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Sergio Romano – Una Sofferta Spensieratezza
A volerla catalogare si sta poco davvero, perché informale è categoria sotto cui sta tutto, tutto quello che sia un approccio svincolato da riferimenti figurativi o da schemi razionali.
Comunicato stampa
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Tutto un territorio in cui “non si sa”, verrebbe da dire, in cui l’artista è libero di disporre a suo piacimento sfondi, macchie, al limite materiali eterogenei. Non si sa cosa vedere, come guardare, magari nemmeno come orientare la tela. E’ bello l’informale perché è libertà, gesto estraneo ad ogni determinazione, operazione che non deve rendere conto di nulla. Le tele di Sergio Romano si propongono sotto questa categoria e un primo approccio può essere proprio di questo tipo, un po’ istintivo, magari un po’ perplesso. Ampi sfondi ora neri ora beige, perla, grigi e poi un aggregarsi all’apparenza casuale di macchie, striature, figure geometriche che occupano il centro in una confusione e con una libertà che è gioia, per gli occhi di chi guarda certamente, ma anche per le mani che hanno lavorato, immaginiamo. Il pittore ti conduce fra le tele sciorinadole una dopo l’altra nel suo laboratorio, e ti racconta via via piccoli segmenti di una ricerca curiosa e sofisticata al tempo stesso. Rispetto ad altre stagioni del suo lavoro, che già conoscevo, trovo aggiunte raffinatezze ulteriori, come certe bruciature realizzate su vernici sintetiche tramite un phon industriale, capaci di creare aree maculate suggestive, come intarsi in radica, oppure inserti di carte particolari, granulose, magari di carte stropicciate e “spruzzate”, capaci di rendere effetti singolari di tridimensionalità. Collage fatti con stralci di giornali o di riviste, lacerti di scritte che sopravvivono al calderone alchemico della tavolozza. La sapienza pittorica sa dar vita a forme equilibrate, a composizioni in cui precisi tocchi, magari di un vivo rosso, una pennellata sola, sanno produrre eruzioni di energia, poli energetici di grande intensità. Già questo, è chiaro, giustifica l’operazione perché il quadro è cibo per gli occhi e il menu è ricco, di cromatismi e vivacità compositiva.
Eppure su questo tipo di informale viene da fare un discorso diverso perché tela dopo tela vedi costruirsi un discorso. Chissà perché fra una tela e l’altra si insinua nella mia mente un’ideuzza che non riesco a mandare via. Questi quadri sono piccoli progetti del mondo. Col mondo ci fai tante cose, se lo dai in mano a un pittore: qualcuno lo riproduce, qualcuno lo deforma, qualcuno lo cancella magari, qualcun altro prende brandelli di esistente, impressioni, e tenta di riprogettarlo. Il quadro qui è pensato come si penserebbe un paesaggio, con i suoi sfondi larghi, neutri che devono ospitare l’idea, il progetto. E ve ne sono perfino di quelli in cui l’artista mantiene e ripropone la scansione archetipica del paesaggio, con un basso e un alto, nero il primo come la terra dei nostri sogni, magari di un magico grigio perlaceo un sopra che sarà il cielo. Qui le macchie “informali” sono sagome di qualcosa, e poco importa vederci case o alberi, ciminiere o grattacieli. E’ un mondo nuovo che ha la sorpresa e la meraviglia dei sogni, la definitezza e l’indefinitezza dei progetti appena pensati. Altre volte il progetto è più ambizioso: lo sfondo è enorme come la notte, appena variato di sfumatura a suggerire un orientamento e un incrinarsi del buio, e le entità cromatiche si accampano come oggetti nell’enormità dell’universo. Talvolta è riconoscibile uno scorcio di questo mondo, del nostro, come una successione di istantanee sfocate che saranno magari solo ricordi sbiaditi in un futuro diverso. I resti di questo mondo altre volte galleggiano come residui di una immane rovina trascinata a valle da una alluvione: brandelli di giornali, lettere disarticolate e decontestualizzate si sovrappongono a strati, accostate ad altri oggetti nuovi, riquadri perlacei che paiono lunari, appartenenti ad un futuro immaginato, segni che ricordano davvero gli schizzi di un progetto in fieri, tracciati nel cantiere, in corso d’opera. Il rosso che accende le composizioni, condotte sempre su toni notturni, diventa allora traccia di una energia creatrice, simbolo di questo lavoro demiurgico. E se il fuoco è il veicolo di tale intenzione creativa, come in fondo lo è di ogni creazione, allora le tracce di bruciatura non saranno casuali, l’uso di questa tecnica originale avrà un valore simbolico interessante e illuminante. E’ un progetto intimo, beninteso, un mondo pensato che forse attiene al mondo dei ricordi o dei sogni prima che della ri-voluzione o della ri-fondazione. La stessa collocazione centrale, composta nella tela in modo discreto, suggerisce una intimità del progetto, una gelosa e personale riflessione sulle cose prima che un proposito gridato e ostentato.
