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Simone Barbagallo – My Umma
Mostra Fotografica tratta dal libro omonimo
Comunicato stampa
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Oggi più che mai avvertiamo il bisogno di placare il nostro incessante rumorio interiore e osservare il momento presente. Qualcosa, dentro di noi, si rende conto di non poter saltabeccare in eterno da una riunione all'altra, un posto all'altro, un'idea e l'altra...
Quando ci caliamo nel presente, la vita si rovescia come un guanto: quel ch'era sopra va sotto, e quel ch'era sotto affiora in superficie. Nella magia dell'attimo ogni volto, ogni oggetto o circostanza diventano spiragli di luce attraverso i quali riusciamo a intravedere tesori nascosti.
Queste fotografie sono ritratti di vita quotidiana, testimonianze di un modo di vivere perpetuato da tempo immemorabile nelle comunità Sufi di tutto il mondo. Là ogni sguardo, ogni atomo, ogni molecola sono orientati in un'unica direzione: verso Dio. Noi tutti, che lo sappiamo o no, lo vogliamo o no, siamo incamminati lungo questo sentiero. E' il nostro destino comune, a prescindere da qualsivoglia fede o confessione religiosa.
Contemplando queste immagini un campanellino inizia a suonare nei nostri cuori, ricordandoci i valori reali della vita che giacciono sepolti dentro di noi. Siamo tutti fratelli e sorelle, siamo un unico corpo... ecco il significato profondo di queste fotografie.
Secondo un antico detto Sufi "alla fine tutti i grappoli diventano rossi..."
L'insegnamento Sufi è la trasmissione da cuore a cuore di una tradizione di saggezza mistica millenaria che ricerca la vicinanza con il divino. E' un invito a percorrere la Via del Cuore. Può toccare corde nascoste, suscitando una reazione, una scossa, un inizio di risveglio. I Sufi girano il mondo perché l’amore è contagioso. Raccontano e cantano che Dio è Amore e che è possibile farsi abbracciare da questo Amore.
L’ordine Sûfî Naqshbandî deriva in linea diretta dal cuore del Profeta Muhammad, su di lui pace e benedizioni, al quale si ispira e si riferisce per ogni cosa. È il solo a discendere da Sayyidinâ Abû Bakr, il riconosciuto rappresentante ed erede diretto degli insegnamenti mistici del Profeta, anziché da Sayyidinâ Alî, come tutti gli altri ordini Sûfî.
L’ordine Naqshbandî è uno dei più autorevoli e più antichi tra i quaranta tradizionali esistenti (In realtà se ne contano oggi settanta: quaranta risalenti a più di duecento anni fa, e trenta con una storia inferiore ai due secoli). Soltanto gli Sheikh Naqshbandî sono autorizzati ad iniziare discepoli a tutti gli altri ordini. Viene anche chiamato «tarîqat ul ‘Aliyia», l’eccelso ordine, il più autorevole ed elevato, la «rosa di tutte le tarîqa».
L’ordine è stato conosciuto attraverso le epoche sotto diversi nomi, tra cui la «Scuola dei Maestri di Saggezza», i «Maestri del Sentiero dell’Amore». Sono chiamati anche gli «Scienziati della via mistica»: un epiteto questo che fa riferimento alla loro approfondita conoscenza e padronanza della pratica, in particolare dello dhikr, la recitazione salmodiata dei Nomi divini. Hanno sviluppato e affinato questa tecnica in maniera precisa e molto efficace, abbinandola ad un numero esatto di ripetizioni, prescritto sempre sotto lo stretto controllo dello Sheikh, il maestro spirituale.
Oggigiorno è noto come Naqshbandî o Naqshbandîya ed è tra gli ordini Sufi che contano il maggior numero di discepoli in tutto il mondo, dall'Asia Centrale, al Sud Est Asiatico, l'America. Deriva il suo nome dal grande santo Khwâja Shâh Bahâ’uddîn Naqshbandî (1317-1389), il diciassettesimo maestro in linea diretta di successione, attivo in Asia Centrale nella zona di Bukhara, in Uzbekistan.
