza tempo e senza ordine, senza memorie e senza certezze. Questa maggiore sicurezza espressiva, che ha permesso un fiorire narrativo più articolato e complesso, autorizza ora, accanto alla consueta architettura geometrica, anche la frequenza della figura umana nello spazio scenico. Presenze inevitabilmente eteree, inconsistenti, sfumate nella loro dissolvenza esistenziale, sagome umane dai contorni indefiniti, spiritualità ondivaghe, fantasmi di una quotidianità contemporanea che popolano gli ambienti e gli sguardi del nostro tempo. Figure sospese, silenziosamente metafisiche, apparizioni emaciate di un Giacometti visionario, ‘Amalasunte’ poetiche di un Licini contemporaneo. Le danze che questi personaggi compiono le loro eleganze, le loro gentili dissolvenze, generano una complice compiacenza che guida lo sguardo lungo i margini del racconto, in quella terra di nessuno ai bordi della figura dove solitamente sono relegati dettagli superflui e dove qui invece abitano sorprendenti particolari. Esplode nel lavori di Serafino Maiorano una relazione che è sempre stata presente ma che ora trova la sua più completa definizione: quella tra architettura e movimento, tra figura e linea. Un rapporto contraddittorio che ha animato la ricerca dell’artista fin dai suoi esordi ma che in queste ultime opere accelera e rafforza tale contrasto, rinunciando al pretesto formale incaricato di confondere l’immagine, per liberare le oscillazioni dei lampadari e lasciar scivolare i riflessi negli specchi.
l’arte digitale di Serafino Maiorano
tra illusione tecnologica e sovversione pittorica
la tecnologia è un'energia nuova di cui l'arte non soltanto sfrutta la grande potenza ma di cui assume le trasformazioni. In altre parole, l'arte - soprattutto quella delle giovani generazioni - è contaminata dalla tecnologia fino al punto che è possibile parlare di un'estetica tecnologica; una nuova estetica in cui gli artisti regolano la loro ricerca sui poteri tecnologici, senza valutarne le attitudini destabilizzanti.
Le opere di Serafino Maiorano abitano il territorio di confine tra l'arte e la tecnologia, palesando costanti interferenze - non soltanto stilistiche - tra i due linguaggi. L'uso che l'artista fa del digitale, ammette il significato sostanzialmente inedito e rivoluzionario della tecnologia afferrandone il senso epocale senza, tuttavia, sottostare all'effetto ipnotico del virtuale.
Le sue immagini - grandi plottaggi su cui l'artista interviene, talvolta addirittura impercettibilmente per rafforzare una luce o esaltare un particolare - sono il risultato dei suoi vagabondaggi notturni a Milano o Roma; sono pause, interruzioni nell'incessante e sempre "spettacolare" scorrere della realtà.
Anche qui, come nel mondo tecnologico, trionfa lo "sguardo superficiale", lontano dall'obbligo -caratteristico delle avanguardie e delle neo -avanguardie - di rivelare significati e sensi profondi che legittimino la sperimentazione; uno sguardo libero, fluido e ironico che deliberatamente - con la consapevolezza di essere artefice e non creatore o interprete - fonda il proprio linguaggio sulla pluralità espressiva.
Nondimeno, Maiorano non si lascia sedurre ma, al contrario, agisce come un hacker, sabotando dall'interno - come si evidenzia nella maggior parte dei "soggetti" fotografati: le grandi facciate virtual/pubblicitarie che coprono i palazzi in restauro - gli effetti illusionistici del mondo tecnologico, e ribadendo le qualità sovversive della pittura.
Da qualunque lato si guardino, le opere di questa mostra si pongono come un punto di riferimento (e, dunque, di riflessione) di una visione che coniuga il territorio dell'arte, in cui - dice Duchamp – non dominano né il tempo né lo spazio, con il continuo presente e lo spazio zero della tecnologia.
Serafino Maiorano è nato a Crotone nel 1957, vive e lavora a Roma.
