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Simone Ferrarini – Il mio miglior difetto è la sincerità (‘l mè mijor difet les esse s-cet)
L’artista crede nelle passioni e nella pratica primigenia, nel gesto minimo ed essenziale privo di arroganza
Comunicato stampa
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Simone Ferrarini (Reggio Emilia, 1976, vive e lavora a San Polo d’Enza), è un artista che crede nelle passioni e nella pratica primigenia, nel gesto minimo ed essenziale privo di arroganza: così egli dà vita a dipinti portentosi, non necessariamente concordi con la realtà, che ricalcano in maniera bizzarra, epidermica e futile. Egli crede che «la pittura, quella viva che non arreda, ti entra nel cervello, nelle vene, nello stomaco e nel cuore e te la porti dietro tutto il giorno e la notte. I bravi medici dovrebbero prescrivere i quadri “lei è depresso? Si compri un quadro o si vada a vedere una mostra di Twombly”. Oppure: “Ha male allo stomaco? Si guardi un po’ di Giotto, di Cimabue”.La pittura deve essere voce, mano, anima…»
Studio Vigato, presenta nei suoi storici spazi di via Ghilini, la nuova mostra personale di Simone Ferrarini che ruota intorno a differenti nuclei tematici: tutte le serie, perlopiù inedite, si raccolgono attorno ad un'unica riflessione generale che riporta alle discussioni sull’arte in relazione al proprio tempo: che cos’è l’arte contemporanea? Una sciocchezza da temere o peggio da ignorare oppure l’espressione viva e sincera di una creatività che cerca la propria strada d’ascolto? Simone Ferrarini pratica la pittura spinto da necessità irrefrenabile; sente il desiderio di esprimersi ma al posto delle parole usa i pennelli e le vernici che assumono posizioni reciproche emergendo dal candore di un supporto leggero e grande, come fossero tracce di una pattinata. Le sue storie non sono storie perché prive di principio e di fine, ma non di sostanza: i dipinti di Ferrarini sono intrisi di passione, trasudano divertimento ma soprattutto il furore di vivere nonostante tutto: è questo che emerge sostenendo lo sguardo di chi –dal supporto bidimensionale - sembra osservarci o di coloro che sono concentrati in personali relazioni di forza.
Nella serie Ingranaggi, figure corporee femminili sono intente in pratiche che le allontanano dall’umanità, rispecchiando la malattia del terzo millennio che coinvolge il corpo e le aspettative aberranti che riponiamo in esso in relazione ad un modello precostituito, ormai divenuto sociale. Eppure non si ha l’impressione che sia questo ciò che attrae il pittore, ma piuttosto l’estetica della forma assunta, guardata col lo stupore dell’ironia.
Nella serie Ricordati solo che mi devi un favore, Ferrarini ci mostra personaggi che sembrano ricalcare l’iconografia del Padrino cinematografico, anche se è chiaro che i riferimenti non sono di denuncia sociale. Gli occhi dell’artista carpiscono in essi il senso d’onore che alberga nella posa, tralasciandone gli aspetti biechi e le conseguenze terrene. Questo li rende del tutto simili ai santini religiosi che raffigurano figure che dichiarano la loro protezione tranquillizzante attraverso la posa e la sicurezza insita in loro. Ferrarini è come un bambino in età prescolare, attratto dai particolari e proprio questo rende squisita la sua pratica e i suoi risultati, che – pur usando corpi e volti – si scopre essere metaforica e nascondere significati ben più alti e “romantici”.
Simone Ferrarini è, per propria ammissione, più interessato a trasmettere che a raccontare e quando dipinge egli non sta pitturando,ma danzando, dirigendo un’orchestra, saltando…Quando narra della Boxe, non pone l’attenzione su muscoli, scontro tellurico fra tensioni, caldo, fatica, dolore, rabbia o determinazione, ma racconta la storia di uomini semplici intrisi di nobiltà, che non si lasciano atterrare dalle piccolezze e si battono come sospinti da una necessità priva di ragionamento, un istinto fortemente collegato alla sopravvivenza. Quando ci propone la Guerra, Ferrarini ci mostra la “sua” idea di battaglia: non guarda ai fatti più raccapriccianti, a quelli pietosi né agli eroismi: ma lascia riemergere la storia del tenore chiamato a cantare fra le trincee nemiche che riuscì a provocare un’amnistia. Ferrarini è un pianista sull’oceano, capace di stupirsi dell’improvvisa caduta di un quadro dalla parete, che non riesce a far altro se non a dipingere una serie amplissima di ritratti di Dorian Gray, che risultano adattati al tempo e alle pratiche sociali e quindi sono molto meno pericolosi dell’originale e per nulla maledetti.
