Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Silvia Percussi – Sagome sequenziali
L’artista indaga il tema dell’albero: l’albero non recita più un monologo, non si pone come scheggia di un discorso frammentario. Da unità semantica pregnante, racconta un racconto in bilico tra dubbi e certezze, tra volontà di soste rassicuranti , con la freschezza di un ritrovato stupore.
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Sagome sequenziali
L'albero non ha ancora cessato di essere - per Silvia Percussi - la cifra espressiva del suo mondo interiore.
Un albero dal sapore autobiografico, certo, materializzazione nostalgica di ricordi ed esperienze di vita (un familiare pino marino), ma anche trasfigurazione simbolica della propria autopercezione. Autopercezione di sé come persona fisica, reale, tangibile, per cui la chioma allude ad un'altra chioma e forse, in modo sotterraneo, rimanda ad un suggestivo mito metamorfico, quello di Apollo e Dafne, mito di fuga e di libertà, termini-chiave per l'artista. Ma autopercezione di sé anche come essere umano dotato di una profonda interiorità, pervaso da un'ansia sottile di comprendere e comprendersi, di vedere e vedersi dentro per dialogare con i propri dubbi, i propri sogni, i propri mutevoli, sfaccettati, caleidoscopici stati d'animo.
In questo senso, in lavori di poco precedenti e tematicamente legati a questi, con un legame più d'apparenza che di sostanza, l'albero ha potuto porsi come metafora di quella dignitosa e orgogliosa solitudine che (sono parole dell'artista stessa) la rappresenta e le appartiene; e sempre su questa linea, in queste ultime opere - particolarmente nelle carte della serie Madr'albero - può esprimere il desiderio nascosto, tutto femminile, di una maternità che dia senso e luce alla propria esistenza e sia capace di dilatare la vita al di là dei suoi confini.
E' riduttivo tuttavia, in questi lavori, insistere su dati autobiografici, anche se per Silvia Percussi, l'arte ha sempre avuto il compito di dar voce al suo mondo più nascosto; ed è certo fuorviante insistere sui temi della solitudine, della malinconia o di una visione umbratile della vita.
L'albero sta acquistando una maggiore autonomia espressiva e simbolica e, pur riconfermandosi morfema significativo della ricerca dell'artista (come ha già magistralmente notato Siliano Simoncini), si carica di valenze archetipiche e si apre a simbologie meno contingenti, più positive e libere.
Quella forma peculiare che, sulle tele e sulle carte, sembra librarsi verso l'alto, non più trattenuta (alla terra? al reale?) da forme geometriche vaganti o da un precario reticolato che sembra negare se stesso e la sua forza costrittiva, appare come un inno alla vita e alla rinascita che rivela la fiducia incrollabile nella forza del pensiero e nella libertà della creazione artistica.
La sagoma dell'albero vede così esaltate le sue qualità formali e plastiche e si presenta come tassello di un gioco gestuale di forme e di equilibri ritmici che trova in sé le sue ragioni di esistere.
Un segno estetico nell'accezione etimologica del termine: capace di colpire la nostra aisthesis, la nostra percezione, di suggerirci pause riflessive o di spingerci a percorrere con gli occhi e con la mano le nuove tattilità delle superfici, nella quali c'è sempre un particolare minuto a segnare la differenza: un tratto, un punto di luce, un nuovo dialogo materico.
Gioco, ho detto.
Ma un gioco serio, perché la ricerca artistica di Silvia Percussi non è un'avventura estetica, è un impegno di vita.
Si potrebbe parlare a lungo del senso nascosto della simbolica partita a scacchi che sembrano invitarci a giocare le tele tramate da incroci ortogonali, così come sarebbe intrigante indagare il fine degli allusivi cruciverba che l'artista sembra velatamente proporre alla nostra attenzione.
Ma si rischia di ritornare al passato.
Come ho detto sopra infatti, si respira un'atmosfera diversa in questi lavori, capaci tuttavia di riassumere i due poli tra i quali si muove costantemente la ricerca dell'artista: l'esigenza insopprimibile di dar corpo alle proprie emozioni, in maniera libera, e l'esigenza altrettanto insopprimibile di controllare tali emozioni, di sottoporle ad un controllo razionale che ne smorzi i toni più accesi e scomposti.
