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Somwhere over the Rainbow
Dodici artiste di diverse nazionalità raccontano le difficoltà del viaggio della vita, i loro obiettivi, i sogni e disillusioni. E propongono, nel contrasto tra identitità e alterità, una personale idea di femminilità, lontana da ogni romantica idealizzazione
Comunicato stampa
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Dall’Odissea a Kill Bill, quasi tutte le storie del mondo raccontano di un viaggio, di un percorso in cui l’eroe-protagonista deve affrontare ostacoli e difficoltà per portare a termine la missione prefissata.
The Wonderful Wizard of Oz (L. Frank Baum, 1900), tradotto in oltre cinquanta lingue, con le sue innumerevoli ripubblicazioni, adattamenti teatrali e cinematografici, è sicuramente tra i best-seller di tutti i tempi. Sotto l’apparenza di romanzo per ragazzi, si nasconde un’allegoria della politica monetaria degli Stati Uniti di fine Ottocento, periodo di crollo dell’economia americana, che alcuni politici proponevano di risolvere con la libera coniazione dell’argento. Argento sono le scarpette di Dorothy (sebbene i produttori di Hollywood le fanno diventare rosse) e oro è la strada che deve percorrere.
La protagonista, Dorothy, è una bambina che vive con gli zii e il cane Toto. Un giorno, un ciclone solleva la sua casa e la trasporta nella terra dei Munchkin. Lì cominciano le avventure alla ricerca del mago di Oz, che esaudisce tutti i desideri e che dovrebbe aiutare Dorothy a tornare a casa. Nel finale il mago si rivela essere un comune mortale e Dorothy scopre di avere da sé gli strumenti – le scarpette magiche – per esaudire i propri desideri. Ma il viaggio le ha fatto conoscere nuovi posti, amici, esperienze e soprattutto le ha dato la consapevolezza del suo potere.
La mostra rende omaggio alla altrettanto celebre canzone scritta per la colonna sonora della versione cinematografica del 1939 (con Judy Garland), interpretata, tra gli altri, da Louis Armstrong, Ray Charles, Patti La Belle, Bob Marley, Jimi Hendrix, Eric Clapton, Pink Floyd, Tom Waits, e, più recentemente, Tori Amos, Kylie Minogue e Norah Jones.
Dodici artiste di diverse nazionalità raccontano le difficoltà del viaggio della vita, i loro obiettivi, i sogni e disillusioni. E propongono, nel contrasto tra identitità e alterità, una personale idea di femminilità, lontana da ogni romantica idealizzazione.
Larissa Bates (Vermont, USA, 1981), dipinge intricati e visionari paesaggi impossibili, abitati da ironici personaggi che formano società mono-sessuali contemporaneamente storiche e futuristiche. Le inquietanti fotografie e sculture di Huma Bhabha (Pakistan, 1962) riflettono i dissidi politici e sociali da un punto di vista estremamente intimo e introspettivo. Nella vibrante e psichedelica pittura di Angela Dufresne (Connecticut, USA, 1969) si ritrovano le più surreali architetture moderniste inserite in una natura romantica e scene in ambientazioni domestiche che richiamano il mondo della musica, della cultura e del cinema, da Woody Allen a Fassbinder. I dipinti architettonici e semi-astratti di Alison Fox (New York, USA, 1977) rappresentano una fuga dallo sguardo ordinario su semplici oggetti quotidiani. Nei disegni di Min Kim (Seoul, Corea, 1975) la mitologia coreana e la storia dell’arte convivono con i sogni dell’artista, a formare una fiaba contemporanea e autobiografica. Nella pittura autunnale e ricca di dettagli di Vera Iliatova (San Pietroburgo, Russia, 1975) giovani donne, tutte autoritratti dell’artista, combattono con la solitudine. Le sue narrazioni lievi e cinematografiche sono ambientate in città e cittadine russe, italiane o americane, tutti posti dove l’artista ha vissuto per alcuni periodi della sua vita. Danica Phelps (New York, 1971) documenta ossessivamente con tratti leggeri la sua vita di tutti i giorni: le sue relazioni, il sesso, le faccende finanziarie. La pittura di Lisa Sanditz (1973 in St. Louis, Missouri) celebra e al tempo stesso critica il paesaggio americano. Passando attraverso l’illustrazione anni ’70, le stazioni di benzina di Ed Rusha e le composizioni di David Hockney, l’artista crea ampi spazi (come centri commerciali, residenziali o sportivi) al limite dell’astrazione in cui esplode il colore come in fuochi d’artificio. Il lavoro di Sandra Scolnik (Glens Falls, USA 1968) è una forma allegorica e surreale di autoritratto, al limite tra l’ironia e il sinistro. I dipinti di Claire Sherman (Oberlin, USA, 1981) sono particolari di scorci naturali – una foresta, un prato – visti da punti di vista così ravvicinati da divenire pura pittura. Anche la delicata figurazione di Saeko Takagi (Kyoto, Giappone, 1980) sfocia nell’astrazione, nel puro colore e nei sottili giochi di luce dei ritratti come delle nature morte, che richiamano l’arte decorativa giapponese. Infine la giovane scozzese Caroline Walker (Dunfermline, 1982) ricerca l’ambiguità nella normalità, la solitudine dopo la festa; il tutto giocato nel rapporto del corpo all’interno dello spazio domestico. Qualcosa è successo. Ma non potremo sapere cosa.
Someday I'll wish upon a star
And wake up where the clouds are far
Behind me.
Where troubles melt like lemon drops
Away above the chimney tops
That's where you'll find me.