Viviana Siviero
In correlazione alla mostra in galleria, Simone Ferrarini, si confronterà anche con la città e la sua popolazione, realizzando un progetto speciale che vedrà la luce nel mese di aprile e si manifesterà alla popolazione con speranze d’interazione e divertimento.
Studio Vigato, presenta nei suoi storici spazi di via Ghilini, la nuova mostra personale di Simone Ferrarini che ruota intorno a differenti nuclei tematici: tutte le serie, perlopiù inedite, si raccolgono attorno ad un'unica riflessione generale che riporta alle discussioni sull’arte in relazione al proprio tempo: che cos’è l’arte contemporanea? Una sciocchezza da temere o peggio da ignorare oppure l’espressione viva e sincera di una creatività che cerca la propria strada d’ascolto? Simone Ferrarini pratica la pittura spinto da necessità irrefrenabile; sente il desiderio di esprimersi ma al posto delle parole usa i pennelli e le vernici che assumono posizioni reciproche emergendo dal candore di un supporto leggero e grande, come fossero tracce di una pattinata. Le sue storie non sono storie perché prive di principio e di fine, ma non di sostanza: i dipinti di Ferrarini sono intrisi di passione, trasudano divertimento ma soprattutto il furore di vivere nonostante tutto: è questo che emerge sostenendo lo sguardo di chi –dal supporto bidimensionale - sembra osservarci o di coloro che sono concentrati in personali relazioni di forza.
Nella serie Ingranaggi, figure corporee femminili sono intente in pratiche che le allontanano dall’umanità, rispecchiando la malattia del terzo millennio che coinvolge il corpo e le aspettative aberranti che riponiamo in esso in relazione ad un modello precostituito, ormai divenuto sociale. Eppure non si ha l’impressione che sia questo ciò che attrae il pittore, ma piuttosto l’estetica della forma assunta, guardata col lo stupore dell’ironia.
Nella serie Ricordati solo che mi devi un favore, Ferrarini ci mostra personaggi che sembrano ricalcare l’iconografia del Padrino cinematografico, anche se è chiaro che i riferimenti non sono di denuncia sociale. Gli occhi dell’artista carpiscono in essi il senso d’onore che alberga nella posa, tralasciandone gli aspetti biechi e le conseguenze terrene. Questo li rende del tutto simili ai santini religiosi che raffigurano figure che dichiarano la loro protezione tranquillizzante attraverso la posa e la sicurezza insita in loro. Ferrarini è come un bambino in età prescolare, attratto dai particolari e proprio questo rende squisita la sua pratica e i suoi risultati, che – pur usando corpi e volti – si scopre essere metaforica e nascondere significati ben più alti e “romantici”.
Simone Ferrarini è, per propria ammissione, più interessato a trasmettere che a raccontare e quando dipinge egli non sta pitturando,ma danzando, dirigendo un’orchestra, saltando…Quando narra della Boxe, non pone l’attenzione su muscoli, scontro tellurico fra tensioni, caldo, fatica, dolore, rabbia o determinazione, ma racconta la storia di uomini semplici intrisi di nobiltà, che non si lasciano atterrare dalle piccolezze e si battono come sospinti da una necessità priva di ragionamento, un istinto fortemente collegato alla sopravvivenza. Quando ci propone la Guerra, Ferrarini ci mostra la “sua” idea di battaglia: non guarda ai fatti più raccapriccianti, a quelli pietosi né agli eroismi: ma lascia riemergere la storia del tenore chiamato a cantare fra le trincee nemiche che riuscì a provocare un’amnistia. Ferrarini è un pianista sull’oceano, capace di stupirsi dell’improvvisa caduta di un quadro dalla parete, che non riesce a far altro se non a dipingere una serie amplissima di ritratti di Dorian Gray, che risultano adattati al tempo e alle pratiche sociali e quindi sono molto meno pericolosi dell’originale e per nulla maledetti.
Viviana Siviero
In correlazione alla mostra in galleria, Simone Ferrarini, si confronterà anche con la città e la sua popolazione, realizzando un progetto speciale che vedrà la luce nel mese di aprile e si manifesterà alla popolazione con speranze d’interazione e divertimento.
04
aprile 2009
Simone Ferrarini – Il mio miglior difetto è la sincerità (‘l mè mijor difet les esse s-cet)
Dal 04 aprile al 17 maggio 2009
arte contemporanea
Location
STUDIO VIGATO
Alessandria, Via Gerolamo Ghilini, 30, (Alessandria)
Alessandria, Via Gerolamo Ghilini, 30, (Alessandria)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato dalle 16 alle 20, domenica su appuntamento
Vernissage
4 Aprile 2009, ore 18
Autore
Curatore