Riappare così anche in queste carte e in queste tele la presenza di elementi geometrici nella loro duplice valenza: da una parte come elementi di ordine e di equilibrio, anche compositivo (quell'esigenza che fa prediligere colori netti, monocromi, ridotti in gran parte ai consueti bianchi, rossi o neri), dall'altra, come metafora di costrizione (a cui in passato si alludeva con l'utilizzo di viti, chiodi o bulloni).
Ma il geometrismo qui è più sfumato; ribadito nell'impianto strutturale delle carte e delle tele più grandi, suggerito dalla riproposizione seriale e combinatoria dei multipli di tre (con tutto il loro retroterra simbolico), viene tuttavia corroso dal fuori-schema o dal senso di fuga presente in alcune composizioni e negato dalla stessa morbidezza e sinuosità formale dell'elemento archetipico, l'albero appunto, che sembra librarsi nello spazio infinito.
Albero o suggestivo, dinamico, libero aquilone?
Nello stesso tempo l'apparente freddezza delle superfici monocrome è quasi negata dall'impiego di nuovi materiali: una carta gommata, la sabbia nelle sue varie granulature, le stoffe damascate, usate con sobrietà e discrezione, la luce dorata di semisfere metalliche o la luminosità opalescente delle perle, pervase da una sensibilità tutta femminile.
E, infine, c'è la tensione verso una nuova plasticità: le forme degli "alberi" possono essere disegnate e poi dipinte sulla superficie, ma anche ottenute con sagome incollate che si proiettano, in modo impercettibile, nello spazio ricercando una maggiore autonomia; i "totem" in ceramica ne saranno il logico sviluppo, come se la forma avesse guidato la mano dell'artista, e non viceversa, alla ricerca di un'oggettività autosufficiente.
E tutto il percorso si snoda in un'estrema pulizia formale, ricercando l'essenzialità.
Essenzialità discreta, misurata, ma ricca di calore: il calore dato dalla carta fatta a mano, percorsa da impercettibili sussurri luminosi; il calore presente nella cura artigianale del particolare e nel materiale trovato - le stoffe - o nel segno diretto e morbido tracciato dalla grafite e lasciato visibile, per far cogliere l'opera nel suo farsi.
Ci sono poi, sporadici, frammenti di spago: materiale umile, di uso quotidiano, materializzazione allusiva della volontà di trattenere un evento, un ricordo.
Ma anche filo che dipana i pensieri, che ripercorre le trame della memoria nella speranza di tenere saldamente un capo che ci ricongiunga all'altro, nella sua accezione più ampia.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria, un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo...
Così scriveva E. Montale, ne La casa dei doganieri.
E anche questo, forse, vuol dirci Silvia Percussi con le sue sagome, con le sue sequenze, con il suo senso del percorso.
Perchè comunque, al di là di tutto, anche in questi lavori l'artista continua a pensare se stessa, pur con una nuova sensibilità, più morbida, e pur in modo sempre più libero.
Anche i referenti artistici restano ai margini, eco di fiamma lontana in una dimensione assolutamente altra, in cui il gioco autonomo di equilibri e di forme non nega, ma riassorbe e depura un altro, personalissimo gioco: quello dei moti dell'animo, dei pensieri e dei sogni su cui fantasticare.
E forse allora gli sporadici elementi geometrici non sono tanto una matrice ordinante, ma una fragile, labile maglia per impedirne la fuga e lo svanire.
Ma su tutte queste forme e queste sagome, su questi colori e questi materiali si respira comunque un'atmosfera serena: quella che emana dai ritmi e dalle armonie compositive o dal discreto gioco decorativo volutamente cercato per alleggerire e sfumare equilibri e tensioni.
Davvero in queste opere l'albero non recita più un monologo, non si pone come scheggia di un discorso frammentario che non riesce a chiarire se stesso: unità semantica pregnante, racconta un racconto in bilico tra dubbi e certezze, tra volontà di soste rassicuranti e desideri di procedere oltre, senza vincoli.
Un racconto personale e collettivo, contingente e assoluto nello stesso tempo, che gioca anche un gioco sottile e allusivo, di forme e di simboli, con la freschezza di un ritrovato stupore.
Anna Brancolini
L'albero non ha ancora cessato di essere - per Silvia Percussi - la cifra espressiva del suo mondo interiore.