Mostre personali. Immagine Regia Ex Pinacoteca Appartamenti Storici, Reggia di Caserta 2008
Art Karlsruhe Galleria Traghetto, Karlsruhe, 2008
Interno rosso , Galleria Traghetto ,Venezia, 2008
Pace velata, Galleria Traghetto, Roma, 2007
Spazi luminosi, Galleria La Bussola, Cosenza, 2006
Architetture dell’animo, Galleria Traghetto Venezia, 2005
Paesaggi mediterranei, Palazzo Sasso, Ravello, 2005
Tornabuoni Arte Contemporanea, Milano, 2004
Stato d’allerta, Studio d’Arte Contemporanea Casagrande, Roma, 2002
ROMA MM-Studio d’Arte Contemporanea Casagrande, Roma, 2000
Tornabuoni Arte Contemporanea, Crans Montana (Svizzera), 1999
Galerie Triebold, Basilea (Svizzera), 1997
PAN-DAP -Studio d’Arte Contemporanea Casagrande, Roma, 1996
Archivio Cavellini, Brescia, 1996
Gianfranco Rosini Arte Contemporanea,Riccione,1991 La Bottega dei vasai,Milano, Galleria Val I 30,Valencia (Spagna) ,1989 Centro Luigi Di Sarro ,Roma,1989 Galleria Val I 30,Valencia,(Spagna),1987
Mostre collettive :
Lightbox Via lucis Centro Angelo Savelli, Lamezia Terme (Catanzaro) 2008
ViennaFair galleria Traghetto Vienna 2007
Miart, galleria La Bussola , Milano , 2006 Plot. Art. Europa, Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Roma, 2006
Shoes or not shoes?, Het Museum voor Schoene Kunst, Gent (Belgio), 2006
Carte Italiane, Studio d’Arte Contemporanea Casagrande, Roma, 2004
Carte Italiane, a cura di Lucia Presilla, Bruxelles, Palazzo del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, 2003
Il mare, a cura di Patrizia Ferri, Museo Nasional Indonesiano, Jacarta, 2002
Extravergine, Trevi Flash Art Museum, 2001
ArteFiera Bologna, Tornabuoni Arte Contemporanea, 2000
Finchè c’è morte c’è speranza,Trevi Flash Art Museum,Trevi,1999 Atlante,Geografia e Storia della giovane arte Italiana,Macs Masedu Arte Contemporanea,Sassari,1999 Kroton e Contemporanea, MAC Museo d’Arte Contemporanea, Crotone, 1998
Libero e obliquo,Centro Internazionale Formazione delle Arti,Cosenza,1998 Nel segno del dono ,Castello Svevo,Cosenza,1997 Con il fuoco nella mente, Salon Privè Arti Visive, Roma, 1997
Oh, le vache, Museo Haile Saint Pierre, Parigi, 1997
Kunst ’96,Gallerie Triebold ,Zurigo,1996 Solstizio d’estate,Associazione culturale Zerynthia,Serre di Rapolano,1996 Art Basel, Galerie Triebold, Basilea, 1996
Fax Art ,Palazzo delle Esposizioni,Roma,1995 Per mare e monti, Galleria Monti, Macerata, 1995
Materia tradita, Galleria Cilena, Milano, 1994
L’Arca di Noè, Trevi Flash Art Museum, 1994
Il Gatto e la Volpe, Galleria Pio Monti, Roma, 1993
Le Sfingi del Testaccio, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1993
Terra…Terra ,Bottega dei vasai,Milano,1991 Art Basel, Galleria La Polena, Basilea, 1991
Daedalus, Casa Seronide, Ascona (Svizzera), 1990
Astrazione e figurazione italiana, Aida Gallery, Giza, Il Cairo, 1988
Onda Verde,Palazzo degli Affari,Firenze,1997 Joie de vivre,S.Maria a Vico,Caserta,1986 Unicorco, Galleria Monti, Roma, 1985
Una nuovissima generazione dell’Arte Italiana, Siena, 1985
ArteFiera Bologna, Galleria Monti, 1985
Hanno scritto di lui:
Dario Micacchi, Enrico Crispolti, Barbara Tosi , Italo Mussa, Massimo Bignardi, Arnaldo Romani Brizzi, Tonino Sicoli, Olga Real, Fernando Miglietta , Francesca Alfano Miglietti, Franco Solmi,Ada Lombardi, Cecilia Casorati, Patrizia Ferri, Francesca Pietracci, Ludovico Pratesi, Gianluca Marziani, Martina Cavallarin, Danilo Eccher.
colpi di colore. La sua sfida è ricostruire e decostruire l’immagine fotografica secondo modelli di illusione pittorica, saturandola di stereotipi
visivi e culturali. In tal modo la resa è una sotterranea trasgressione ed una sottile ribellione. Una paradossale combinazione di spazio,
quello dell’icona, e del tempo, la fissità che imprigiona un eterno presente, mescolati ad un approfondimento “manuale” che ci pone di
fronte ad una verità ipotetica...
