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Silvano Girardello – Chi viene a giocare con me?
Più di settanta lavori a documentare un iter lungo sei decenni: dalle iniziali prove che risentono ancora di vaghi echi picassiani, alle superfici ferite e incandescenti dei primi anni ‘60, alla contaminazione ironica di stili e tecniche del periodo Pop
Comunicato stampa
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SILVANO GIRARDELLO
“CHI VIENE A GIOCARE CON ME?”
Antologica
27 Giugno – 16 Luglio 2017
Verona, Palazzo della Gran Guardia
“C’è chi, in presa diretta con la realtà, inserisce una pera e una mela in un quadro e realizza una natura morta. Ma c’è anche chi ripensa a tutti i quadri realizzati dai pittori su quel motivo e tenta di reinventare uno spazio nuovo dove inserirlo e mutarne il senso e il significato”. È una delle tante annotazioni “a margine” con cui Silvano Girardello (Giacciano, Rovigo, 1928 – Verona, 2016) riempie i fogli che fanno da progettazione e riflessione per l’opera a venire. Ma è una frase che sembra concentrare in sé tutti i metodi e le ragioni del suo fare artistico.
Egli sa che non si possono inventare forme, perché le forme fanno parte del mondo delle idee. Ma sa anche che si possono inventare nuovi modi di vedere le forme, proporre varianti ai miti, alle leggende, alle stanze del Museo. Non si tratta mai di “d’après”, quanto di rielaborazioni e reinterpretazioni di capolavori che sono entrati nell’immaginario
popolare.
E interamente basata su questo codice operativo appare la selezione degli oltre settanta quadri di Girardello esposti al “piano nobile” del Palazzo della Gran Guardia. Dalle iniziali prove che risentono ancora di vaghi echi picassiani alle superfici afflitte da ferite, tagli, solchi sulfurei dei primi anni ‘60, dalla contaminazione ironica di stili, tecniche, linguaggi
del periodo Pop all’introduzione di distorte presenze oniriche e fantastiche, un po’ come nelle immagini fintamente ingenue, quasi popolari e “da baraccone” degli inglesi Hockney o Hamilton.
Ma è con il Ratto d’Europa che Girardello, partendo dall’archetipo di Paolo Veronese (Palazzo Ducale, Venezia) dà vita a una miriade di varianti, alterazioni, combinazioni. Gli piace verificare come in uno stesso quadro possano convivere i linguaggi più dissimili:
quelli mitici, quelli simbolici, quelli letterali, ecc.; o anche testimoniare come l’arte sia sempre un supplemento di altra arte, come, la pittura sia sempre un commento di altra pittura.
Arriva perfino a introdurre su alcune “tavole” le figure di amici e parenti mettendoli al cospetto di Toulouse-Lautrec, Picasso, Ensor, quasi a voler evidenziare che tutta l’arte è contemporanea e che c’è un appuntamento segreto tra il passato e il presente.
E pure tutte le successive rivisitazioni di Girardello (a Morandi, a Munch, all’”Angelus” di Millet) presentano questo modus operandi: non un rimando diretto, una citazione, un calco, ma un sistema che indica pensieri provvisori, sottili migrazioni di motivi, ipotesi,
possibilità compositive. È un po’ come se l’artista cercasse di svelare l’inconscio delle immagini (ciò che non è stato abbastanza mostrato o è andato perduto con il tempo). Egli si comporta alla maniera dello straccivendolo di Benjamin, il quale, con lenta sapienza raccoglie minuzie e reliquie, conferendo spessore a tante rimozioni.
Del resto, come spiegare anche i tanti “Quadri nel quadro”, in cui si rovescia il rapporto tra realtà e immaginazione? Spesso Girardello impiega questo stratagemma (che è stato usato dal manierismo, ma anche da De Chirico e Magritte). All’interno di un dipinto monocromo colloca l’immagine di un paesaggio o di un oggetto, che aggiungono al fascino formale della pittura il fascino spirituale dell’inganno. È un gioco di depistaggio visivo o, come direbbe Calvino “un tentativo di allargarsi e comprendere orizzonti infiniti”: ma, anche, il contrario, e cioè il rinchiudere la rappresentazione in un riquadro, in una cornice, in un luogo chiuso.
In fondo, a Girardello, piacciono molto gli artifici compositivi, i capricci, le bizzarrie (da cui viene anche il titolo della mostra “Chi viene a giocare con me?”). A volte arriva perfino a ritrarre se stesso all’interno del quadro, come un inguaribile voyeur. Il ciclo degli Interni si mescola con quello delle Passeggiate, i Cancelli borghesi si alternano con le scene di
campagna. E tutto torna e ritorna, senza un vero esito o una vera fine. Il gioco a cui è chiamato lo spettatore è quello di ricucire l’antico e il nuovo, il prelievo e l’aggiunta, il vero e il falso, sapendo che, come afferma il regista Antonioni: “Sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra e sotto questa un’altra ancora […]. Fino all’ultima, assoluta e misteriosa, che nessuno vedrà mai”.
“CHI VIENE A GIOCARE CON ME?”
