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Stefano Manfredini – Gromace
Le immagini esposte sono una trentina, in bianco nero, e sono il risultato di una ricerca che l’autore ha condotto tra il 2000 e il 2001. In serbo-croato “Gromace” è il nome con il quale si indicano i filari di muri a secco o di semplici massi che, distendendosi per la lunghezza di chilometri, caratterizzano il paesaggio di Veglia e di Arba, due isole del Golfo del Quarnaro…
Comunicato stampa
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Lì ci si imbatte anche in piccoli mucchi di sassi che paiono pinnacoli emersi dal suolo. Queste disposizioni di massi in un paesaggio inviolato possiedono una carica di suggestione che trascende il loro significato, peraltro oscuro. Non paragonabili a taluni grandi complessi megalitici, essi mostrano ugualmente come la pietra possieda qualità straordinarie in grado di soddisfare quella che sembra essere una necessità dell'uomo come si è manifestata, in forme diverse, altrove nel mondo e in altre epoche: lasciare segni sul luogo al quale si appartiene e stabilire con esso un legame profondo.
Nel nostro piccolo ci basta pensare a quali sentimenti può suscitare in noi il disporre massi in cerchio per accendere un fuoco laddove si è scelto di immergersi per una notte nella natura. L'uomo può allora aggiungere una forma al territorio assecondandone quella naturale non per modificarla, bensì per identificarsi con esso.
È chiaro, allora, perché le fotografie di Stefano Manfredini, che ci mostra i "gromace" con il filtro di un grande senso formale, siano lontane da ogni vacuità. Essi posseggono la sostanziale proprietà di essere forma, ed è in questo che è racchiuso il senso della loro esistenza. Per rappresentarli Manfredini sceglie una visuale che ci permette di seguirne lo snodarsi lungo i declivi o di porne in evidenza l'isolamento, cogliendone la consonanza con il terreno, l'orizzonte, le isole vicine. Inoltre la stampa in bianco e nero, col biancheggiare dei massi e la traccia scura delle loro ombre, trasferisce nelle immagini la forza con cui essi si fanno segni del paesaggio.
Se nelle fotografie di Ansel Adams una pietra sembra divenire simbolo di tutte le pietre del mondo in un sentimento panico della Natura, qui ogni sasso è inseparabile dagli altri, e tutti inscindibili dal luogo ove sono stati posati e si erigono. Si tratta pertanto di immagini senza tempo, non solo per l'assoluta assenza di figure umane o di segni storicizzabili, ma perché, come ha ben compreso Manfredini, queste composizioni potrebbero essere dove le vediamo da mille anni come dal giorno prima. Ma non sono immagini senza luogo; anzi, paiono un tentativo di restituirci, attraverso i canoni dello strumento "occhio della modernità" - come è stato definito - , qualcosa che è, invece, profondamente antimoderno: l'unione radicale dell'uomo con un locus. Le forme ricreate da Stefano Manfredini ci conducono verso queste profondità perdute.
In mostra sono esposte anche alcune immagini che l'autore ha realizzate sempre in quegli anni sui monti della Lessinia, nel veronese. Si tratta anche in questo caso di immagini che, pur nella riconoscibile diversità del contesto, per affinità formale e unità di senso sono divenute parte integrante di questo lavoro fotografico.
Stefano Manfredini è nato nel 1963 a Reggio Emilia, dove vive e lavora. La sua passione per la fotografia ha registrato una svolta significativa nel 1997 quando l'incontro con un gruppo di fotografi riunito attorno a Vasco Ascolini lo ha spinto a intenderla e praticarla come un lavoro di ricerca. Nel 2001 ha esposto il suo primo lavoro in bianco e nero, Zoografia. Sue fotografie sono conservate presso la Bibliothèque Nationale de France a Parigi, il Musèe Reattu di Arles, il Museo della Fotografia di Brescia, il Musèe de la Photographie di Charleroi, dove ha esposto recentemente.
Daniele De Luigi, nato a Perugia nel 1975, vive a Reggio Emilia. Si è laureato all'Università di Parma in Storia della Fotografia, ed è attivo in diversi campi inerenti ad essa. È redattore della rivista digitale Cultframe.com; ha all'attivo collaborazioni esterne con Palazzo Magnani; si è occupato di conservazione seguendo seminari e catalogando il fondo fotografico dei Musei Civici di Reggio Emilia; è tra i fondatori dell'associazione Progetto Photòs per la didattica fotografica. Sue fotografie sono presenti in collezioni pubbliche di Italia, Francia e Belgio.
