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Servet Kocyigit – When the Lion Comes Out of the Shade
Dal 17 gennaio al 9 marzo 2019, Officine dell’Immagine di Milano ospita la seconda personale italiana di Servet Koçyiğit (Kaman, 1971), uno degli autori più interessanti della scena contemporanea turca.
Comunicato stampa
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Curata da Silvia Cirelli, la mostra dal titolo When the Lion comes out of the Shade esplora il recente percorso artistico di questo poliedrico interprete, raccogliendo una selezione di opere, tra fotografie, installazioni e collages, mai esposti in Italia.
Distintosi negli ultimi anni con partecipazioni in prestigiosi Musei internazionali come La Triennale di Milano, l’Israel Museum di Gerusalemme, l’Istanbul Modern Museum, il Center of Contemporary Art di Torun (Polonia), o la 27sima Biennale di Sao Paulo, Servet Koçyiğit ha inoltre vinto nel 2016 il prestigioso “Shpilman International Prize for excellence in photography” con il suo ultimo progetto fotografico My Heart is not made from Stone, presentato in esclusiva italiana in questa mostra.
Da sempre attento al confronto con tematiche socioculturali, identitarie, comportamentali e geopolitiche che interessano non solo la realtà turca – a cui è certamente legato – ma che riguardano in generale la storia culturale odierna, Koçyiğit riscopre le contaminazioni nell’arte di temi di grande attualità, come l’esperienza dell’emigrazione, il senso di sradicamento, gli equilibri fra individuo e collettività e la vulnerabilità del genere umano. Con una raffinatezza lessicale strettamente connessa a un’autentica essenzialità emotiva, l’artista traduce le ferite di una società che sembra faticare a trovare il proprio equilibrio, forse troppo indebolita da una frammentarietà identitaria costretta da situazioni coercitive come l’abbandono della propria terra a causa di guerre, soprusi, o il fantasma del colonialismo.
In questa fragile altalena emozionale la grande sensibilità storica di Servet Koçyiğit diventa basilare per comprendere il valore della terra come depositaria e custode della memoria culturale.
Per restituire il concetto evolutivo della condizione migratoria e dell’identità transculturale non solo fisica ma anche e soprattutto emozionale, Servet Koçyiğit sceglie la simbologia della mappa come principale veicolo espressivo. Le sue però, sono mappe ben lontane dal voler riprodurre fedelmente la configurazione geopolitica, al contrario, rappresentano elaborazioni che conducono a nuove prospettive, alla consapevolezza di una mappatura visiva definita dalle persone, dalle comunità, e non semplicemente dai luoghi abitati.
Così come la scelta della tipologia di tessuti usati per queste multiformi composizioni, anche la predilezione di contributi estetici che evidenziano una corrispondenza migratoria - il più delle volte conseguenza del violento colonialismo – è una costante nella grammatica stilistica di Koçyiğit. L’artista si sofferma con premura sulle piaghe del colonialismo e il conseguente sradicamento culturale ancora oggi ben visibile in molte parti del mondo, in particolare in Africa. L’occasione dell’esperienza sudafricana durante la residency “Joburg Now” durata un paio di mesi, ha dunque favorito l’artista non solo nel recupero dei materiali utilizzati nelle rispettive mappe “immaginarie”, ma anche nello sviluppo della complessa serie fotografica My Heart is not made from Stone, dove centrale è la rievocazione di quei luoghi consumati e abusati dal trascorso colonialista. I protagonisti degli scatti, mostrano infatti antiche mappe – trovate dall’artista in alcuni mercati olandesi e portati a Johannesburg – su cui sono state disegnate le stesse pietre preziose per le quali quelle terre sono state distrutte. Un triste sopruso purtroppo comune in non poche realtà naturalistiche mondiali.
In un viaggio che diventa metafora silenziosa di esistenze e luoghi perduti, Servet Koçyiğit esemplifica appieno l’affresco di un’eredità poliedrica che attraversa la complessità di un sincretismo sia culturale sia identitario smascherato dalla partecipazione di un dolore che deve essere condiviso.
Note biografiche
Servet Koçyiğit è nato a Kaman (Turchia) nel 1971, attualmente vive e lavora fra Amsterdam e Istanbul. Si è laureato nel 1997 alla Gerrit Rietveld Academy di Amsterdam.
Al suo attivo ha numerose mostre sia in importanti musei stranieri, come La Triennale di Milano, il MuCEM Museum di Marsiglia, l’HOK Henie Onstad Kunstsenter di Oslo, l’Istanbul Modern Museum, il Palais Des Beaux Arts De Lille, Francia, lo Smart Project Space di Amsterdam, l’Haifa Museum of Art, Israele, l’Israel Museum di Gerusalemme, il MuHKA-Media di Anwerpen, il De Appel Center for Contemporary Art di Amsterdam, o il Wilheim Lehmbruck Museum di Duisburg, Germania; che partecipazioni a Festival e Biennali, come Lianzhou Foto Festival in Cina (2012), la Biennale Cuvée di Linz (2008), la Biennale di Sao Paulo (2006) e quella di Istanbul (2005).
