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Spazio mentale/fisico: Caterina Margherita
Le installazioni site-specific dell’artista veneziana sono opere pensate per enfatizzare, attraverso immagini e forme, le caratteristiche principali del luogo in cui sono ospitate
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Venerdì 18 aprile alle 19,30 si inaugura, al Diwan Café di Torino, la mostra di installazioni site-specific dell’artista veneziana Caterina Margherita, opere pensate per enfatizzare, attraverso immagini e forme, le caratteristiche principali del luogo in cui sono ospitate.
La mostra di Caterina Margherita è il terzo appuntamento della rassegna Spazio mentale/fisico, cinque appuntamenti incentrati su altrettante concezioni dello spazio di cinque artisti del Collettivo artisti.
Curata da Mimmo La Grotteria, che l’ha inaugurata con la sua personale, seguita da quella di Lisa Parmigiani, la rassegna Spazio mentale/fisico propone cinque diverse analisi sull’ambivalenza del luogo inteso come spazio fisico e/o mentale. Prossimamente esporranno Sara Grazio e Marco Lampis.
Alle declinazioni individuali del concetto di spazio dei cinque artisti si affiancano di volta in volta gli interventi dei critici Federica Tammarazio e Michele Bramante.
I cinque artisti di Spazio mentale/fisico si sono incontrati a Torino in occasione del progetto Abitare il confine - mostra collettiva curata nel 2006 da Domenico Papa presso il Forte di Fenestrelle - sviluppando il desiderio di lavorare a stretto contatto intorno a tematiche comuni.
Nel presente, in cui è alta la probabilità che sia l’indifferenza a seppellirci, forse ci salverà l’empatia
Di fronte alla repressione, nella seconda metà dell’Ottocento, un non noto anarchico rispose all’arresto con la frase: “Sarà una risata che vi seppellirà”, alludendo alla sconfitta morale di una forza che vede svanire il proprio potere fondato sulla brutalità dalla reazione gioiosa e sorridente dalle sue stesse vittime. Seppelliti da una risata.
Due momenti storici come il Sessantotto e il Settantasette in Italia ricontestualizzarono questa frase, senza di troppo cambiarne il senso o l’ambito d’uso. Nella speranza che una risata potesse seppellire chi veramente stava sotterrando il Paese sotto quintali di guai.
L’arte del tempo, di quarant’anni fa, parlava dell’addio a un’oggettualità che sembrava un peso, più che un valore, e celebrava la perfetta disposizione della creatività umana a confrontarsi con il progetto, sede dell’idea, più che con la sua messa in atto. Ad Amalfi l’esposizione Arte Povera + Azioni Povere ne era la consacrazione.
In effetti, è scorretto ridurre la produzione artistica degli anni Settanta alla sola poetica della smaterializzazione dell’oggetto, che investe molti dei campi linguistici del periodo, ma che escluderebbe una larga fetta della produzione del decennio.
La scultura, in particolare, sembra costituire il linguaggio meno indissolubilmente legato alla tradizione, e perciò più duttile nell’evolversi e nel poter divenire strumento espressivo dei concetti e delle idee del momento storico. In opposizione alla pittura, considerata, infatti, una produzione al limite dell’eretico e dell’inefficace, la scultura si presta a una rilettura delle proprie tecniche di produzione e a una compenetrazione con le esperienze nate nei tardi anni Sessanta, che nel decennio seguente trovano compiutezza e strutturalizzazione formale oltre la sperimentazione iniziale.
È il caso delle installazioni, delle opere site-specific, e dell’arte ambientale, tutte esperienze legate alla produzione della Land art e afferenti, ma che propongono risultati e progetti autonomi da quelle declinazioni.
In effetti, le pratiche creative tradizionali vanno a decadere, ma la realizzazione degli apparati progettuali si risolve in una produzione plastica e tridimensionale, mantenendo in sostanza i caratteri percettivi superficiali della scultura.