Naqshbandî etimologicamente si compone dei termini «impressione, sigillo, incisione» (naqsh) e «fissare, legare» (band), in riferimento al nome di Dio che viene inciso nel cuore, all’impronta divina che attraverso anche un solo sguardo dello Sheikh, può venire impressa nel cuore del discepolo, e fissarlo così in Dio attraverso quella connessione, la preghiera e la pratica quotidiana.
Oggi la guida spirituale mondiale dell’Ordine Sûfî Naqshbandî è Maulânâ Sheikh Muhammad Nâzim Adil al-Haqqânî ar-Rabbânî an-Naqshbandî al-Qubrusî, quarantesimo Gran Maestro nella linea diretta di discendenza (silsila).
Maulânâ, che oggigiorno risiede a Lefke, un piccolo villaggio nella parte turca di Cipro, appartiene anche all’ordine Sûfî dei Mevlevi, che ha avuto origine in Turchia, da Mevlânâ Jalâluddîn Rûmî, il grande mistico e poeta del XIII secolo, la cui pratica principale è incentrata sulla danza roteante dei dervisci.
Burhanuddin Herrmann ha ricevuto trasmissione diretta dell'ordine sotto la guida diretta di Maulana, dal quale è stato anche iniziato alla via dei dervisci roteanti Mevlevi. Da oltre quindici anni Burhanuddin conduce seminari di risveglio spirituale in Europa e in Sud America.
I Sufi Naqshbandî indossano sempre gli abiti tradizionali, la sunna, nella vita di tutti i giorni in qualunque parte del mondo si trovino. Lo fanno perché sono innamorati di qualcuno che ha raggiunto la stazione più elevata dell'evoluzione spirituale: il Profeta Muhammad, su di lui pace e benedizioni, vestiva così, e loro lo seguono. La sunna è un abito d’amore, di rispetto verso la catena di discendenza ininterrotta di profeti, santi e maestri dalla quale provengono, è una benedizione e una protezione, un segnale che si invia al mondo spirituale, una determinazione manifesta di voler percorrere un cammino spirituale, al servizio del divino.
Parte dell'abito tradizionale è il turbante. Durante la pratica, le forze spirituali localizzate intorno alla testa tendono a salire verso l’alto. Il turbante le trattiene, e le protegge.
E' anche un riferimento alla morte fisica e a quella spirituale dell'ego: simboleggia il telo del sudario, così come l’ampia gonna bianca dei dervisci che si gonfia nella danza roteante. Anche l’alto cappello in feltro dei dervisci richiama la pietra tombale.
Il termine «Sûfî» deriva dall’arabo «sâfâ», e significa «purezza». Il Sûfî è colui che purifica il suo cuore attraverso l’amore per il suo Sheik e la ricerca di uno stato costante di pratica e di lode del divino.
Un’etimologia alternativa fa derivare il termine da «sûf», «lana» in arabo, il materiale della grezza veste tradizionale dei Sûfî, alludendo così ad uno stato di semplicità e distacco. Un’altra ipotesi fa poi riferimento al greco «sophos», saggio.
Ancora, Sûfî potrebbe derivare da sûffa, il termine arabo per «veranda», «portico»: un rimando ai compagni del Profeta Muhammad, pace e benedizioni su di loro, «ahl al sûffa» «quelli della veranda», che vivevano appunto sulla veranda antistante la casa del Profeta a Medina per essergli più vicini e vederlo per primi appena metteva piede fuori casa. Erano per lo più faqîr, poveri innanzi a Dio, intenti in continui digiuni e devozioni, molto cari al cuore del Profeta, su di lui pace e benedizioni.
«Tasawwuf» è un’altra espressione per indicare il cammino dei Sûfî, il cuore mistico dell’Islâm, la via dentro la via, la «scienza» dell’ascesa spirituale. Letteralmente il termine arabo significa «il processo di diventare Sûfî».