Nel 2016 ha inoltre vinto il prestigioso “Shpilman International Prize for excellence in photography”.
Distintosi negli ultimi anni con partecipazioni in prestigiosi Musei internazionali come La Triennale di Milano, l’Israel Museum di Gerusalemme, l’Istanbul Modern Museum, il Center of Contemporary Art di Torun (Polonia), o la 27sima Biennale di Sao Paulo, Servet Koçyiğit ha inoltre vinto nel 2016 il prestigioso “Shpilman International Prize for excellence in photography” con il suo ultimo progetto fotografico My Heart is not made from Stone, presentato in esclusiva italiana in questa mostra.
Da sempre attento al confronto con tematiche socioculturali, identitarie, comportamentali e geopolitiche che interessano non solo la realtà turca – a cui è certamente legato – ma che riguardano in generale la storia culturale odierna, Koçyiğit riscopre le contaminazioni nell’arte di temi di grande attualità, come l’esperienza dell’emigrazione, il senso di sradicamento, gli equilibri fra individuo e collettività e la vulnerabilità del genere umano. Con una raffinatezza lessicale strettamente connessa a un’autentica essenzialità emotiva, l’artista traduce le ferite di una società che sembra faticare a trovare il proprio equilibrio, forse troppo indebolita da una frammentarietà identitaria costretta da situazioni coercitive come l’abbandono della propria terra a causa di guerre, soprusi, o il fantasma del colonialismo.
In questa fragile altalena emozionale la grande sensibilità storica di Servet Koçyiğit diventa basilare per comprendere il valore della terra come depositaria e custode della memoria culturale.
Per restituire il concetto evolutivo della condizione migratoria e dell’identità transculturale non solo fisica ma anche e soprattutto emozionale, Servet Koçyiğit sceglie la simbologia della mappa come principale veicolo espressivo. Le sue però, sono mappe ben lontane dal voler riprodurre fedelmente la configurazione geopolitica, al contrario, rappresentano elaborazioni che conducono a nuove prospettive, alla consapevolezza di una mappatura visiva definita dalle persone, dalle comunità, e non semplicemente dai luoghi abitati.
Così come la scelta della tipologia di tessuti usati per queste multiformi composizioni, anche la predilezione di contributi estetici che evidenziano una corrispondenza migratoria - il più delle volte conseguenza del violento colonialismo – è una costante nella grammatica stilistica di Koçyiğit. L’artista si sofferma con premura sulle piaghe del colonialismo e il conseguente sradicamento culturale ancora oggi ben visibile in molte parti del mondo, in particolare in Africa. L’occasione dell’esperienza sudafricana durante la residency “Joburg Now” durata un paio di mesi, ha dunque favorito l’artista non solo nel recupero dei materiali utilizzati nelle rispettive mappe “immaginarie”, ma anche nello sviluppo della complessa serie fotografica My Heart is not made from Stone, dove centrale è la rievocazione di quei luoghi consumati e abusati dal trascorso colonialista. I protagonisti degli scatti, mostrano infatti antiche mappe – trovate dall’artista in alcuni mercati olandesi e portati a Johannesburg – su cui sono state disegnate le stesse pietre preziose per le quali quelle terre sono state distrutte. Un triste sopruso purtroppo comune in non poche realtà naturalistiche mondiali.
In un viaggio che diventa metafora silenziosa di esistenze e luoghi perduti, Servet Koçyiğit esemplifica appieno l’affresco di un’eredità poliedrica che attraversa la complessità di un sincretismo sia culturale sia identitario smascherato dalla partecipazione di un dolore che deve essere condiviso.
Note biografiche
Servet Koçyiğit è nato a Kaman (Turchia) nel 1971, attualmente vive e lavora fra Amsterdam e Istanbul. Si è laureato nel 1997 alla Gerrit Rietveld Academy di Amsterdam.
Al suo attivo ha numerose mostre sia in importanti musei stranieri, come La Triennale di Milano, il MuCEM Museum di Marsiglia, l’HOK Henie Onstad Kunstsenter di Oslo, l’Istanbul Modern Museum, il Palais Des Beaux Arts De Lille, Francia, lo Smart Project Space di Amsterdam, l’Haifa Museum of Art, Israele, l’Israel Museum di Gerusalemme, il MuHKA-Media di Anwerpen, il De Appel Center for Contemporary Art di Amsterdam, o il Wilheim Lehmbruck Museum di Duisburg, Germania; che partecipazioni a Festival e Biennali, come Lianzhou Foto Festival in Cina (2012), la Biennale Cuvée di Linz (2008), la Biennale di Sao Paulo (2006) e quella di Istanbul (2005).
Nel 2016 ha inoltre vinto il prestigioso “Shpilman International Prize for excellence in photography”.
17
gennaio 2019
Servet Kocyigit – When the Lion Comes Out of the Shade
Dal 17 gennaio al 09 marzo 2019
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
OFFICINE DELL’IMMAGINE
Milano, Via Carlo Vittadini, 11, (Milano)
Milano, Via Carlo Vittadini, 11, (Milano)
Orario di apertura
martedì - sabato ore 11-19
Vernissage
17 Gennaio 2019, ore 19
Autore
Curatore