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Simone Giovagnorio – MindTrap
Inaugura il 22 ottobre a Roma, con il nuovo lavoro fotografico del suo ideatore e fondatore, l’artista Simone Giovagnorio, l’ambiente “Capsvla”.
Comunicato stampa
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Impulsi, ricordi e suoni per un'opera in tre atti
Re_Action 01: impulsive.
Trappola mentale, montata, immediata.
Labirinto in tre pose e tempi.
Mind Trap inversa perché tutto torna incapace di arrivare.
Il contrario del probabile e del “dunque”.
Quanto si oppone al solido inconsistente limite di un risultato in voga.
Disatteso ovvio.
Capsula nella Capsvla, matrjoska ciclica, soffocante, chiusa.
Sepoltura abitabile (Corman la filmava diversa).
Perpetuo saliscendi di cavie destinate e stanche (l’aria puzza di un chiuso che soffoca e che riflette una brillante inattività trapuntata).
Il percorso ha inizio-un nuovo inizio-ricomincia-parte-percorre per poco-cala di spalle-ruota su se stesso-ruota se stesso-ancora-si muove-rallenta-agita-colpisce-sbatte-rimbalza-piange-perde sangue-stop-ricomincia.
Ovunque, intorno, nessuna uscita mentre il respiro accelera e il battito spacca il cuore.
Il neon che suona il suo rumore gracchia ancora insolente dopo avermi portato giù, portato giù, dove il quasi autentico splendente sole che credevo, la luce illuminata che ha ucciso l’Icaro involato e fa sentire vivi non compare.
Solo, io solo qui, sino a un sempre che non passa pur continuando a consumare di lettura l’etichetta-epitaffio con il nome di chi ha pensato, costruito e collocato, qui, la scala dai pioli-gabbia color buio.
Pur stimolato e illuso dall’infondata solidarietà -mai espressa- del pendente antincendio che non intende bagnarmi, visto che il caldo presente si limita a X gradi neon.
Pur irrecuperabilmente divertito (non più distratto) dalla sagoma umana che sporca d’ombra e aloni, a volte, se mi muovo svelto, le pareti tutte uguali, ancora uguali, sempre uguali che foderano l’oblio terminale nato in fabbrica nel quale finirò la vita.
Re_Action 02: theoretical.
Il gioco di ruolo per (in)volontari senza scampo ideato da Simone Giovagnorio, premessa l’implicita soggettività estetica di chi scrive che -in linea con il coinvolgimento interattivo richiesto dall’opera “Mind Trap”- vede nella reazione interpretativa istintuale l’unico mezzo di condivisione in grado di suggerire una veduta corale o solo “d’insieme” del gesto creativo trattato, riesce a connettersi a momenti “sonori” letterari, filmici e filosofici (selezionati tra i tanti) la cui influenza presunta appare ridondante quanto il neon disturbato su quelle borchie-bottone che fissano alle pareti il rivestimento cromato.
Poe.
L’occlusione vocale e motoria, nella produzione dello scrittore americano, può ricordarsi attraverso due suoi scritti portanti: “La sepoltura prematura” e “Il cuore rivelatore”, nei quali l’impossibilità di opporsi ad un evolversi umanamente disciplinato del fatto in corso occupa la percezione obbligandola alla sopportazione, costringendola a patire la devastante monotonia del chiuso/vuoto/suono (“…ed il rumore cresceva con regolarità, con assoluta costanza. Gran Dio; che cosa potevo fare? Mi agitavo, smaniavo, bestemmiavo! Ma quel rumore aveva oramai sommerso tutto il resto, e cresceva e cresceva ancora, senza soste, interminabilmente…”).
Kierkegaard.
Contrasti mistici a parte, dall’autore danese estraggo le constatazioni zitte e decisive che hanno fatto dell’angoscia “Il concetto dell’angoscia”, sostantivo indiscutibilmente padrone quando attorno nulla muta, le possibilità sono impossibili e l’insieme drasticamente resta fermo, senza sosta resta fermo, nella quiete indesiderata che ha ingannato un’apparenza senza audio (“Quando ora la libertà viene a contatto con la taciturnità, ecco che sorge l’angoscia. […] Ciò ch’è chiuso, è muto; la lingua, la parola è il rimedio che salva, è il rimedio contro la vuota astrazione della taciturnità”).
Cavie a perdere nel cinema.
L’obbligatorietà, forse per l’avvento vincente degli innumerevoli show fatti di camere fisse puntate addosso alle vite rinchiuse di volti noti e non, ha in certa misura prestato la propria statura a recenti esperienze cinematografiche che rispettando la clonazione spontanea a carattere ciclico tipica della settima arte continuano a proporsi ed esistere.
Cube (1997, Vincenzo Natali)
The Hole (2001, Nick Hamm)
Panic Room (2002, David Fincher)
Il siero della vanità (2004, Alex Infascelli)
Saw (2004, James Wan)
Dove può arrivare il corpo non giunge l’attesa, dentro un mondo che intrappola per primo se stesso, che guarda “sempre lì” e vive in confezioni sottovuoto, nell’isolamento che logora i tentativi prima ancora che questi diventino patetici cercando una fine degna.
Come adesso.
Stefano Elena
Re_Action 01: impulsive.
Trappola mentale, montata, immediata.