L’origine della tradizione è molto antica: alcuni sostengono che risalga alla comparsa del genere umano sulla terra. Si dice che Adamo fosse Sûfî, e così Abramo, Mosé, Gesù, pace su di loro, San Francesco. I Sûfî sono sempre stati viaggiatori, alla ricerca della vicinanza con Dio e della verità, qualunque forma essa potesse assumere.
"Derviscio" è l’espressione più umile con la quale il Sûfî ama riferirsi a se stesso, per significare che è in cammino verso la purezza, verso Dio. E' il un mistico appassionato ed estatico, innamorato del divino.
Il termine «dervish», nella pronuncia turca del persiano «darwish», letteralmente si compone dei termini «porta» (dar) e «mendicare, sedersi» (wish). Derviscio è colui che si è distaccato da ogni cosa che non sia Allâh, e si trova nella condizione interiore di povertà spirituale. Siede sulla soglia tra i due mondi: un piede in questa terra, l’altro nel mondo invisibile. È un viaggiatore che si muove tra questi due universi, al servizio del divino e del genere umano.
Uno dei principi base della via Sûfî è il «ritiro nella folla»: il derviscio non conduce un’esistenza ascetica di eremitaggio, vive nel mondo. In apparenza conduce le attività quotidiane più usuali in mezzo alla gente: ha famiglia, svolge un lavoro, ma interiormente cerca di essere sempre in Dio, ha il Suo Nome costantemente sulla lingua e nel cuore, è concentrato nella Sua presenza.
E' nel mondo ma non è del mondo, non ne è posseduto. Si è arreso al divino e non al mondo visibile.
E' immerso totalmente nel presente, l’unico tempo nel quale può avvenire il contatto con il divino.
Il derviscio è il figlio del momento.
(alcuni brani sono tratti dal libro di Burhanuddin Herrmann: "IL CAMMELLO SUL TETTO. DISCORSI SUFI. Una guida mistico-pratica alla via dei Dervisci", Armenia Editore)
Quando ci caliamo nel presente, la vita si rovescia come un guanto: quel ch'era sopra va sotto, e quel ch'era sotto affiora in superficie. Nella magia dell'attimo ogni volto, ogni oggetto o circostanza diventano spiragli di luce attraverso i quali riusciamo a intravedere tesori nascosti.
Queste fotografie sono ritratti di vita quotidiana, testimonianze di un modo di vivere perpetuato da tempo immemorabile nelle comunità Sufi di tutto il mondo. Là ogni sguardo, ogni atomo, ogni molecola sono orientati in un'unica direzione: verso Dio. Noi tutti, che lo sappiamo o no, lo vogliamo o no, siamo incamminati lungo questo sentiero. E' il nostro destino comune, a prescindere da qualsivoglia fede o confessione religiosa.
Contemplando queste immagini un campanellino inizia a suonare nei nostri cuori, ricordandoci i valori reali della vita che giacciono sepolti dentro di noi. Siamo tutti fratelli e sorelle, siamo un unico corpo... ecco il significato profondo di queste fotografie.
Secondo un antico detto Sufi "alla fine tutti i grappoli diventano rossi..."
L'insegnamento Sufi è la trasmissione da cuore a cuore di una tradizione di saggezza mistica millenaria che ricerca la vicinanza con il divino. E' un invito a percorrere la Via del Cuore. Può toccare corde nascoste, suscitando una reazione, una scossa, un inizio di risveglio. I Sufi girano il mondo perché l’amore è contagioso. Raccontano e cantano che Dio è Amore e che è possibile farsi abbracciare da questo Amore.
L’ordine Sûfî Naqshbandî deriva in linea diretta dal cuore del Profeta Muhammad, su di lui pace e benedizioni, al quale si ispira e si riferisce per ogni cosa. È il solo a discendere da Sayyidinâ Abû Bakr, il riconosciuto rappresentante ed erede diretto degli insegnamenti mistici del Profeta, anziché da Sayyidinâ Alî, come tutti gli altri ordini Sûfî.
