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Sleepwalkers’ Nostalgia
IRL Gallery, New York, è lieta di presentare Sleepwalkers’ Nostalgia, solo show di Dario Carratta a cura di Benedetta Monti, dal 6 al 12 Aprile 2024. La mostra, promossa da Contemporary Cluster (Roma) illustra la più recente produzione dell’artista.
Comunicato stampa
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IRL Gallery, New York, è lieta di presentare Sleepwalkers’ Nostalgia, solo show di Dario Carratta a cura di Benedetta Monti, dal 6 al 12 Aprile 2024. La mostra, promossa da Contemporary Cluster, Roma, illustra la più recente produzione dell’artista.
Sleepwalkers’ Nostalgia
Come un erratico rabdomante, Dario Carratta (Gallipoli, Italy, 1988) segue indizi offuscati che viaggiano tra immaginazione allucinata e sogno, traduce le proprie intuizioni in segno, passando attraverso paesaggi non identificabili e ambienti claustrofobici. La pratica di Carratta mappa la confluenza di innocenza e oscurità, racconta una visione che chiede ausilio a paranoia e insofferenza, svelando uno spettacolo caratterizzato da un’invisibile coltre di disagio, in cui il tempo perde la sua rigidità lineare.
In mostra una narrazione disillusa che di surreale ha soprattutto l’atmosfera, affiancata da un'incessante partecipazione di simboli contro ogni concezione dogmatica fondata sull’illusione che a ogni parola nota corrisponda una cosa nota[1]. Attraverso un lavoro strettamente pittorico e il contrassegno dello spaesamento, Sleepwalkers’ Nostalgia vaglia in modo allegorico la natura liminale del sonnambulismo. Una condizione ben delineata nella sonnambula di Pirner, 1878: da un lato l’esperienza di un altrove che evolve(rà) in nostalgia, dall’altro l’inconsapevolezza verso le conseguenze delle proprie azioni nella realtà, con la possibilità di fare del male a qualcuno, entrare in collisione con oggetti, ferirsi. Un momento idealmente romantico e fantastico sempre in procinto di diventare pericoloso.
Il sonno, quelle piccole fette di morte, come le detesto
Edgar Allan Poe
Nella mitologia greca Hypnos, dio del sonno, era considerato fratello di Thanatos, colui che governa la morte. Si può dire che scivolare nel sonno sia un po’ un morire, o mettere in pausa la ragione, e che il sonnambulismo sia una terra di mezzo dove è possibile accedere a un livello successivo. Un’incontrollata e movimentata trance. Carratta sintetizza questa sospensione e lo fa giocando con implicazioni estetiche che portano alla luce un’ipnotica sceneggiatura dell’immaginabile.
L’isteria, l’evasione e il caos presagiti in Lo stemma, 2020, sembrano un ricordo laterale o lontano; l’opera, esposta in vetrina, diventa soglia o portale da oltrepassare e apre il percorso visivo, chiudendo metaforicamente la produzione precedente dell’artista. Le figure delineate nella nuova serie, 2023 - 2024, hanno già fatto esperienza delle tenebre e ora vi sguazzano senza timore, a loro agio nell'oscurità che occupano con pacato assedio. Un simbolismo malinconico e uno stile vicini al periodo blu di Picasso, ai Dante et Cerbère, 1986 e L’Indien, le Chien et le Miroir, 1982 di Gérard Garouste, al Peter Doig de l'Alpinist, 2022. Collezionista di sogni, Carratta crea il suo archivio immaginifico raccogliendo esperienze oniriche proprie e altrui, andando a gestirne la genesi pittorica partendo da bozzetti in acquerello. Una trasposizione che l’artista gestisce e modella avvalendosi non di rado di immagini recuperate, prese da libri, riviste, fotografie, internet, non per appropriarsene ma per individuare in forme preesistenti un accenno a ciò che la sua mente ha anticipato. Il carattere della serie offre una maturata indifferenza alla formalità tecnica tradizionale che, senza dispersione, designa il proprio codice stilistico.