Labirinto in tre pose e tempi.
Mind Trap inversa perché tutto torna incapace di arrivare.
Il contrario del probabile e del “dunque”.
Quanto si oppone al solido inconsistente limite di un risultato in voga.
Disatteso ovvio.
Capsula nella Capsvla, matrjoska ciclica, soffocante, chiusa.
Sepoltura abitabile (Corman la filmava diversa).
Perpetuo saliscendi di cavie destinate e stanche (l’aria puzza di un chiuso che soffoca e che riflette una brillante inattività trapuntata).
Il percorso ha inizio-un nuovo inizio-ricomincia-parte-percorre per poco-cala di spalle-ruota su se stesso-ruota se stesso-ancora-si muove-rallenta-agita-colpisce-sbatte-rimbalza-piange-perde sangue-stop-ricomincia.
Ovunque, intorno, nessuna uscita mentre il respiro accelera e il battito spacca il cuore.
Il neon che suona il suo rumore gracchia ancora insolente dopo avermi portato giù, portato giù, dove il quasi autentico splendente sole che credevo, la luce illuminata che ha ucciso l’Icaro involato e fa sentire vivi non compare.
Solo, io solo qui, sino a un sempre che non passa pur continuando a consumare di lettura l’etichetta-epitaffio con il nome di chi ha pensato, costruito e collocato, qui, la scala dai pioli-gabbia color buio.
Pur stimolato e illuso dall’infondata solidarietà -mai espressa- del pendente antincendio che non intende bagnarmi, visto che il caldo presente si limita a X gradi neon.
Pur irrecuperabilmente divertito (non più distratto) dalla sagoma umana che sporca d’ombra e aloni, a volte, se mi muovo svelto, le pareti tutte uguali, ancora uguali, sempre uguali che foderano l’oblio terminale nato in fabbrica nel quale finirò la vita.
Re_Action 02: theoretical.
Il gioco di ruolo per (in)volontari senza scampo ideato da Simone Giovagnorio, premessa l’implicita soggettività estetica di chi scrive che -in linea con il coinvolgimento interattivo richiesto dall’opera “Mind Trap”- vede nella reazione interpretativa istintuale l’unico mezzo di condivisione in grado di suggerire una veduta corale o solo “d’insieme” del gesto creativo trattato, riesce a connettersi a momenti “sonori” letterari, filmici e filosofici (selezionati tra i tanti) la cui influenza presunta appare ridondante quanto il neon disturbato su quelle borchie-bottone che fissano alle pareti il rivestimento cromato.
Poe.
L’occlusione vocale e motoria, nella produzione dello scrittore americano, può ricordarsi attraverso due suoi scritti portanti: “La sepoltura prematura” e “Il cuore rivelatore”, nei quali l’impossibilità di opporsi ad un evolversi umanamente disciplinato del fatto in corso occupa la percezione obbligandola alla sopportazione, costringendola a patire la devastante monotonia del chiuso/vuoto/suono (“…ed il rumore cresceva con regolarità, con assoluta costanza. Gran Dio; che cosa potevo fare? Mi agitavo, smaniavo, bestemmiavo! Ma quel rumore aveva oramai sommerso tutto il resto, e cresceva e cresceva ancora, senza soste, interminabilmente…”).
Kierkegaard.
Contrasti mistici a parte, dall’autore danese estraggo le constatazioni zitte e decisive che hanno fatto dell’angoscia “Il concetto dell’angoscia”, sostantivo indiscutibilmente padrone quando attorno nulla muta, le possibilità sono impossibili e l’insieme drasticamente resta fermo, senza sosta resta fermo, nella quiete indesiderata che ha ingannato un’apparenza senza audio (“Quando ora la libertà viene a contatto con la taciturnità, ecco che sorge l’angoscia. […] Ciò ch’è chiuso, è muto; la lingua, la parola è il rimedio che salva, è il rimedio contro la vuota astrazione della taciturnità”).
Cavie a perdere nel cinema.
L’obbligatorietà, forse per l’avvento vincente degli innumerevoli show fatti di camere fisse puntate addosso alle vite rinchiuse di volti noti e non, ha in certa misura prestato la propria statura a recenti esperienze cinematografiche che rispettando la clonazione spontanea a carattere ciclico tipica della settima arte continuano a proporsi ed esistere.
Cube (1997, Vincenzo Natali)
The Hole (2001, Nick Hamm)
Panic Room (2002, David Fincher)
Il siero della vanità (2004, Alex Infascelli)
Saw (2004, James Wan)
Dove può arrivare il corpo non giunge l’attesa, dentro un mondo che intrappola per primo se stesso, che guarda “sempre lì” e vive in confezioni sottovuoto, nell’isolamento che logora i tentativi prima ancora che questi diventino patetici cercando una fine degna.
Come adesso.
Stefano Elena
22
ottobre 2005
Simone Giovagnorio – MindTrap
Dal 22 ottobre all'undici dicembre 2005
fotografia
arte contemporanea
arte contemporanea
Location
CAPSVLA ARTECONTEMPORANEA
Roma, Via Ascanio Rivaldi, 9, (Roma)
Roma, Via Ascanio Rivaldi, 9, (Roma)
Orario di apertura
tutti i giorni 15-18
Autore
Curatore