Come leggere quest’esperienza, ormai storicizzata oggi? Una delle risposte è l’arte pubblica, tramite la quale l’ambiente urbano dell’uomo si fa spazio dell’arte alla ricerca di un legame con i propri abitanti e di continuità con una storia territoriale più o meno lontana.
Gli esterni urbani spesso si accostano, come già in alcune esperienze concettuali degli anni Settanta, all’analisi degli interni in cui l’uomo conduce la propria esistenza: è questo il tema centrale della tedesca Rosemarie Trockel (1952), che sviluppa la poetica delle cosiddette sleeping rooms e conduce, anche tramite il lavoro a maglia, una riflessione sui ruoli e gli spazi della donna nel contemporaneo. L’ambiente interno e intimo dell’abitare e del vestirsi è spesse volte rovesciato nei progetti di Lucy (1966) e Jorge Orta (1953), che lavorano insieme dall’inizio degli anni Novanta al concetto di abitazione, di occupazione dello spazio e di identità, instaurando un dialogo molto serrato con le architetture urbane e interiori. Altri artisti operano in aree aperte dando vita a vere e proprie architetture naturali come l’americano Patrick Dougherty e la francese Dominique Gonzalez-Foerster (1963).
In quest’ambito, esteso qui all’internazionalità delle maggiori esperienze in atto, pone la sua ricerca l’artista veneziana Caterina Margherita, che tende a unire le pregresse esperienze scultoree con una nuova impostazione del lavoro in situ.
Raccontare un luogo diviene momento creativo, attenzione al dettaglio e a universi esistenziali e abitativi nascosti; raccontare diviene in qualche modo svelare, o ancora più ritualmente ri-velare.
Questa vicinanza, questo abbandono della visione distanziata è alla base di una comunicazione che l’artista vorrebbe instaurare tra abitante e abitato, nell’ottica di un abbandono del distacco e della superficiale conoscenza del proprio contesto di vita.
Federica Tammarazio
Rinunciare a riempire lo spazio di ulteriori sollecitazioni
per mettere in luce quanto già in esso si trova
I lavori site specific di Caterina Margherita nascono da un’attenta indagine sul senso del luogo.
Sono opere che originano dall’interesse per le relazioni che si instaurano tra le componenti la configurazione spaziale per come questa è colta dallo sguardo. Centrale è una riflessione sulla percezione visiva e sulle caratteristiche della percezione dello spazio.
I lavori meno recenti sono maggiormente legati alla scultura, nel tentativo di esplorare il dialogo tra lo spazio e l’opera attraverso l’uso di materiali poveri, come gesso o cemento. Com’è proprio della scultura, nell’accezione classica, il fine è di instaurare una relazione tra la forma e il contesto in cui viene immessa, trovando l’opera, in questo modo, interezza e soluzione.
Diversamente, nelle opere più recenti, l’artista rinuncia a caricare e riempire lo spazio di ulteriori sollecitazioni ma piuttosto punta mettere in luce quanto già in esso si trova.
Attraverso la produzione di immagini, l’artista sottolinea i particolari e le atmosfere del luogo in cui si trova lo stesso spettatore. Spesso, il luogo della mostra, che può essere una galleria, un museo, un bar, uno spazio di passaggio metropolitano, diviene l’oggetto della ricerca che è presentata agli spettatori nel luogo stesso, così che artista e pubblico possano partecipare di una medesima esperienza percettiva.
La finalità è di rivalutare aspetti formali trascurati e di sollecitare nello spettatore uno spirito investigativo rispetto alla scena che lo circonda. Il processo scelto è quello della costruzione site specific, che tende a coinvolgere direttamente il pubblico nella costruzione o ricostruzione dello spazio.
L’opera presentata al Diwan Café è una installazione ideata per enfatizzare le caratteristiche principali del luogo attraverso immagini e forme.
Domenico Papa
Caterina Margherita è nata a Londra nel 1979, dove ha frequentato il Foundation Course al Chelsea College of Art & Design. Si è poi diplomata in scultura all’Accademia di Venezia.