Un albero dal sapore autobiografico, certo, materializzazione nostalgica di ricordi ed esperienze di vita (un familiare pino marino), ma anche trasfigurazione simbolica della propria autopercezione. Autopercezione di sé come persona fisica, reale, tangibile, per cui la chioma allude ad un'altra chioma e forse, in modo sotterraneo, rimanda ad un suggestivo mito metamorfico, quello di Apollo e Dafne, mito di fuga e di libertà, termini-chiave per l'artista. Ma autopercezione di sé anche come essere umano dotato di una profonda interiorità, pervaso da un'ansia sottile di comprendere e comprendersi, di vedere e vedersi dentro per dialogare con i propri dubbi, i propri sogni, i propri mutevoli, sfaccettati, caleidoscopici stati d'animo.
In questo senso, in lavori di poco precedenti e tematicamente legati a questi, con un legame più d'apparenza che di sostanza, l'albero ha potuto porsi come metafora di quella dignitosa e orgogliosa solitudine che (sono parole dell'artista stessa) la rappresenta e le appartiene; e sempre su questa linea, in queste ultime opere - particolarmente nelle carte della serie Madr'albero - può esprimere il desiderio nascosto, tutto femminile, di una maternità che dia senso e luce alla propria esistenza e sia capace di dilatare la vita al di là dei suoi confini.
E' riduttivo tuttavia, in questi lavori, insistere su dati autobiografici, anche se per Silvia Percussi, l'arte ha sempre avuto il compito di dar voce al suo mondo più nascosto; ed è certo fuorviante insistere sui temi della solitudine, della malinconia o di una visione umbratile della vita.
L'albero sta acquistando una maggiore autonomia espressiva e simbolica e, pur riconfermandosi morfema significativo della ricerca dell'artista (come ha già magistralmente notato Siliano Simoncini), si carica di valenze archetipiche e si apre a simbologie meno contingenti, più positive e libere.
Quella forma peculiare che, sulle tele e sulle carte, sembra librarsi verso l'alto, non più trattenuta (alla terra? al reale?) da forme geometriche vaganti o da un precario reticolato che sembra negare se stesso e la sua forza costrittiva, appare come un inno alla vita e alla rinascita che rivela la fiducia incrollabile nella forza del pensiero e nella libertà della creazione artistica.
La sagoma dell'albero vede così esaltate le sue qualità formali e plastiche e si presenta come tassello di un gioco gestuale di forme e di equilibri ritmici che trova in sé le sue ragioni di esistere.
Un segno estetico nell'accezione etimologica del termine: capace di colpire la nostra aisthesis, la nostra percezione, di suggerirci pause riflessive o di spingerci a percorrere con gli occhi e con la mano le nuove tattilità delle superfici, nella quali c'è sempre un particolare minuto a segnare la differenza: un tratto, un punto di luce, un nuovo dialogo materico.
Gioco, ho detto.
Ma un gioco serio, perché la ricerca artistica di Silvia Percussi non è un'avventura estetica, è un impegno di vita.
Si potrebbe parlare a lungo del senso nascosto della simbolica partita a scacchi che sembrano invitarci a giocare le tele tramate da incroci ortogonali, così come sarebbe intrigante indagare il fine degli allusivi cruciverba che l'artista sembra velatamente proporre alla nostra attenzione.
Ma si rischia di ritornare al passato.
Come ho detto sopra infatti, si respira un'atmosfera diversa in questi lavori, capaci tuttavia di riassumere i due poli tra i quali si muove costantemente la ricerca dell'artista: l'esigenza insopprimibile di dar corpo alle proprie emozioni, in maniera libera, e l'esigenza altrettanto insopprimibile di controllare tali emozioni, di sottoporle ad un controllo razionale che ne smorzi i toni più accesi e scomposti.
Riappare così anche in queste carte e in queste tele la presenza di elementi geometrici nella loro duplice valenza: da una parte come elementi di ordine e di equilibrio, anche compositivo (quell'esigenza che fa prediligere colori netti, monocromi, ridotti in gran parte ai consueti bianchi, rossi o neri), dall'altra, come metafora di costrizione (a cui in passato si alludeva con l'utilizzo di viti, chiodi o bulloni).