Ogni opera è un enigma a sé, tuttavia è possibile riconoscere, nella sequenza, una sorta di continua celebrazione della catarsi messa in scena da figure inquiete e silenziose, richiamando il metodo ‘paranoico critico’ ideato nel 1929 da Dalí, che consiste, con le parole del maestro, della sistemazione più rigorosa dei fenomeni e dei materiali più deliranti, con l'intenzione di rendere tangibilmente creative le mie idee più ossessivamente pericolose. Questo metodo funziona soltanto alla condizione di possedere un dolce motore d'origine divina, un nucleo vivo (...)[2].
Sleepwalkers’ Nostalgia è da leggere come una composizione magica e trascendente, dove ogni immagine, alla maniera di un rompicapo a incastro, ne richiama un’altra: lì nella forma, lì nel colore, lì nel segno. Riprendendo Kant in Critica della ragion pura, lo spazio espositivo pare interrogarsi sulle tre domande seguenti: Cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa ho diritto di sperare?[3]. Si può notare di fatto un inside language proprio delle opere nelle quali si distinguono contaminazioni concatenate: in Holy wood, Honeymoon, Meet the sky e Nobody touch le scene sembrano costruite nello stesso luogo visto da angolature diverse; per affinità indiretta Untitled e Rebus potrebbero essere affiancate, (sublimazione di un desiderio o sogno ad occhi aperti?).
Arcani del divenire ambientati in contesti senza tempo, dove l’accezione di senza tempo descrive le opere non in quanto immagini spogliate di riferimenti identitari, (la t-shirt non può che essere allusiva di un periodo attuale), ma come espressione che si apre a un'alternativa significativa tra contrapposizioni e innesti. Gli esseri rappresentati hanno invero un’estetica da persona qualunque del mondo odierno, nello specifico le immaginiamo appartenere a una società occidentale, la loro presenza e i loro gesti però risuonano come degli imperativi antichi, inviolabili, universali, non dittatoriali, e i paesaggi - o le location - hanno il sapore dell’indefinito, tra deserti post apocalittici o pre umani. I vari elementi e dinamiche che si alternano alimentano un senso di straniamento e surrealtà, tanto che, guardando Nobody Touch, si ha il beneficio del dubbio se ad essere avvolto nelle fiamme sia un castello disperatamente romantico o un paio di asettici edifici metropolitani.
Questi individui sono completamente disinteressati all’erotismo provocatorio e sessuale, appaiono curiosi del corpo come oggetto di scoperta e del desiderio come esperienza (The room, Untitled, Touch the light). Sono anime tenere e innocue, innocenti, ma non liete, marchiate dalla tristezza, Dostoevskij, in Delitto e castigo, propone la perfetta descrizione della loro sostanza per cui la sofferenza e il dolore sono sempre inevitabili per una coscienza sensibile e per un cuore profondo.
Figure solitarie in pose statuarie, riprese in azioni e non-azioni pregne di significato, epifaniche, in pose che enunciano la loro missione nell’universo tangibile giurando fedeltà a quello immaginabile, proclamano dichiarazioni non fraintendibili, allo stesso tempo aperte e impenetrabili, dove erotismo (nell’accezione di cui sopra), sacralità ed esistenzialismo si incontrano. Avanzi di un’umanità che avendo raggiunto il fondo non può che alzare il capo e seguire la luce, (Touch the light e Union) e che, al contrario dell’uomo (moderno?) non fugge il mistero né la ricerca di verità.
Nonostante il pittore utilizzi il sogno come musa e il surreale come attuazione stilistica, l’urgenza dell’artista descrive il presente contrastandone le dinamiche isteriche e le sue opere si ritrovano innervate e innestate nella realtà.