...Esponente tra i primi dell’arte digitale Maiorano attinge alla realtà sociale che lo circonda, alla vita quotidiana, alle strutture delle città
italiane ed europee, agli interni abitati dalla collettività ed infine, ma con costanza, ai segni e alle presenze dei luoghi familiari...
... La sapienza di Maiorano sta nel frequentare di continuo il bilico della soglia, nella capacità di mettere di fronte ed amalgamare diverse
arti, fotografia e pittura, per impegnarsi in composizioni destinate ad esprimere una gamma di emozioni e movimenti che vanno ben oltre la
capacità tecnologica e manuale. Ciò che trapela è filtrato dalla luce cadenzato da bianchi e neri, da fughe prospettiche e bagliori
accecanti. La mise enscene non è reale, non esiste una preparazione scenografica o una predisposizione di set cinematografico. Esiste
un’atmosfera che Maiorano costruisce ed integra nel suo studio per ricomparire, composta ed inquietante, nel gioco illusionistico dell’opera
finale. L’effimero si propone come una rivendicazione, come un modo per far vacillare la memoria, statuto estetico incerto, all’incrocio tra
molteplici discipline, allargato nei confini dell’arte per mettere in forse la sopravvivenza stessa delle categorie tradizionali e consuete...
...Le teorie presenti nell’arte si scontrano ma, nel contemporaneo, la tendenza è coesistenza di convenzioni, memoria del luogo, delle idee
e del corpo, ricordi di gesti antichi e pratiche tecnologiche in quello che è lo sconfinato universo dell’eclettismo.
Il pensiero complesso, post-strutturalista, di Foucault e Derrida, nell’arte esprime il disordine del mondo contemporaneo e l’inconsistenza
delle azioni umane. La parola chiave è decostruzione, ovvero linee sovrapposte, azioni non convenzionali, elaborazioni computerizzate,
pratica pittorica, fotografica. In questo senso il codice linguistico di Maiorano gode di una purezza senza inganni, una lentezza misurata
raccordata a stilemi originali e pratiche collaudate che lo collocano di diritto tra gli artisti europei contemporanei dallo sguardo più ampio e
vertiginoso.
SERAFINO MAIORANO
di Danilo Eccher
Quando una fotografia svapora nella pittura, quando le dissolvenze confondono e sovrappongono i confini disciplinari, quando i linguaggi abbandonano la propria identità per indossare nuove e variopinte maschere, tutto diviene più difficile e si confonde, e si mescola, si intreccia e si perde. In tal modo, il terreno narrativo si rende più incerto, paludoso, infido e il procedere interpretativo richiede nuovi strumenti e nuove accortezze. Si delinea una generale incertezza, uno sgomento che può sfociare in ansia, paura, insicurezza, una fragilità che però può anche facilmente mutare in sottile curiosità, in oscura attrazione, in eccitante ricerca. Da quando, nella seconda metà dell’Ottocento, i pittori parigini hanno cominciato a frequentare lo studio del fotografo Nadar, il rapporto fra pittura e fotografia è andato intensificandosi, non di rado sovrapponendosi e confondendosi. All’inizio, la contaminazione avvenne su un piano squisitamente tecnico, grammaticale, ma ben presto questo mutò in un abbraccio sempre più avvolgente raggiungendo spesso, con Dada e Futurismo, un groviglio inestricabile di visioni ed emozioni, di lampi e di precipizi matrici. Sono, però, soprattutto gli ultimi tre decenni che hanno segnato una più complessa ed articolata relazione fra fotografia e pittura, una relazione che ha investito sia il piano linguistico che quello narrativo, che ha invertito gli schemi formali, che ha scomposto le strutture grammaticali, che ha confuso immagini e racconti, emozioni e ricerche, tecniche e materiali. Non vi è dubbio che fra i massimi protagonisti di questa complessa stagione artistica Gerard Richter ha recitato un ruolo fondamentale, non solo per quanto concerne gli esiti formali ma anche per alcune tracce di riflessione critica dalle quali è oggi difficile prescindere. Innanzitutto, l’artista tedesco è, ed è sempre rimasto, un pittore, nel senso che l’impianto generale del suo linguaggio è rimasto ancorato all’ambito della pittura; ne ha certamente dilatato i confini, ne ha forse deformato gli strumenti, ma il suo lavoro si è pur sempre iscritto alla pratica pittorica. Ciò che Richter, forse prima di altri, ha realizzato, è stato un cambiamento prospettico dell’intera sfera narrativa, ha cioè strutturato il racconto visivo invertendo, linguisticamente, i ruoli assegnati, attribuendo