Nel 2008 ha esposto l’opera “Peep” per l’Associazione Aurora St. presso il Caffè Aurora di Piazza San Marco a Venezia.
Nel 2007 ha presentato “Diversi”, opera per la sala d’accoglienza del Centro culturale Spazzi di Torino, e “Dialogo”, installazione per il progetto Genius Loci presso il palazzo Rizzo Patarol di Venezia.
Nel 2006 ha partecipato con “In chiostro” al premio Arturo Martini di Treviso e con “Canna-regio” alla Manifestazione Borderline di Venezia.
Tra le sue principali mostre collettive: Abitare il confine, Forte di Fenestrelle (Torino), curata da Domenico Papa; La creazione del mondo, Chiesa di San Barnaba a Venezia; Atelier Aperti, evento collaterale alla 50° Biennale d’Arte di Venezia presso l’Accademia di Belle Arti.
Ha collaborato alle scenografie del film The Palermo shooting di Wim Wenders.
È coordinatrice del progetto Lessico Fluido dell’Associazione Phanés di Torino.
Ha tenuto il workshop “Un museo laboratorio di pace” per il Centro studi Sereno Regis di Torino.
Spazio mentale/fisico – Caterina Margherita
Inaugurazione: venerdì 18 aprile 2008 ore 19,30 - Diwan Café, via Baretti 15/C, Torino
Orario: dal lunedì al sabato dalle 18 alle 24
Informazioni: 338 4536741
Diwan, un’interpretazione poetica
Antica parola che deriva dal persiano, diwan indica il luogo di incontro dei vizir. Con il tempo, prese a indicare il sedile dal quale il principe dava udienza e da cui si compiaceva di ascoltare componimenti di poesia e musica.
Il Diwan Cafè nasce da quest’ultima radice. E su queste remote suggestioni si articola il progetto degli artisti presentati nella collettiva Spazio mentale/fisico.
Un caffè letterario, un luogo di ristoro per la mente e il corpo, diventa così sede ideale di questa rassegna sullo spazio, mentale e fisico.
La mostra di Caterina Margherita è il terzo appuntamento della rassegna Spazio mentale/fisico, cinque appuntamenti incentrati su altrettante concezioni dello spazio di cinque artisti del Collettivo artisti.
Curata da Mimmo La Grotteria, che l’ha inaugurata con la sua personale, seguita da quella di Lisa Parmigiani, la rassegna Spazio mentale/fisico propone cinque diverse analisi sull’ambivalenza del luogo inteso come spazio fisico e/o mentale. Prossimamente esporranno Sara Grazio e Marco Lampis.
Alle declinazioni individuali del concetto di spazio dei cinque artisti si affiancano di volta in volta gli interventi dei critici Federica Tammarazio e Michele Bramante.
I cinque artisti di Spazio mentale/fisico si sono incontrati a Torino in occasione del progetto Abitare il confine - mostra collettiva curata nel 2006 da Domenico Papa presso il Forte di Fenestrelle - sviluppando il desiderio di lavorare a stretto contatto intorno a tematiche comuni.
Nel presente, in cui è alta la probabilità che sia l’indifferenza a seppellirci, forse ci salverà l’empatia
Di fronte alla repressione, nella seconda metà dell’Ottocento, un non noto anarchico rispose all’arresto con la frase: “Sarà una risata che vi seppellirà”, alludendo alla sconfitta morale di una forza che vede svanire il proprio potere fondato sulla brutalità dalla reazione gioiosa e sorridente dalle sue stesse vittime. Seppelliti da una risata.
Due momenti storici come il Sessantotto e il Settantasette in Italia ricontestualizzarono questa frase, senza di troppo cambiarne il senso o l’ambito d’uso. Nella speranza che una risata potesse seppellire chi veramente stava sotterrando il Paese sotto quintali di guai.