Nel nostro piccolo ci basta pensare a quali sentimenti può suscitare in noi il disporre massi in cerchio per accendere un fuoco laddove si è scelto di immergersi per una notte nella natura. L'uomo può allora aggiungere una forma al territorio assecondandone quella naturale non per modificarla, bensì per identificarsi con esso.
È chiaro, allora, perché le fotografie di Stefano Manfredini, che ci mostra i "gromace" con il filtro di un grande senso formale, siano lontane da ogni vacuità. Essi posseggono la sostanziale proprietà di essere forma, ed è in questo che è racchiuso il senso della loro esistenza. Per rappresentarli Manfredini sceglie una visuale che ci permette di seguirne lo snodarsi lungo i declivi o di porne in evidenza l'isolamento, cogliendone la consonanza con il terreno, l'orizzonte, le isole vicine. Inoltre la stampa in bianco e nero, col biancheggiare dei massi e la traccia scura delle loro ombre, trasferisce nelle immagini la forza con cui essi si fanno segni del paesaggio.
Se nelle fotografie di Ansel Adams una pietra sembra divenire simbolo di tutte le pietre del mondo in un sentimento panico della Natura, qui ogni sasso è inseparabile dagli altri, e tutti inscindibili dal luogo ove sono stati posati e si erigono. Si tratta pertanto di immagini senza tempo, non solo per l'assoluta assenza di figure umane o di segni storicizzabili, ma perché, come ha ben compreso Manfredini, queste composizioni potrebbero essere dove le vediamo da mille anni come dal giorno prima. Ma non sono immagini senza luogo; anzi, paiono un tentativo di restituirci, attraverso i canoni dello strumento "occhio della modernità" - come è stato definito - , qualcosa che è, invece, profondamente antimoderno: l'unione radicale dell'uomo con un locus. Le forme ricreate da Stefano Manfredini ci conducono verso queste profondità perdute.
In mostra sono esposte anche alcune immagini che l'autore ha realizzate sempre in quegli anni sui monti della Lessinia, nel veronese. Si tratta anche in questo caso di immagini che, pur nella riconoscibile diversità del contesto, per affinità formale e unità di senso sono divenute parte integrante di questo lavoro fotografico.
Stefano Manfredini è nato nel 1963 a Reggio Emilia, dove vive e lavora. La sua passione per la fotografia ha registrato una svolta significativa nel 1997 quando l'incontro con un gruppo di fotografi riunito attorno a Vasco Ascolini lo ha spinto a intenderla e praticarla come un lavoro di ricerca. Nel 2001 ha esposto il suo primo lavoro in bianco e nero, Zoografia. Sue fotografie sono conservate presso la Bibliothèque Nationale de France a Parigi, il Musèe Reattu di Arles, il Museo della Fotografia di Brescia, il Musèe de la Photographie di Charleroi, dove ha esposto recentemente.
Daniele De Luigi, nato a Perugia nel 1975, vive a Reggio Emilia. Si è laureato all'Università di Parma in Storia della Fotografia, ed è attivo in diversi campi inerenti ad essa. È redattore della rivista digitale Cultframe.com; ha all'attivo collaborazioni esterne con Palazzo Magnani; si è occupato di conservazione seguendo seminari e catalogando il fondo fotografico dei Musei Civici di Reggio Emilia; è tra i fondatori dell'associazione Progetto Photòs per la didattica fotografica. Sue fotografie sono presenti in collezioni pubbliche di Italia, Francia e Belgio.
08
novembre 2003
Stefano Manfredini – Gromace
Dall'otto novembre al 05 dicembre 2003
fotografia
Location
ARCHIVIO FOTOGRAFICO TOSCANO
Prato, Viale Della Repubblica, 235, (Prato)
Prato, Viale Della Repubblica, 235, (Prato)
Orario di apertura
lun e gio 8,30-17,30, mar, mer e ven: 8,30-13,30
Vernissage
8 Novembre 2003, ore 17,30