alla pittura quello decostruttivo e alla fotografia quello emozionale. Così, il cromatismo materico del colore, anche quando è ridotto alla semplice assenza di luce, risulta sospeso in un’assenza, in una funzione di scavo e di sovrapposizione che costantemente deforma e annulla l’immagine, dando vita ad un racconto frammentato ed evanescente. Allo stesso modo, il volto del ricordo si spoglia della propria rappresentatività, per affondare, con la luce di una candela o con la sagoma di una persona, nel vortice evocativo di un brivido emozionante, nel ricordo di una narrazione inafferrabile. Nello stesso orizzonte di ricerca si colloca il lavoro di Serafino Maiorano, un percorso complesso, attento e consapevole di tutte le sfumature di questo intreccio linguistico ma, soprattutto, concentrato a non lasciarsi irretire dal virtuosismo compositivo, per sostenere e proteggere la più delicata sfera concettuale. In effetti, l’aspetto formale, che in questa tipologia di ricerca riveste sempre un ruolo determinante, in Serafino Maiorano, che pure gli dedica straordinaria attenzione, non assume mai il sopravvento sul dato concettuale, su quel elemento intellettuale che si intuisce sotto i veli di una figurazione solo evocata. Si tratta di un clima narrativo che non di rado sfiora l’esoterismo del simbolo e la profondità dell’enigma, un’atmosfera che avvolge l’intero processo creativo, abbandonando frammenti e dettagli di un pensiero silenziosamente evocato. Come il linguaggio accende il brivido per un percorso svolto sul bordo delle discipline, così la narrazione fluttua nella deriva di una concettualità bulimica. Ciò emerge già nei lavori realizzati a metà degli anni Novanta dove il soggetto naturalistico, o animale, è inserito in una sussurrata struttura architettonica che, non solo distribuisce i piani prospettici, ma anche ordina la recitazione della figura e allude ad un impalpabile tracciato geometrico. Ciò che inevitabilmente colpisce in questi lavori è la suggestione dei soggetti in relazione all’impianto narrativo: da un lato il suggerimento ad una natura arcaica, rude, primitiva, dall’altro lato, l’impaginazione geometrica in cui il rigore del tratto suggerisce la complessità del pensiero. Come nell’esasperato contrasto che Boccioni evidenzia ne “La città che sale”, dove all’eredità contadina dipinta nel cavallo in primo piano è affidata la costruzione del futuro segnata con la città in lontananza, così queste opere di Serafino Maiorano scatenano il cortocircuito tra un’apparente insistenza naturalistica e una più sottile attrazione matematica, tra un’immagine emozionale e una percezione concettuale, tra istinto e intelletto. Tale dinamica è sostenuta e confermata da un procedere linguistico che, non solo danza sul baratro dell’incertezza d’identità, ma accentua la sua inquietudine attraverso un cromatismo acido e corrosivo. Il racconto si compone per spezzoni, frammenti di visione, bagliori di figure che si rincorrono e si disperdono, lo spazio scenico è ordinato secondo griglie prestabilite, piani compositivi che, come nelle ripartizioni di Mondrian, distribuiscono pesi e ruoli, determinano vuoti e concentrazioni. Eppure, già in queste opere, e poi in modo ancora più evidente in quelle successive, nemmeno la struttura architettonica, che rappresenta una costante nelle opere di Serafino Maiorano, riesce a garantire un ordine certo, un orizzonte affidabile e sicuro entro cui svolgere la narrazione. Mano a mano che tali strutture si dispongono nello spazio appare sempre più incerta e fragile la loro disciplina, lentamente impallidisce l’ordine matematico per affiorare un più misterioso ‘ordine cabalistico’, una sorta di misteriosa figura geometrica, come quella presente nella ‘Melancolìa’ del Duerer, ripresa oggi da Kiefer, dove appare anche il tema del quadrato magico, che getta il racconto nello sconcerto e alimenta l’inquietudine dello sguardo. Si definisce così, in questa ricerca, la presenza dell’enigma, un ingorgo del pensiero che assorbe lo scorrere della visione, che arresta le immagini, che impone un lento e scrupoloso ritmo interpretativo. Sembra quasi che una sottile trasparenza metafisica si depositi sulla tela, obbligando lo sguardo a distogliersi dalla compiacenza spettacolare del racconto, per riconoscere i segreti di un’immagine più intima e appartata. Forse, proprio questo indebolimento della grammatica architettonica per una geometria più poetica, ha