Norma Mangione
The Wonderful Wizard of Oz (L. Frank Baum, 1900), tradotto in oltre cinquanta lingue, con le sue innumerevoli ripubblicazioni, adattamenti teatrali e cinematografici, è sicuramente tra i best-seller di tutti i tempi. Sotto l’apparenza di romanzo per ragazzi, si nasconde un’allegoria della politica monetaria degli Stati Uniti di fine Ottocento, periodo di crollo dell’economia americana, che alcuni politici proponevano di risolvere con la libera coniazione dell’argento. Argento sono le scarpette di Dorothy (sebbene i produttori di Hollywood le fanno diventare rosse) e oro è la strada che deve percorrere.
La protagonista, Dorothy, è una bambina che vive con gli zii e il cane Toto. Un giorno, un ciclone solleva la sua casa e la trasporta nella terra dei Munchkin. Lì cominciano le avventure alla ricerca del mago di Oz, che esaudisce tutti i desideri e che dovrebbe aiutare Dorothy a tornare a casa. Nel finale il mago si rivela essere un comune mortale e Dorothy scopre di avere da sé gli strumenti – le scarpette magiche – per esaudire i propri desideri. Ma il viaggio le ha fatto conoscere nuovi posti, amici, esperienze e soprattutto le ha dato la consapevolezza del suo potere.
La mostra rende omaggio alla altrettanto celebre canzone scritta per la colonna sonora della versione cinematografica del 1939 (con Judy Garland), interpretata, tra gli altri, da Louis Armstrong, Ray Charles, Patti La Belle, Bob Marley, Jimi Hendrix, Eric Clapton, Pink Floyd, Tom Waits, e, più recentemente, Tori Amos, Kylie Minogue e Norah Jones.
Dodici artiste di diverse nazionalità raccontano le difficoltà del viaggio della vita, i loro obiettivi, i sogni e disillusioni. E propongono, nel contrasto tra identitità e alterità, una personale idea di femminilità, lontana da ogni romantica idealizzazione.
Larissa Bates (Vermont, USA, 1981), dipinge intricati e visionari paesaggi impossibili, abitati da ironici personaggi che formano società mono-sessuali contemporaneamente storiche e futuristiche. Le inquietanti fotografie e sculture di Huma Bhabha (Pakistan, 1962) riflettono i dissidi politici e sociali da un punto di vista estremamente intimo e introspettivo. Nella vibrante e psichedelica pittura di Angela Dufresne (Connecticut, USA, 1969) si ritrovano le più surreali architetture moderniste inserite in una natura romantica e scene in ambientazioni domestiche che richiamano il mondo della musica, della cultura e del cinema, da Woody Allen a Fassbinder. I dipinti architettonici e semi-astratti di Alison Fox (New York, USA, 1977) rappresentano una fuga dallo sguardo ordinario su semplici oggetti quotidiani. Nei disegni di Min Kim (Seoul, Corea, 1975) la mitologia coreana e la storia dell’arte convivono con i sogni dell’artista, a formare una fiaba contemporanea e autobiografica. Nella pittura autunnale e ricca di dettagli di Vera Iliatova (San Pietroburgo, Russia, 1975) giovani donne, tutte autoritratti dell’artista, combattono con la solitudine. Le sue narrazioni lievi e cinematografiche sono ambientate in città e cittadine russe, italiane o americane, tutti posti dove l’artista ha vissuto per alcuni periodi della sua vita. Danica Phelps (New York, 1971) documenta ossessivamente con tratti leggeri la sua vita di tutti i giorni: le sue relazioni, il sesso, le faccende finanziarie. La pittura di Lisa Sanditz (1973 in St. Louis, Missouri) celebra e al tempo stesso critica il paesaggio americano. Passando attraverso l’illustrazione anni ’70, le stazioni di benzina di Ed Rusha e le composizioni di David Hockney, l’artista crea ampi spazi (come centri commerciali, residenziali o sportivi) al limite dell’astrazione in cui esplode il colore come in fuochi d’artificio. Il lavoro di Sandra Scolnik (Glens Falls, USA 1968) è una forma allegorica e surreale di autoritratto, al limite tra l’ironia e il sinistro. I dipinti di Claire Sherman (Oberlin, USA, 1981) sono particolari di scorci naturali – una foresta, un prato – visti da punti di vista così ravvicinati da divenire pura pittura. Anche la delicata figurazione di Saeko Takagi (Kyoto, Giappone, 1980) sfocia nell’astrazione, nel puro colore e nei sottili giochi di luce dei ritratti come delle nature morte, che richiamano l’arte decorativa giapponese. Infine la giovane scozzese Caroline Walker (Dunfermline, 1982) ricerca l’ambiguità nella normalità, la solitudine dopo la festa; il tutto giocato nel rapporto del corpo all’interno dello spazio domestico. Qualcosa è successo. Ma non potremo sapere cosa.
Someday I'll wish upon a star
And wake up where the clouds are far
Behind me.
Where troubles melt like lemon drops
Away above the chimney tops
That's where you'll find me.
Norma Mangione
21
giugno 2007
Somwhere over the Rainbow
Dal 21 giugno al 29 luglio 2007
arte contemporanea
Location
GALLERIA GLANCE
Torino, Via San Massimo, 45, (Torino)
Torino, Via San Massimo, 45, (Torino)
Orario di apertura
da martedì a sabato 15:30-19:30 o su appuntamento
Vernissage
21 Giugno 2007, ore 18.30-20.30
Autore
Curatore