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Shannon Bool – Don’t know what you’ve got till it’s gone
“Hi, just back … I was thinking of the title: “Don’t know what you’ve got ‘till it’s gone” as the phrase jumped into my head when I was making the works. Both the carpets and photograms illuminate information through formal subtractions (cutting out Maria, cutting out Paris exhibition figures) and
Comunicato stampa
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Nel momento in cui l’occidente colonizza l’oriente, cristallizzando un’idea di se stesso tra otto e novecento, è allora che inizia a immaginare il levante come diverso; per poi però adottarne la suggestione come evasione dal raziocinio (anche attraverso le droghe: l’oppio e l’hashish), dalla storia progressiva (verso eclettici revival), dall’oppressione dell’abbigliamento, da religioni repressive e infine dalle costrizioni sessuali - immaginando harem, costumi disinibiti esotici ed erotici.
La sessualità cacciata dalla porta d’ingresso; ovvero la doppia morale, borghese e vittoriana, lascia che sia proprio l’erotismo a rientrare dalle finestre. Ci si riferisce al tempo di Freud e della scoperta dell’inconscio, quando nel suo studio ricoperto di tappeti orientali, da una scrivania affollata di divinità egizie e pagane, il padre della psicanalisi oppone il baluardo materialista della teoria sessuale a fronte del proliferare dei simboli e del neo-spiritualismo dilagante.
Se il progresso della cultura occidentale sembra dover coincidere con la rimozione dell’ornamento da ogni utensile, da un lato ecco Adolf Loos, con l’ornamento come delitto, e poi da un altro Ludwig Wittgenstein, tra la progettazione della sua casa e la riformulazione della logica, del suo Tractatus che sembra una tabula rasa, pur provvisoria, alla ricerca di punti fermi.
Eppure, dal lato artistico, ecco allora che la nascita della modernità tra otto e novecento si associa all’eclettismo storicista e orientalista, allo stile floreale, la riscoperta dell’art nègre, poi all’art deco. E’ così che torna l’arabesco, retorica freudiana, quale contrappasso barocco alla linearità razionale. Si direbbe che la nascita di un paradigma culturale moderno e occidentale cresca sulle spalle di ciò che nel medesimo tempo reprime: il fascino della natura, della libera crescita dei fiori, delle piante, e dei corpi liberi dalle costrizioni culturali come nella danza di Isadora Duncan, i vestiti di Mariano Fortuny, il vegetarianesimo, la scoperta delle culture orientali…
Shannon Bool sembra ripercorrere questo continuo paradosso tra repressione e ritorno del represso. In una modalità quasi narrativa in Harem inverted, dove esili colonne di metallo, che pur richiamano suggestioni sumere di De Dominicis, diventano allusioni erotiche e pali da lapdance, e ancora un excursus da esibizioni notturne in night club fino ai centri fitness.
L’attenzione al dettaglio, per una modalità forse più descrittiva invece quando a Firenze recentemente ha filmato un tappeto orientale, un gigantesco tappeto mammelucco del Cinquecento, riscoperto solo negli anni ottanta del secolo scorso nei sotterranei di Palazzo Pitti (Forensics for a Mamluk, 2013) e avviene che d’improvviso si disvela qualcosa che era stato dimenticato, trascurato, non visto, rimosso: il tappeto, un fondo, una semplice decorazione, una sorta di scenario geometrico.
Come nella Madonna di Lucca di Jan van Eyck dove tra le pareti così intime della stanza figurava un tappeto anatolico pur messo in prospettiva, ma che non era ancora inteso come si direbbe oggi ‘occidentale’.In scena il disvelamento del rimosso, l’affiorare del represso, del dimenticato, (ancor più forse l’inattuale), visibilità a ciò che è magari frutto di disattenzione, figlio dell’amnesia, forse dell’indolenza, del negligere più nero. Ellissi, come le chiamano nel racconto cinematografico. Diventa visibile ciò che visibile era sempre stato, ma cui mancava l’evidenza, frutto del cambiamento di stato. Vi mancava la coscienza, figlia della cesura.
La sessualità cacciata dalla porta d’ingresso; ovvero la doppia morale, borghese e vittoriana, lascia che sia proprio l’erotismo a rientrare dalle finestre. Ci si riferisce al tempo di Freud e della scoperta dell’inconscio, quando nel suo studio ricoperto di tappeti orientali, da una scrivania affollata di divinità egizie e pagane, il padre della psicanalisi oppone il baluardo materialista della teoria sessuale a fronte del proliferare dei simboli e del neo-spiritualismo dilagante.
Se il progresso della cultura occidentale sembra dover coincidere con la rimozione dell’ornamento da ogni utensile, da un lato ecco Adolf Loos, con l’ornamento come delitto, e poi da un altro Ludwig Wittgenstein, tra la progettazione della sua casa e la riformulazione della logica, del suo Tractatus che sembra una tabula rasa, pur provvisoria, alla ricerca di punti fermi.
Eppure, dal lato artistico, ecco allora che la nascita della modernità tra otto e novecento si associa all’eclettismo storicista e orientalista, allo stile floreale, la riscoperta dell’art nègre, poi all’art deco. E’ così che torna l’arabesco, retorica freudiana, quale contrappasso barocco alla linearità razionale. Si direbbe che la nascita di un paradigma culturale moderno e occidentale cresca sulle spalle di ciò che nel medesimo tempo reprime: il fascino della natura, della libera crescita dei fiori, delle piante, e dei corpi liberi dalle costrizioni culturali come nella danza di Isadora Duncan, i vestiti di Mariano Fortuny, il vegetarianesimo, la scoperta delle culture orientali…
Shannon Bool sembra ripercorrere questo continuo paradosso tra repressione e ritorno del represso. In una modalità quasi narrativa in Harem inverted, dove esili colonne di metallo, che pur richiamano suggestioni sumere di De Dominicis, diventano allusioni erotiche e pali da lapdance, e ancora un excursus da esibizioni notturne in night club fino ai centri fitness.
L’attenzione al dettaglio, per una modalità forse più descrittiva invece quando a Firenze recentemente ha filmato un tappeto orientale, un gigantesco tappeto mammelucco del Cinquecento, riscoperto solo negli anni ottanta del secolo scorso nei sotterranei di Palazzo Pitti (Forensics for a Mamluk, 2013) e avviene che d’improvviso si disvela qualcosa che era stato dimenticato, trascurato, non visto, rimosso: il tappeto, un fondo, una semplice decorazione, una sorta di scenario geometrico.
Come nella Madonna di Lucca di Jan van Eyck dove tra le pareti così intime della stanza figurava un tappeto anatolico pur messo in prospettiva, ma che non era ancora inteso come si direbbe oggi ‘occidentale’.In scena il disvelamento del rimosso, l’affiorare del represso, del dimenticato, (ancor più forse l’inattuale), visibilità a ciò che è magari frutto di disattenzione, figlio dell’amnesia, forse dell’indolenza, del negligere più nero. Ellissi, come le chiamano nel racconto cinematografico. Diventa visibile ciò che visibile era sempre stato, ma cui mancava l’evidenza, frutto del cambiamento di stato. Vi mancava la coscienza, figlia della cesura.
27
settembre 2014
Shannon Bool – Don’t know what you’ve got till it’s gone
Dal 27 settembre al 31 ottobre 2014
arte contemporanea
Location
PAVILLON
Lucca, Via Antonio Mordini, 64, (Lucca)
Lucca, Via Antonio Mordini, 64, (Lucca)
Orario di apertura
Solo su appuntamento
Vernissage
27 Settembre 2014, 18:00
Autore
Curatore