convinto, fra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila, Serafino Maiorano a irrobustire la composizione, concentrandosi su soggetti urbani: sui grandi cartelloni pubblicitari, sulle impalcature degli edifici, su porzioni dei palazzi. Anche in questo caso, malgrado un’imponente solidità apparente, non si tratta di soggetti certi, architetture affidabile, geometrie sicure, bensì elementi provvisori, instabili, evanescenti, la cui struttura è scenografica, posticcia, il cui corpo è molle. Eppure, sono ottime strutture di supporto allo scorrere delle immagini, giganteschi schermi televisivi, quinte teatrali per una visionarietà urbana che si fa frenetica, vorace, ossessiva. Più l’artista si concentra nella stesura di un racconto organizzato, nell’elaborazione di una grammatica data, nella definizione di un impianto formale solido, più affiora il segreto della sua anima poetica, più emerge l’esoterismo della sua inquietudine, più appare il silenzio della sua intima emozione. Certamente la consapevolezza di questa profonda dialettica, ha spinto Serafino Maiorano ad esasperare l’elemento linguistico, caricando di suggestioni i deboli elementi pittorici e raffreddando la spettacolarità dell’immagine. L’esito, che si è andato consolidando a partire dai primi anni del Duemila, è quello di una pittura insistente, puntigliosa, capace di inserirsi nelle ferite della figura, sottolinearne un’ombra, accenderne un movimento, suggerire un’espressione. Una pittura elegante, sostenuta da un sofisticato cromatismo capace di accendersi in mille bagliori o quietarsi nel susseguirsi di gradazioni. Grazie a questi minuscoli protagonisti pittorici, alla loro vitalità cromatica, alla loro discrezione, Maiorano può liberare il suo incanto, può allontanarsi dai rigori del concettualismo e ripararsi dalla insidie dell’esoterismo. Può, in definitiva, acquisire maggiore leggerezza, può, quindi, dispiegare il suo racconto con una gioia nuova, con una nuova curiosità fantastica, con un nuovo sguardo di sorpresa. A tutto ciò ha contribuito la sempre più solida capacità tecnica nell’utilizzo dell’immagine digitale, attraverso la quale Maiorano compie i propri azzardi, affronta le proprie avventure e si arrampica in una visionarietà stupefacente. Non vi è alcuna esibizione di virtuosismo tecnico e nemmeno la morbosa ricerca di immagini sconvolgenti o provocanti, non vi è insomma l’alfabeto ricorrente di troppa arte digitale contemporanea ma solo la volontà di manipolare una realtà apparente e transitoria, piegarla al proprio sguardo e liberarla dalla propria superficialità. Nascono così immagini dal forte carattere e dal grande impatto visivo, maestose architetture, eroici paesaggi urbani, inattese prospettive che si deformano e svaporano in una liquidità incontrollabile. Volte e colonne che si dilatano, ambienti ripiegati su se stessi, navate e cupole di cattedrali impossibili, scaloni e vetrate che si confondono senza tempo e senza ordine, senza memorie e senza certezze. Questa maggiore sicurezza espressiva, che ha permesso un fiorire narrativo più articolato e complesso, autorizza ora, accanto alla consueta architettura geometrica, anche la frequenza della figura umana nello spazio scenico. Presenze inevitabilmente eteree, inconsistenti, sfumate nella loro dissolvenza esistenziale, sagome umane dai contorni indefiniti, spiritualità ondivaghe, fantasmi di una quotidianità contemporanea che popolano gli ambienti e gli sguardi del nostro tempo. Figure sospese, silenziosamente metafisiche, apparizioni emaciate di un Giacometti visionario, ‘Amalasunte’ poetiche di un Licini contemporaneo. Le danze che questi personaggi compiono le loro eleganze, le loro gentili dissolvenze, generano una complice compiacenza che guida lo sguardo lungo i margini del racconto, in quella terra di nessuno ai bordi della figura dove solitamente sono relegati dettagli superflui e dove qui invece abitano sorprendenti particolari. Esplode nel lavori di Serafino Maiorano una relazione che è sempre stata presente ma che ora trova la sua più completa definizione: quella tra architettura e movimento, tra figura e linea. Un rapporto contraddittorio che ha animato la ricerca dell’artista fin dai suoi esordi ma che in queste ultime opere accelera e rafforza tale contrasto, rinunciando al pretesto formale incaricato di confondere l’immagine, per liberare le oscillazioni dei lampadari e lasciar scivolare i riflessi negli specchi.
