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Sergio Zavattieri – Botanica
personale
Comunicato stampa
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Almeno 140, le battute necessarie.
La misura che suddivide i valori di durata in musica, quella battuta, deve essere spinta.
Come il battito.
Come se il battito pulsasse al punto di sembrare fermo. Oppure come se la battuta diventasse quella sospensione momentanea che il dizionario, tra gli altri sensi, riporta.
Allora si può guardare, questo nuovo impegno analitico di Sergio Zavattieri che fa del procedimento un pensiero e dello spostamento un motivo e un modo d’essere. Che penetra e scandaglia restando lucido, che scatta, stacca, allarga, aggiunge e cambia le forme in posa immobile prelevate fuori poi portate dentro e lavorate, a riprova di una magia assolta dalla tecnica.
Collezionista alterato e paziente, artigiano-maniaco a denti stretti dipendente da perfezionismo stilistico e non morale, Zavattieri (da ora anche solo “Sergio Z.”) forgia il vero e lo amplifica, lo manipola e fissa per renderlo catalogabile e inalterabile frutto di un artifizio digitale che documenta la bellezza non vista, quella nascosta/assente che si tratta in laboratorio e che l’occhio vede senza coscienza. Il dettaglio impercettibile ora compare, rasentando un doppio visivo che trasforma quell’aspetto in uno diverso, che scolpisce – fotografandolo – un reperto eletto decodificato, tradotto, sviluppato avvalendosi di un sistema a più fasi che cattura e cambia.
Che sian corpi, carni, bestie o ultimi pasti, l’occhio meccanico di Sergio Z., freddo e minuzioso come un rilevatore predisposto, elabora e restituisce deviando la vista ingannata di chi contempla per scoprire. Gli studi dell’artista anatomizzano gli studi dell’artista. La distanza emotiva e l’accostamento ottico (sin dal titolo della mostra, “Botanica”, che non interpreta, ma sottotitola) sigillano e mettono sottovetro, “risucchiano l’aura dalla realtà” negando i rassicuranti spazio&tempo che sempre aiutano a contestualizzare l’uomo nell’ambiente circostante.
L’attualità è gestita dal mezzo: ogni suo pervenirci è deformato dal metodo e dalla preferenza. Sergio Z. trasferisce il rinvenibile dal luogo d’origine al dove voluto e utile, attraverso un mixaggio che fonde natura e ricerca.
Poi ci sono i fiori, elementi secondari (cit. Sergio Z.: “…in ogni lavoro che faccio il soggetto non é proprio la parte fondamentale”) del rappresentare la capacità e mostrare il tramite. La “preparazione sintetica della vita” è ricorrente nell’opera dell’homo faber Sergio Z., sfruttatore scientifico dell’esistenza e suo interprete distante.
Tecnofiori, protesi floreali a schermo pieno sterilizzate e inerti come se immerse nell’olio siliconico del Garden di Marc Quinn che trattiene e sospende – nel vuoto di un silenzio che riempie – piante in coma destinate a decomporsi non appena staccata la spina.
Nel frattempo, però, possiamo guardare il bello.
Nell’attesa avremo abusato della perfezione che i condannati a morte come noi non smettono di volere.
Non possiamo fare di più. Guardando, intendo. Non possiamo cercare e tanto meno trovare qualcosa di soltanto nostro, in questa attesa paralizzante che esibisce insensibile e non parla.
P.S.: quanto sopra ammette l’influenza della “storia” (Benjamin, Blossfeldt), di Mircea Eliade, dei Limbo, degli Shpongle, del “Collezionista” di John Fowles e di Sergio Z.
La misura che suddivide i valori di durata in musica, quella battuta, deve essere spinta.
Come il battito.
Come se il battito pulsasse al punto di sembrare fermo. Oppure come se la battuta diventasse quella sospensione momentanea che il dizionario, tra gli altri sensi, riporta.
Allora si può guardare, questo nuovo impegno analitico di Sergio Zavattieri che fa del procedimento un pensiero e dello spostamento un motivo e un modo d’essere. Che penetra e scandaglia restando lucido, che scatta, stacca, allarga, aggiunge e cambia le forme in posa immobile prelevate fuori poi portate dentro e lavorate, a riprova di una magia assolta dalla tecnica.
Collezionista alterato e paziente, artigiano-maniaco a denti stretti dipendente da perfezionismo stilistico e non morale, Zavattieri (da ora anche solo “Sergio Z.”) forgia il vero e lo amplifica, lo manipola e fissa per renderlo catalogabile e inalterabile frutto di un artifizio digitale che documenta la bellezza non vista, quella nascosta/assente che si tratta in laboratorio e che l’occhio vede senza coscienza. Il dettaglio impercettibile ora compare, rasentando un doppio visivo che trasforma quell’aspetto in uno diverso, che scolpisce – fotografandolo – un reperto eletto decodificato, tradotto, sviluppato avvalendosi di un sistema a più fasi che cattura e cambia.
Che sian corpi, carni, bestie o ultimi pasti, l’occhio meccanico di Sergio Z., freddo e minuzioso come un rilevatore predisposto, elabora e restituisce deviando la vista ingannata di chi contempla per scoprire. Gli studi dell’artista anatomizzano gli studi dell’artista. La distanza emotiva e l’accostamento ottico (sin dal titolo della mostra, “Botanica”, che non interpreta, ma sottotitola) sigillano e mettono sottovetro, “risucchiano l’aura dalla realtà” negando i rassicuranti spazio&tempo che sempre aiutano a contestualizzare l’uomo nell’ambiente circostante.
L’attualità è gestita dal mezzo: ogni suo pervenirci è deformato dal metodo e dalla preferenza. Sergio Z. trasferisce il rinvenibile dal luogo d’origine al dove voluto e utile, attraverso un mixaggio che fonde natura e ricerca.
Poi ci sono i fiori, elementi secondari (cit. Sergio Z.: “…in ogni lavoro che faccio il soggetto non é proprio la parte fondamentale”) del rappresentare la capacità e mostrare il tramite. La “preparazione sintetica della vita” è ricorrente nell’opera dell’homo faber Sergio Z., sfruttatore scientifico dell’esistenza e suo interprete distante.
Tecnofiori, protesi floreali a schermo pieno sterilizzate e inerti come se immerse nell’olio siliconico del Garden di Marc Quinn che trattiene e sospende – nel vuoto di un silenzio che riempie – piante in coma destinate a decomporsi non appena staccata la spina.
Nel frattempo, però, possiamo guardare il bello.
Nell’attesa avremo abusato della perfezione che i condannati a morte come noi non smettono di volere.
Non possiamo fare di più. Guardando, intendo. Non possiamo cercare e tanto meno trovare qualcosa di soltanto nostro, in questa attesa paralizzante che esibisce insensibile e non parla.
P.S.: quanto sopra ammette l’influenza della “storia” (Benjamin, Blossfeldt), di Mircea Eliade, dei Limbo, degli Shpongle, del “Collezionista” di John Fowles e di Sergio Z.
11
febbraio 2006
Sergio Zavattieri – Botanica
Dall'undici febbraio al 03 marzo 2006
arte contemporanea
Location
GALLERIA ARTURARTE
Nepi, Via Settevene Palo, 1a, (Viterbo)
Nepi, Via Settevene Palo, 1a, (Viterbo)
Orario di apertura
da lunedì a venerdì 9-18. Sabato e domenica su appuntamento
Vernissage
11 Febbraio 2006, ore 13
Autore
Curatore