Antologica
27 Giugno – 16 Luglio 2017
Verona, Palazzo della Gran Guardia
“C’è chi, in presa diretta con la realtà, inserisce una pera e una mela in un quadro e realizza una natura morta. Ma c’è anche chi ripensa a tutti i quadri realizzati dai pittori su quel motivo e tenta di reinventare uno spazio nuovo dove inserirlo e mutarne il senso e il significato”. È una delle tante annotazioni “a margine” con cui Silvano Girardello (Giacciano, Rovigo, 1928 – Verona, 2016) riempie i fogli che fanno da progettazione e riflessione per l’opera a venire. Ma è una frase che sembra concentrare in sé tutti i metodi e le ragioni del suo fare artistico.
Egli sa che non si possono inventare forme, perché le forme fanno parte del mondo delle idee. Ma sa anche che si possono inventare nuovi modi di vedere le forme, proporre varianti ai miti, alle leggende, alle stanze del Museo. Non si tratta mai di “d’après”, quanto di rielaborazioni e reinterpretazioni di capolavori che sono entrati nell’immaginario
popolare.
E interamente basata su questo codice operativo appare la selezione degli oltre settanta quadri di Girardello esposti al “piano nobile” del Palazzo della Gran Guardia. Dalle iniziali prove che risentono ancora di vaghi echi picassiani alle superfici afflitte da ferite, tagli, solchi sulfurei dei primi anni ‘60, dalla contaminazione ironica di stili, tecniche, linguaggi
del periodo Pop all’introduzione di distorte presenze oniriche e fantastiche, un po’ come nelle immagini fintamente ingenue, quasi popolari e “da baraccone” degli inglesi Hockney o Hamilton.
Ma è con il Ratto d’Europa che Girardello, partendo dall’archetipo di Paolo Veronese (Palazzo Ducale, Venezia) dà vita a una miriade di varianti, alterazioni, combinazioni. Gli piace verificare come in uno stesso quadro possano convivere i linguaggi più dissimili:
quelli mitici, quelli simbolici, quelli letterali, ecc.; o anche testimoniare come l’arte sia sempre un supplemento di altra arte, come, la pittura sia sempre un commento di altra pittura.
Arriva perfino a introdurre su alcune “tavole” le figure di amici e parenti mettendoli al cospetto di Toulouse-Lautrec, Picasso, Ensor, quasi a voler evidenziare che tutta l’arte è contemporanea e che c’è un appuntamento segreto tra il passato e il presente.
E pure tutte le successive rivisitazioni di Girardello (a Morandi, a Munch, all’”Angelus” di Millet) presentano questo modus operandi: non un rimando diretto, una citazione, un calco, ma un sistema che indica pensieri provvisori, sottili migrazioni di motivi, ipotesi,
possibilità compositive. È un po’ come se l’artista cercasse di svelare l’inconscio delle immagini (ciò che non è stato abbastanza mostrato o è andato perduto con il tempo). Egli si comporta alla maniera dello straccivendolo di Benjamin, il quale, con lenta sapienza raccoglie minuzie e reliquie, conferendo spessore a tante rimozioni.
Del resto, come spiegare anche i tanti “Quadri nel quadro”, in cui si rovescia il rapporto tra realtà e immaginazione? Spesso Girardello impiega questo stratagemma (che è stato usato dal manierismo, ma anche da De Chirico e Magritte). All’interno di un dipinto monocromo colloca l’immagine di un paesaggio o di un oggetto, che aggiungono al fascino formale della pittura il fascino spirituale dell’inganno. È un gioco di depistaggio visivo o, come direbbe Calvino “un tentativo di allargarsi e comprendere orizzonti infiniti”: ma, anche, il contrario, e cioè il rinchiudere la rappresentazione in un riquadro, in una cornice, in un luogo chiuso.
In fondo, a Girardello, piacciono molto gli artifici compositivi, i capricci, le bizzarrie (da cui viene anche il titolo della mostra “Chi viene a giocare con me?”). A volte arriva perfino a ritrarre se stesso all’interno del quadro, come un inguaribile voyeur. Il ciclo degli Interni si mescola con quello delle Passeggiate, i Cancelli borghesi si alternano con le scene di
campagna. E tutto torna e ritorna, senza un vero esito o una vera fine. Il gioco a cui è chiamato lo spettatore è quello di ricucire l’antico e il nuovo, il prelievo e l’aggiunta, il vero e il falso, sapendo che, come afferma il regista Antonioni: “Sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra e sotto questa un’altra ancora […]. Fino all’ultima, assoluta e misteriosa, che nessuno vedrà mai”.
27
giugno 2017
Silvano Girardello – Chi viene a giocare con me?
Dal 27 giugno al 16 luglio 2017
arte contemporanea
Location
PALAZZO DELLA GRAN GUARDIA
Verona, Piazza Brà, (Verona)
Verona, Piazza Brà, (Verona)
Orario di apertura
tutti i giorni h. 10 - 20
Vernissage
27 Giugno 2017, ore 18.30
Autore
Curatore