l’arte digitale di Serafino Maiorano
tra illusione tecnologica e sovversione pittorica
la tecnologia è un'energia nuova di cui l'arte non soltanto sfrutta la grande potenza ma di cui assume le trasformazioni. In altre parole, l'arte - soprattutto quella delle giovani generazioni - è contaminata dalla tecnologia fino al punto che è possibile parlare di un'estetica tecnologica; una nuova estetica in cui gli artisti regolano la loro ricerca sui poteri tecnologici, senza valutarne le attitudini destabilizzanti.
Le opere di Serafino Maiorano abitano il territorio di confine tra l'arte e la tecnologia, palesando costanti interferenze - non soltanto stilistiche - tra i due linguaggi. L'uso che l'artista fa del digitale, ammette il significato sostanzialmente inedito e rivoluzionario della tecnologia afferrandone il senso epocale senza, tuttavia, sottostare all'effetto ipnotico del virtuale.
Le sue immagini - grandi plottaggi su cui l'artista interviene, talvolta addirittura impercettibilmente per rafforzare una luce o esaltare un particolare - sono il risultato dei suoi vagabondaggi notturni a Milano o Roma; sono pause, interruzioni nell'incessante e sempre "spettacolare" scorrere della realtà.
Anche qui, come nel mondo tecnologico, trionfa lo "sguardo superficiale", lontano dall'obbligo -caratteristico delle avanguardie e delle neo -avanguardie - di rivelare significati e sensi profondi che legittimino la sperimentazione; uno sguardo libero, fluido e ironico che deliberatamente - con la consapevolezza di essere artefice e non creatore o interprete - fonda il proprio linguaggio sulla pluralità espressiva.
Nondimeno, Maiorano non si lascia sedurre ma, al contrario, agisce come un hacker, sabotando dall'interno - come si evidenzia nella maggior parte dei "soggetti" fotografati: le grandi facciate virtual/pubblicitarie che coprono i palazzi in restauro - gli effetti illusionistici del mondo tecnologico, e ribadendo le qualità sovversive della pittura.
Da qualunque lato si guardino, le opere di questa mostra si pongono come un punto di riferimento (e, dunque, di riflessione) di una visione che coniuga il territorio dell'arte, in cui - dice Duchamp – non dominano né il tempo né lo spazio, con il continuo presente e lo spazio zero della tecnologia.
Serafino Maiorano è nato a Crotone nel 1957, vive e lavora a Roma.