Morire, dormire…
nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere.[4]
[1] Carl G.Jung, La realtà dell'anima, 1963, Bollati Boringhieri
[2] Salvador Dalí, Diario di un genio, 1963
[3] Immanuel Kant, Critica della ragion pura, 1949, Laterza
[4] William Shakespeare, Amleto (atto terzo, scena prima)
Sleepwalkers’ Nostalgia
Come un erratico rabdomante, Dario Carratta (Gallipoli, Italy, 1988) segue indizi offuscati che viaggiano tra immaginazione allucinata e sogno, traduce le proprie intuizioni in segno, passando attraverso paesaggi non identificabili e ambienti claustrofobici. La pratica di Carratta mappa la confluenza di innocenza e oscurità, racconta una visione che chiede ausilio a paranoia e insofferenza, svelando uno spettacolo caratterizzato da un’invisibile coltre di disagio, in cui il tempo perde la sua rigidità lineare.
In mostra una narrazione disillusa che di surreale ha soprattutto l’atmosfera, affiancata da un'incessante partecipazione di simboli contro ogni concezione dogmatica fondata sull’illusione che a ogni parola nota corrisponda una cosa nota[1]. Attraverso un lavoro strettamente pittorico e il contrassegno dello spaesamento, Sleepwalkers’ Nostalgia vaglia in modo allegorico la natura liminale del sonnambulismo. Una condizione ben delineata nella sonnambula di Pirner, 1878: da un lato l’esperienza di un altrove che evolve(rà) in nostalgia, dall’altro l’inconsapevolezza verso le conseguenze delle proprie azioni nella realtà, con la possibilità di fare del male a qualcuno, entrare in collisione con oggetti, ferirsi. Un momento idealmente romantico e fantastico sempre in procinto di diventare pericoloso.
Il sonno, quelle piccole fette di morte, come le detesto
Edgar Allan Poe
Nella mitologia greca Hypnos, dio del sonno, era considerato fratello di Thanatos, colui che governa la morte. Si può dire che scivolare nel sonno sia un po’ un morire, o mettere in pausa la ragione, e che il sonnambulismo sia una terra di mezzo dove è possibile accedere a un livello successivo. Un’incontrollata e movimentata trance. Carratta sintetizza questa sospensione e lo fa giocando con implicazioni estetiche che portano alla luce un’ipnotica sceneggiatura dell’immaginabile.
L’isteria, l’evasione e il caos presagiti in Lo stemma, 2020, sembrano un ricordo laterale o lontano; l’opera, esposta in vetrina, diventa soglia o portale da oltrepassare e apre il percorso visivo, chiudendo metaforicamente la produzione precedente dell’artista. Le figure delineate nella nuova serie, 2023 - 2024, hanno già fatto esperienza delle tenebre e ora vi sguazzano senza timore, a loro agio nell'oscurità che occupano con pacato assedio. Un simbolismo malinconico e uno stile vicini al periodo blu di Picasso, ai Dante et Cerbère, 1986 e L’Indien, le Chien et le Miroir, 1982 di Gérard Garouste, al Peter Doig de l'Alpinist, 2022. Collezionista di sogni, Carratta crea il suo archivio immaginifico raccogliendo esperienze oniriche proprie e altrui, andando a gestirne la genesi pittorica partendo da bozzetti in acquerello. Una trasposizione che l’artista gestisce e modella avvalendosi non di rado di immagini recuperate, prese da libri, riviste, fotografie, internet, non per appropriarsene ma per individuare in forme preesistenti un accenno a ciò che la sua mente ha anticipato. Il carattere della serie offre una maturata indifferenza alla formalità tecnica tradizionale che, senza dispersione, designa il proprio codice stilistico.
Ogni opera è un enigma a sé, tuttavia è possibile riconoscere, nella sequenza, una sorta di continua celebrazione della catarsi messa in scena da figure inquiete e silenziose, richiamando il metodo ‘paranoico critico’ ideato nel 1929 da Dalí, che consiste, con le parole del maestro, della sistemazione più rigorosa dei fenomeni e dei materiali più deliranti, con l'intenzione di rendere tangibilmente creative le mie idee più ossessivamente pericolose. Questo metodo funziona soltanto alla condizione di possedere un dolce motore d'origine divina, un nucleo vivo (...)[2].