Ma il geometrismo qui è più sfumato; ribadito nell'impianto strutturale delle carte e delle tele più grandi, suggerito dalla riproposizione seriale e combinatoria dei multipli di tre (con tutto il loro retroterra simbolico), viene tuttavia corroso dal fuori-schema o dal senso di fuga presente in alcune composizioni e negato dalla stessa morbidezza e sinuosità formale dell'elemento archetipico, l'albero appunto, che sembra librarsi nello spazio infinito.
Albero o suggestivo, dinamico, libero aquilone?
Nello stesso tempo l'apparente freddezza delle superfici monocrome è quasi negata dall'impiego di nuovi materiali: una carta gommata, la sabbia nelle sue varie granulature, le stoffe damascate, usate con sobrietà e discrezione, la luce dorata di semisfere metalliche o la luminosità opalescente delle perle, pervase da una sensibilità tutta femminile.
E, infine, c'è la tensione verso una nuova plasticità: le forme degli "alberi" possono essere disegnate e poi dipinte sulla superficie, ma anche ottenute con sagome incollate che si proiettano, in modo impercettibile, nello spazio ricercando una maggiore autonomia; i "totem" in ceramica ne saranno il logico sviluppo, come se la forma avesse guidato la mano dell'artista, e non viceversa, alla ricerca di un'oggettività autosufficiente.
E tutto il percorso si snoda in un'estrema pulizia formale, ricercando l'essenzialità.
Essenzialità discreta, misurata, ma ricca di calore: il calore dato dalla carta fatta a mano, percorsa da impercettibili sussurri luminosi; il calore presente nella cura artigianale del particolare e nel materiale trovato - le stoffe - o nel segno diretto e morbido tracciato dalla grafite e lasciato visibile, per far cogliere l'opera nel suo farsi.
Ci sono poi, sporadici, frammenti di spago: materiale umile, di uso quotidiano, materializzazione allusiva della volontà di trattenere un evento, un ricordo.
Ma anche filo che dipana i pensieri, che ripercorre le trame della memoria nella speranza di tenere saldamente un capo che ci ricongiunga all'altro, nella sua accezione più ampia.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria, un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo...
Così scriveva E. Montale, ne La casa dei doganieri.
E anche questo, forse, vuol dirci Silvia Percussi con le sue sagome, con le sue sequenze, con il suo senso del percorso.
Perchè comunque, al di là di tutto, anche in questi lavori l'artista continua a pensare se stessa, pur con una nuova sensibilità, più morbida, e pur in modo sempre più libero.
Anche i referenti artistici restano ai margini, eco di fiamma lontana in una dimensione assolutamente altra, in cui il gioco autonomo di equilibri e di forme non nega, ma riassorbe e depura un altro, personalissimo gioco: quello dei moti dell'animo, dei pensieri e dei sogni su cui fantasticare.
E forse allora gli sporadici elementi geometrici non sono tanto una matrice ordinante, ma una fragile, labile maglia per impedirne la fuga e lo svanire.
Ma su tutte queste forme e queste sagome, su questi colori e questi materiali si respira comunque un'atmosfera serena: quella che emana dai ritmi e dalle armonie compositive o dal discreto gioco decorativo volutamente cercato per alleggerire e sfumare equilibri e tensioni.
Davvero in queste opere l'albero non recita più un monologo, non si pone come scheggia di un discorso frammentario che non riesce a chiarire se stesso: unità semantica pregnante, racconta un racconto in bilico tra dubbi e certezze, tra volontà di soste rassicuranti e desideri di procedere oltre, senza vincoli.
Un racconto personale e collettivo, contingente e assoluto nello stesso tempo, che gioca anche un gioco sottile e allusivo, di forme e di simboli, con la freschezza di un ritrovato stupore.
Anna Brancolini
16
gennaio 2016
Silvia Percussi – Sagome sequenziali
Dal 16 gennaio al 13 febbraio 2016
arte contemporanea
Location
GALLERIA DEL LEONCINO
Pistoia, Via Della Madonna, 45, (Pistoia)
Pistoia, Via Della Madonna, 45, (Pistoia)
Orario di apertura
dal mercoledì al sabato 16.30-19.00
Vernissage
16 Gennaio 2016, ore 17.30
Autore
Curatore