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Sirio Bellucci – Autoritratti in forma di paesaggio
Il concetto è sempre dalla parte di chi guarda. Mentre all’origine c’è solo e sempre il pittore che si approssima al paesaggio tanto da coincidere con esso
Comunicato stampa
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Autoritratti in forma di paesaggio
La funzione di un titolo (per una mostra, un libro, un film) è – sappiamo
– quella di riassumere e, allo stesso tempo, di dilatare una storia.
Dentro un titolo c’è la sintesi di una vicenda e c’è anche il suo approfondimento.
Per lo meno così accade nel titolo di questa mostra di Sirio
Bellucci: “Autoritratti in forma di paesaggio”. Si è detto spesso che nei
suoi quadri Bellucci è una presenza costante, in quelle silhouette nere,
subito riconoscibili per l’inseparabile cappello e lo svolazzante foulard
rosso. L’artista, in qualche modo, si espone, ma lo fa con delicatezza,
riducendosi a figuretta, posta il più delle volte di lato, quasi ad assomigliare
alla sua firma. In alcuni quadri ritroviamo il foulard trasformato,
per grandezza, in un panno che il vento ha poi lasciato su un covone o
sopra un cespuglio di rovi. Qui, il foulard diventa ancora di più natura,
si “fa” elemento del paesaggio, e a seconda di come è inserito nello
spazio del quadro noi lo percepiamo ora come nuvola ora come piccolo
covone (mannella). L’inseparabile cappello a falda larga lo ritroviamo
nei “veri” autoritratti, che si trasformano in paesaggi di campagna: il
viso di Bellucci, con poetica e malinconica metamorfosi, diviene un pagliaio,
i capelli filiformi legati a mo’ di fascina. Natura ripresa, ritrovata,
dopo anni, e che Bellucci interiorizza a tal punto da buttarcisi dentro,
smembrandosi attraverso quei segni del corpo (abbigliamento del corpo),
come se volesse restituirsi alla natura, vivendola di nuovo con passione,
entusiasmo. Indubbiamente, ogni volta, una ritualità sensuale e
d’amore.
Massimo De Nardo
L’arte concettuale, di cui Sirio Bellucci è stato esponente autorevole,
chiama in causa il nostro giudizio e produce una conoscenza della realtà
che potremmo definire abbreviativa. Essa ripropone il gesto di Magritte
nel famoso Ceci n’est pas une pipe: un gioco che spiazza ogni
imitazione e arresta l’occhio pronto ad annullarsi nella contemplazione,
quasi a dirgli: ma dai, guarda meglio! Il concetto, allora, è sempre
dalla parte di chi guarda. Mentre all’origine c’è solo e sempre il pittore
che si approssima al paesaggio tanto da coincidere con esso. E ci
restituisce il luogo originario dell’esperienza estetica: i suoi “ricordi”, gli
oggetti, i sogni, gli incubi della sua vita, gli esseri favolosi della montagna
e della natura aspra e purissima… Tutto è semplice per chi sa fare
e disfare. Se un uccello dipingesse, non lo farebbe lasciando cadere
le sue piume; un serpente le sue squame; e il bosco non soffierebbe
sulla tavolozza il respiro misterioso della sua luce e delle sue ombre?
Se il cielo impugnasse un pennello, non lo intingerebbe nella pasta di
cui è fatta l’aria? Se un albero potesse far gocciolare qualcosa sulla
tela, non vi farebbe piovere i grumi muschiosi della sua corteccia, le ali
dei suoi parassiti e lo smalto squillante delle sue foglie?
Piero Feliciotti
28
maggio 2011
Sirio Bellucci – Autoritratti in forma di paesaggio
Dal 28 maggio al 05 giugno 2011
arte contemporanea
Location
PALAZZO DEI CONVEGNI
Jesi, Corso Giacomo Matteotti, (Ancona)
Jesi, Corso Giacomo Matteotti, (Ancona)
Orario di apertura
Aperto tutti i giorni dalle 17 alle 20
Vernissage
28 Maggio 2011, ore 18
Autore