L’arte del tempo, di quarant’anni fa, parlava dell’addio a un’oggettualità che sembrava un peso, più che un valore, e celebrava la perfetta disposizione della creatività umana a confrontarsi con il progetto, sede dell’idea, più che con la sua messa in atto. Ad Amalfi l’esposizione Arte Povera + Azioni Povere ne era la consacrazione.
In effetti, è scorretto ridurre la produzione artistica degli anni Settanta alla sola poetica della smaterializzazione dell’oggetto, che investe molti dei campi linguistici del periodo, ma che escluderebbe una larga fetta della produzione del decennio.
La scultura, in particolare, sembra costituire il linguaggio meno indissolubilmente legato alla tradizione, e perciò più duttile nell’evolversi e nel poter divenire strumento espressivo dei concetti e delle idee del momento storico. In opposizione alla pittura, considerata, infatti, una produzione al limite dell’eretico e dell’inefficace, la scultura si presta a una rilettura delle proprie tecniche di produzione e a una compenetrazione con le esperienze nate nei tardi anni Sessanta, che nel decennio seguente trovano compiutezza e strutturalizzazione formale oltre la sperimentazione iniziale.
È il caso delle installazioni, delle opere site-specific, e dell’arte ambientale, tutte esperienze legate alla produzione della Land art e afferenti, ma che propongono risultati e progetti autonomi da quelle declinazioni.
In effetti, le pratiche creative tradizionali vanno a decadere, ma la realizzazione degli apparati progettuali si risolve in una produzione plastica e tridimensionale, mantenendo in sostanza i caratteri percettivi superficiali della scultura.
Come leggere quest’esperienza, ormai storicizzata oggi? Una delle risposte è l’arte pubblica, tramite la quale l’ambiente urbano dell’uomo si fa spazio dell’arte alla ricerca di un legame con i propri abitanti e di continuità con una storia territoriale più o meno lontana.
Gli esterni urbani spesso si accostano, come già in alcune esperienze concettuali degli anni Settanta, all’analisi degli interni in cui l’uomo conduce la propria esistenza: è questo il tema centrale della tedesca Rosemarie Trockel (1952), che sviluppa la poetica delle cosiddette sleeping rooms e conduce, anche tramite il lavoro a maglia, una riflessione sui ruoli e gli spazi della donna nel contemporaneo. L’ambiente interno e intimo dell’abitare e del vestirsi è spesse volte rovesciato nei progetti di Lucy (1966) e Jorge Orta (1953), che lavorano insieme dall’inizio degli anni Novanta al concetto di abitazione, di occupazione dello spazio e di identità, instaurando un dialogo molto serrato con le architetture urbane e interiori. Altri artisti operano in aree aperte dando vita a vere e proprie architetture naturali come l’americano Patrick Dougherty e la francese Dominique Gonzalez-Foerster (1963).
In quest’ambito, esteso qui all’internazionalità delle maggiori esperienze in atto, pone la sua ricerca l’artista veneziana Caterina Margherita, che tende a unire le pregresse esperienze scultoree con una nuova impostazione del lavoro in situ.
Raccontare un luogo diviene momento creativo, attenzione al dettaglio e a universi esistenziali e abitativi nascosti; raccontare diviene in qualche modo svelare, o ancora più ritualmente ri-velare.
Questa vicinanza, questo abbandono della visione distanziata è alla base di una comunicazione che l’artista vorrebbe instaurare tra abitante e abitato, nell’ottica di un abbandono del distacco e della superficiale conoscenza del proprio contesto di vita.
Federica Tammarazio
Rinunciare a riempire lo spazio di ulteriori sollecitazioni
per mettere in luce quanto già in esso si trova
I lavori site specific di Caterina Margherita nascono da un’attenta indagine sul senso del luogo.
Sono opere che originano dall’interesse per le relazioni che si instaurano tra le componenti la configurazione spaziale per come questa è colta dallo sguardo. Centrale è una riflessione sulla percezione visiva e sulle caratteristiche della percezione dello spazio.