Sleepwalkers’ Nostalgia è da leggere come una composizione magica e trascendente, dove ogni immagine, alla maniera di un rompicapo a incastro, ne richiama un’altra: lì nella forma, lì nel colore, lì nel segno. Riprendendo Kant in Critica della ragion pura, lo spazio espositivo pare interrogarsi sulle tre domande seguenti: Cosa posso sapere? Che cosa devo fare? Che cosa ho diritto di sperare?[3]. Si può notare di fatto un inside language proprio delle opere nelle quali si distinguono contaminazioni concatenate: in Holy wood, Honeymoon, Meet the sky e Nobody touch le scene sembrano costruite nello stesso luogo visto da angolature diverse; per affinità indiretta Untitled e Rebus potrebbero essere affiancate, (sublimazione di un desiderio o sogno ad occhi aperti?).
Arcani del divenire ambientati in contesti senza tempo, dove l’accezione di senza tempo descrive le opere non in quanto immagini spogliate di riferimenti identitari, (la t-shirt non può che essere allusiva di un periodo attuale), ma come espressione che si apre a un'alternativa significativa tra contrapposizioni e innesti. Gli esseri rappresentati hanno invero un’estetica da persona qualunque del mondo odierno, nello specifico le immaginiamo appartenere a una società occidentale, la loro presenza e i loro gesti però risuonano come degli imperativi antichi, inviolabili, universali, non dittatoriali, e i paesaggi - o le location - hanno il sapore dell’indefinito, tra deserti post apocalittici o pre umani. I vari elementi e dinamiche che si alternano alimentano un senso di straniamento e surrealtà, tanto che, guardando Nobody Touch, si ha il beneficio del dubbio se ad essere avvolto nelle fiamme sia un castello disperatamente romantico o un paio di asettici edifici metropolitani.
Questi individui sono completamente disinteressati all’erotismo provocatorio e sessuale, appaiono curiosi del corpo come oggetto di scoperta e del desiderio come esperienza (The room, Untitled, Touch the light). Sono anime tenere e innocue, innocenti, ma non liete, marchiate dalla tristezza, Dostoevskij, in Delitto e castigo, propone la perfetta descrizione della loro sostanza per cui la sofferenza e il dolore sono sempre inevitabili per una coscienza sensibile e per un cuore profondo.
Figure solitarie in pose statuarie, riprese in azioni e non-azioni pregne di significato, epifaniche, in pose che enunciano la loro missione nell’universo tangibile giurando fedeltà a quello immaginabile, proclamano dichiarazioni non fraintendibili, allo stesso tempo aperte e impenetrabili, dove erotismo (nell’accezione di cui sopra), sacralità ed esistenzialismo si incontrano. Avanzi di un’umanità che avendo raggiunto il fondo non può che alzare il capo e seguire la luce, (Touch the light e Union) e che, al contrario dell’uomo (moderno?) non fugge il mistero né la ricerca di verità.
Nonostante il pittore utilizzi il sogno come musa e il surreale come attuazione stilistica, l’urgenza dell’artista descrive il presente contrastandone le dinamiche isteriche e le sue opere si ritrovano innervate e innestate nella realtà.
Morire, dormire…
nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo,
perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire
dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale
deve farci riflettere.[4]
[1] Carl G.Jung, La realtà dell'anima, 1963, Bollati Boringhieri
[2] Salvador Dalí, Diario di un genio, 1963
[3] Immanuel Kant, Critica della ragion pura, 1949, Laterza
[4] William Shakespeare, Amleto (atto terzo, scena prima)
06
aprile 2024
Sleepwalkers’ Nostalgia
Dal 06 al 12 aprile 2024
arte contemporanea
Location
IRL Gallery
New York, Monroe Street, 15, (New York County)
New York, Monroe Street, 15, (New York County)
Orario di apertura
Vedere orario sulla pagina della galleria IRL
Vernissage
6 Aprile 2024, Opening 6-8pm
Autore
Curatore