Ecco allora che la libertà dell’informale ci appare diversa, si carica in quest’ottica di una serietà inattesa, mette in campo perfino istanze etiche, e mi pare si possa parlare di una sorta di “spensieratezza sofferta”, per definirla con un ossimoro pregnante.
Nell’ultima serie le soluzioni diventano via via più giocose, come se pensare questo mondo nuovo diventasse un piacere oltre che una missione: ne esce una serie di tele più colorate, in cui rossi, gialli, ocra contendono il terreno ai neri, in cui lo spazio si conquista con maggior slancio e vitalità immediata. Perché questo tipo di progetto, quello pittorico intendo, ora prende i colori del mondo ora prende quelli dell’anima, ora vive di ricordi ora si illumina di sogni visionari.
Paolo Venti
Eppure su questo tipo di informale viene da fare un discorso diverso perché tela dopo tela vedi costruirsi un discorso. Chissà perché fra una tela e l’altra si insinua nella mia mente un’ideuzza che non riesco a mandare via. Questi quadri sono piccoli progetti del mondo. Col mondo ci fai tante cose, se lo dai in mano a un pittore: qualcuno lo riproduce, qualcuno lo deforma, qualcuno lo cancella magari, qualcun altro prende brandelli di esistente, impressioni, e tenta di riprogettarlo. Il quadro qui è pensato come si penserebbe un paesaggio, con i suoi sfondi larghi, neutri che devono ospitare l’idea, il progetto. E ve ne sono perfino di quelli in cui l’artista mantiene e ripropone la scansione archetipica del paesaggio, con un basso e un alto, nero il primo come la terra dei nostri sogni, magari di un magico grigio perlaceo un sopra che sarà il cielo. Qui le macchie “informali” sono sagome di qualcosa, e poco importa vederci case o alberi, ciminiere o grattacieli. E’ un mondo nuovo che ha la sorpresa e la meraviglia dei sogni, la definitezza e l’indefinitezza dei progetti appena pensati. Altre volte il progetto è più ambizioso: lo sfondo è enorme come la notte, appena variato di sfumatura a suggerire un orientamento e un incrinarsi del buio, e le entità cromatiche si accampano come oggetti nell’enormità dell’universo. Talvolta è riconoscibile uno scorcio di questo mondo, del nostro, come una successione di istantanee sfocate che saranno magari solo ricordi sbiaditi in un futuro diverso. I resti di questo mondo altre volte galleggiano come residui di una immane rovina trascinata a valle da una alluvione: brandelli di giornali, lettere disarticolate e decontestualizzate si sovrappongono a strati, accostate ad altri oggetti nuovi, riquadri perlacei che paiono lunari, appartenenti ad un futuro immaginato, segni che ricordano davvero gli schizzi di un progetto in fieri, tracciati nel cantiere, in corso d’opera. Il rosso che accende le composizioni, condotte sempre su toni notturni, diventa allora traccia di una energia creatrice, simbolo di questo lavoro demiurgico. E se il fuoco è il veicolo di tale intenzione creativa, come in fondo lo è di ogni creazione, allora le tracce di bruciatura non saranno casuali, l’uso di questa tecnica originale avrà un valore simbolico interessante e illuminante. E’ un progetto intimo, beninteso, un mondo pensato che forse attiene al mondo dei ricordi o dei sogni prima che della ri-voluzione o della ri-fondazione. La stessa collocazione centrale, composta nella tela in modo discreto, suggerisce una intimità del progetto, una gelosa e personale riflessione sulle cose prima che un proposito gridato e ostentato.
Ecco allora che la libertà dell’informale ci appare diversa, si carica in quest’ottica di una serietà inattesa, mette in campo perfino istanze etiche, e mi pare si possa parlare di una sorta di “spensieratezza sofferta”, per definirla con un ossimoro pregnante.
Nell’ultima serie le soluzioni diventano via via più giocose, come se pensare questo mondo nuovo diventasse un piacere oltre che una missione: ne esce una serie di tele più colorate, in cui rossi, gialli, ocra contendono il terreno ai neri, in cui lo spazio si conquista con maggior slancio e vitalità immediata. Perché questo tipo di progetto, quello pittorico intendo, ora prende i colori del mondo ora prende quelli dell’anima, ora vive di ricordi ora si illumina di sogni visionari.
Paolo Venti
11
maggio 2013
Sergio Romano – Una Sofferta Spensieratezza
Dall'undici al 31 maggio 2013
arte contemporanea
Location
CENTRO CULTURALE ALDO MORO
Cordenons, Via Traversagna, 4, (Pordenone)
Cordenons, Via Traversagna, 4, (Pordenone)
Orario di apertura
lunedì,mercoledì,venerdì,sabato dalle
16-19
Vernissage
11 Maggio 2013, ore 18,00
Autore
Curatore