L’ordine Naqshbandî è uno dei più autorevoli e più antichi tra i quaranta tradizionali esistenti (In realtà se ne contano oggi settanta: quaranta risalenti a più di duecento anni fa, e trenta con una storia inferiore ai due secoli). Soltanto gli Sheikh Naqshbandî sono autorizzati ad iniziare discepoli a tutti gli altri ordini. Viene anche chiamato «tarîqat ul ‘Aliyia», l’eccelso ordine, il più autorevole ed elevato, la «rosa di tutte le tarîqa».
L’ordine è stato conosciuto attraverso le epoche sotto diversi nomi, tra cui la «Scuola dei Maestri di Saggezza», i «Maestri del Sentiero dell’Amore». Sono chiamati anche gli «Scienziati della via mistica»: un epiteto questo che fa riferimento alla loro approfondita conoscenza e padronanza della pratica, in particolare dello dhikr, la recitazione salmodiata dei Nomi divini. Hanno sviluppato e affinato questa tecnica in maniera precisa e molto efficace, abbinandola ad un numero esatto di ripetizioni, prescritto sempre sotto lo stretto controllo dello Sheikh, il maestro spirituale.
Oggigiorno è noto come Naqshbandî o Naqshbandîya ed è tra gli ordini Sufi che contano il maggior numero di discepoli in tutto il mondo, dall'Asia Centrale, al Sud Est Asiatico, l'America. Deriva il suo nome dal grande santo Khwâja Shâh Bahâ’uddîn Naqshbandî (1317-1389), il diciassettesimo maestro in linea diretta di successione, attivo in Asia Centrale nella zona di Bukhara, in Uzbekistan.
Naqshbandî etimologicamente si compone dei termini «impressione, sigillo, incisione» (naqsh) e «fissare, legare» (band), in riferimento al nome di Dio che viene inciso nel cuore, all’impronta divina che attraverso anche un solo sguardo dello Sheikh, può venire impressa nel cuore del discepolo, e fissarlo così in Dio attraverso quella connessione, la preghiera e la pratica quotidiana.
Oggi la guida spirituale mondiale dell’Ordine Sûfî Naqshbandî è Maulânâ Sheikh Muhammad Nâzim Adil al-Haqqânî ar-Rabbânî an-Naqshbandî al-Qubrusî, quarantesimo Gran Maestro nella linea diretta di discendenza (silsila).
Maulânâ, che oggigiorno risiede a Lefke, un piccolo villaggio nella parte turca di Cipro, appartiene anche all’ordine Sûfî dei Mevlevi, che ha avuto origine in Turchia, da Mevlânâ Jalâluddîn Rûmî, il grande mistico e poeta del XIII secolo, la cui pratica principale è incentrata sulla danza roteante dei dervisci.
Burhanuddin Herrmann ha ricevuto trasmissione diretta dell'ordine sotto la guida diretta di Maulana, dal quale è stato anche iniziato alla via dei dervisci roteanti Mevlevi. Da oltre quindici anni Burhanuddin conduce seminari di risveglio spirituale in Europa e in Sud America.
I Sufi Naqshbandî indossano sempre gli abiti tradizionali, la sunna, nella vita di tutti i giorni in qualunque parte del mondo si trovino. Lo fanno perché sono innamorati di qualcuno che ha raggiunto la stazione più elevata dell'evoluzione spirituale: il Profeta Muhammad, su di lui pace e benedizioni, vestiva così, e loro lo seguono. La sunna è un abito d’amore, di rispetto verso la catena di discendenza ininterrotta di profeti, santi e maestri dalla quale provengono, è una benedizione e una protezione, un segnale che si invia al mondo spirituale, una determinazione manifesta di voler percorrere un cammino spirituale, al servizio del divino.
Parte dell'abito tradizionale è il turbante. Durante la pratica, le forze spirituali localizzate intorno alla testa tendono a salire verso l’alto. Il turbante le trattiene, e le protegge.