I lavori meno recenti sono maggiormente legati alla scultura, nel tentativo di esplorare il dialogo tra lo spazio e l’opera attraverso l’uso di materiali poveri, come gesso o cemento. Com’è proprio della scultura, nell’accezione classica, il fine è di instaurare una relazione tra la forma e il contesto in cui viene immessa, trovando l’opera, in questo modo, interezza e soluzione.
Diversamente, nelle opere più recenti, l’artista rinuncia a caricare e riempire lo spazio di ulteriori sollecitazioni ma piuttosto punta mettere in luce quanto già in esso si trova.
Attraverso la produzione di immagini, l’artista sottolinea i particolari e le atmosfere del luogo in cui si trova lo stesso spettatore. Spesso, il luogo della mostra, che può essere una galleria, un museo, un bar, uno spazio di passaggio metropolitano, diviene l’oggetto della ricerca che è presentata agli spettatori nel luogo stesso, così che artista e pubblico possano partecipare di una medesima esperienza percettiva.
La finalità è di rivalutare aspetti formali trascurati e di sollecitare nello spettatore uno spirito investigativo rispetto alla scena che lo circonda. Il processo scelto è quello della costruzione site specific, che tende a coinvolgere direttamente il pubblico nella costruzione o ricostruzione dello spazio.
L’opera presentata al Diwan Café è una installazione ideata per enfatizzare le caratteristiche principali del luogo attraverso immagini e forme.
Domenico Papa
Caterina Margherita è nata a Londra nel 1979, dove ha frequentato il Foundation Course al Chelsea College of Art & Design. Si è poi diplomata in scultura all’Accademia di Venezia.
Nel 2008 ha esposto l’opera “Peep” per l’Associazione Aurora St. presso il Caffè Aurora di Piazza San Marco a Venezia.
Nel 2007 ha presentato “Diversi”, opera per la sala d’accoglienza del Centro culturale Spazzi di Torino, e “Dialogo”, installazione per il progetto Genius Loci presso il palazzo Rizzo Patarol di Venezia.
Nel 2006 ha partecipato con “In chiostro” al premio Arturo Martini di Treviso e con “Canna-regio” alla Manifestazione Borderline di Venezia.
Tra le sue principali mostre collettive: Abitare il confine, Forte di Fenestrelle (Torino), curata da Domenico Papa; La creazione del mondo, Chiesa di San Barnaba a Venezia; Atelier Aperti, evento collaterale alla 50° Biennale d’Arte di Venezia presso l’Accademia di Belle Arti.
Ha collaborato alle scenografie del film The Palermo shooting di Wim Wenders.
È coordinatrice del progetto Lessico Fluido dell’Associazione Phanés di Torino.
Ha tenuto il workshop “Un museo laboratorio di pace” per il Centro studi Sereno Regis di Torino.
Spazio mentale/fisico – Caterina Margherita
Inaugurazione: venerdì 18 aprile 2008 ore 19,30 - Diwan Café, via Baretti 15/C, Torino
Orario: dal lunedì al sabato dalle 18 alle 24
Informazioni: 338 4536741
Diwan, un’interpretazione poetica
Antica parola che deriva dal persiano, diwan indica il luogo di incontro dei vizir. Con il tempo, prese a indicare il sedile dal quale il principe dava udienza e da cui si compiaceva di ascoltare componimenti di poesia e musica.
Il Diwan Cafè nasce da quest’ultima radice. E su queste remote suggestioni si articola il progetto degli artisti presentati nella collettiva Spazio mentale/fisico.
Un caffè letterario, un luogo di ristoro per la mente e il corpo, diventa così sede ideale di questa rassegna sullo spazio, mentale e fisico.
19
aprile 2008
Spazio mentale/fisico: Caterina Margherita
Dal 19 al 30 aprile 2008
arte contemporanea
Location
DIWAN CAFE’
Torino, Via Giuseppe Baretti, 15c, (Torino)
Torino, Via Giuseppe Baretti, 15c, (Torino)
Orario di apertura
dal lunedì al sabato dalle 18 alle 24.
Vernissage
19 Aprile 2008, ore 19.30
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