Mostre personali. Immagine Regia Ex Pinacoteca Appartamenti Storici, Reggia di Caserta 2008
Art Karlsruhe Galleria Traghetto, Karlsruhe, 2008
Interno rosso , Galleria Traghetto ,Venezia, 2008
Pace velata, Galleria Traghetto, Roma, 2007
Spazi luminosi, Galleria La Bussola, Cosenza, 2006
Architetture dell’animo, Galleria Traghetto Venezia, 2005
Paesaggi mediterranei, Palazzo Sasso, Ravello, 2005
Tornabuoni Arte Contemporanea, Milano, 2004
Stato d’allerta, Studio d’Arte Contemporanea Casagrande, Roma, 2002
ROMA MM-Studio d’Arte Contemporanea Casagrande, Roma, 2000
Tornabuoni Arte Contemporanea, Crans Montana (Svizzera), 1999
Galerie Triebold, Basilea (Svizzera), 1997
PAN-DAP -Studio d’Arte Contemporanea Casagrande, Roma, 1996
Archivio Cavellini, Brescia, 1996
Gianfranco Rosini Arte Contemporanea,Riccione,1991 La Bottega dei vasai,Milano, Galleria Val I 30,Valencia (Spagna) ,1989 Centro Luigi Di Sarro ,Roma,1989 Galleria Val I 30,Valencia,(Spagna),1987
Mostre collettive :
Lightbox Via lucis Centro Angelo Savelli, Lamezia Terme (Catanzaro) 2008
ViennaFair galleria Traghetto Vienna 2007
Miart, galleria La Bussola , Milano , 2006 Plot. Art. Europa, Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Roma, 2006
Shoes or not shoes?, Het Museum voor Schoene Kunst, Gent (Belgio), 2006
Carte Italiane, Studio d’Arte Contemporanea Casagrande, Roma, 2004
Carte Italiane, a cura di Lucia Presilla, Bruxelles, Palazzo del Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea, 2003
Il mare, a cura di Patrizia Ferri, Museo Nasional Indonesiano, Jacarta, 2002
Extravergine, Trevi Flash Art Museum, 2001
ArteFiera Bologna, Tornabuoni Arte Contemporanea, 2000
Finchè c’è morte c’è speranza,Trevi Flash Art Museum,Trevi,1999 Atlante,Geografia e Storia della giovane arte Italiana,Macs Masedu Arte Contemporanea,Sassari,1999 Kroton e Contemporanea, MAC Museo d’Arte Contemporanea, Crotone, 1998
Libero e obliquo,Centro Internazionale Formazione delle Arti,Cosenza,1998 Nel segno del dono ,Castello Svevo,Cosenza,1997 Con il fuoco nella mente, Salon Privè Arti Visive, Roma, 1997
Oh, le vache, Museo Haile Saint Pierre, Parigi, 1997
Kunst ’96,Gallerie Triebold ,Zurigo,1996 Solstizio d’estate,Associazione culturale Zerynthia,Serre di Rapolano,1996 Art Basel, Galerie Triebold, Basilea, 1996
Fax Art ,Palazzo delle Esposizioni,Roma,1995 Per mare e monti, Galleria Monti, Macerata, 1995
Materia tradita, Galleria Cilena, Milano, 1994
L’Arca di Noè, Trevi Flash Art Museum, 1994
Il Gatto e la Volpe, Galleria Pio Monti, Roma, 1993
Le Sfingi del Testaccio, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1993
Terra…Terra ,Bottega dei vasai,Milano,1991 Art Basel, Galleria La Polena, Basilea, 1991
Daedalus, Casa Seronide, Ascona (Svizzera), 1990
Astrazione e figurazione italiana, Aida Gallery, Giza, Il Cairo, 1988
Onda Verde,Palazzo degli Affari,Firenze,1997 Joie de vivre,S.Maria a Vico,Caserta,1986 Unicorco, Galleria Monti, Roma, 1985
Una nuovissima generazione dell’Arte Italiana, Siena, 1985
ArteFiera Bologna, Galleria Monti, 1985
Hanno scritto di lui:
Dario Micacchi, Enrico Crispolti, Barbara Tosi , Italo Mussa, Massimo Bignardi, Arnaldo Romani Brizzi, Tonino Sicoli, Olga Real, Fernando Miglietta , Francesca Alfano Miglietti, Franco Solmi,Ada Lombardi, Cecilia Casorati, Patrizia Ferri, Francesca Pietracci, Ludovico Pratesi, Gianluca Marziani, Martina Cavallarin, Danilo Eccher.
26
novembre 2009
Serafino Maiorano – L’arte digitale
Dal 26 novembre al 13 dicembre 2009
arte contemporanea
Location
TORNABUONI ARTE
Milano, Via Fatebenefratelli, 34, (Milano)
Milano, Via Fatebenefratelli, 34, (Milano)
Orario di apertura
dalle 10 alle 13 e dalle 15.30 alle 19.30
Vernissage
26 Novembre 2009, ore 18
Ufficio stampa
STEMAX
Autore