E' anche un riferimento alla morte fisica e a quella spirituale dell'ego: simboleggia il telo del sudario, così come l’ampia gonna bianca dei dervisci che si gonfia nella danza roteante. Anche l’alto cappello in feltro dei dervisci richiama la pietra tombale.
Il termine «Sûfî» deriva dall’arabo «sâfâ», e significa «purezza». Il Sûfî è colui che purifica il suo cuore attraverso l’amore per il suo Sheik e la ricerca di uno stato costante di pratica e di lode del divino.
Un’etimologia alternativa fa derivare il termine da «sûf», «lana» in arabo, il materiale della grezza veste tradizionale dei Sûfî, alludendo così ad uno stato di semplicità e distacco. Un’altra ipotesi fa poi riferimento al greco «sophos», saggio.
Ancora, Sûfî potrebbe derivare da sûffa, il termine arabo per «veranda», «portico»: un rimando ai compagni del Profeta Muhammad, pace e benedizioni su di loro, «ahl al sûffa» «quelli della veranda», che vivevano appunto sulla veranda antistante la casa del Profeta a Medina per essergli più vicini e vederlo per primi appena metteva piede fuori casa. Erano per lo più faqîr, poveri innanzi a Dio, intenti in continui digiuni e devozioni, molto cari al cuore del Profeta, su di lui pace e benedizioni.
«Tasawwuf» è un’altra espressione per indicare il cammino dei Sûfî, il cuore mistico dell’Islâm, la via dentro la via, la «scienza» dell’ascesa spirituale. Letteralmente il termine arabo significa «il processo di diventare Sûfî».
L’origine della tradizione è molto antica: alcuni sostengono che risalga alla comparsa del genere umano sulla terra. Si dice che Adamo fosse Sûfî, e così Abramo, Mosé, Gesù, pace su di loro, San Francesco. I Sûfî sono sempre stati viaggiatori, alla ricerca della vicinanza con Dio e della verità, qualunque forma essa potesse assumere.
"Derviscio" è l’espressione più umile con la quale il Sûfî ama riferirsi a se stesso, per significare che è in cammino verso la purezza, verso Dio. E' il un mistico appassionato ed estatico, innamorato del divino.
Il termine «dervish», nella pronuncia turca del persiano «darwish», letteralmente si compone dei termini «porta» (dar) e «mendicare, sedersi» (wish). Derviscio è colui che si è distaccato da ogni cosa che non sia Allâh, e si trova nella condizione interiore di povertà spirituale. Siede sulla soglia tra i due mondi: un piede in questa terra, l’altro nel mondo invisibile. È un viaggiatore che si muove tra questi due universi, al servizio del divino e del genere umano.
Uno dei principi base della via Sûfî è il «ritiro nella folla»: il derviscio non conduce un’esistenza ascetica di eremitaggio, vive nel mondo. In apparenza conduce le attività quotidiane più usuali in mezzo alla gente: ha famiglia, svolge un lavoro, ma interiormente cerca di essere sempre in Dio, ha il Suo Nome costantemente sulla lingua e nel cuore, è concentrato nella Sua presenza.
E' nel mondo ma non è del mondo, non ne è posseduto. Si è arreso al divino e non al mondo visibile.
E' immerso totalmente nel presente, l’unico tempo nel quale può avvenire il contatto con il divino.
Il derviscio è il figlio del momento.
(alcuni brani sono tratti dal libro di Burhanuddin Herrmann: "IL CAMMELLO SUL TETTO. DISCORSI SUFI. Una guida mistico-pratica alla via dei Dervisci", Armenia Editore)
06
maggio 2006
Simone Barbagallo – My Umma
Dal 06 al 28 maggio 2006
fotografia
Location
MONDADORI MULTICENTER
Milano, Via Marghera, 28, (Milano)
Milano, Via Marghera, 28, (Milano)
Orario di apertura
tutti i giorni 10-24.
Il lunedì dalle 13
Vernissage
6 Maggio 2006, ore 18.30
Sito web
www.the-sufiway.org
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